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Da quanto riportato finora, si può notare che buona parte degli artisti indagati esposero all’interno della categoria “Oggetti e mobili di lusso e di decorazione”, sebbene spesso compaiano pure in altre sezioni – ad esempio Antonio Rossi nel Catalogo ufficiale è inserito anche nella classe di Scultura, sezione “Scultura ed intagli in avorio, e legno”67 –. Un altro espositore presente nella suddetta categoria è Gaetano Bianchini, di Firenze, con una serie di “Tavole a mosaico in pietre dure”68. Nonostante la genericità dell’indicazione del catalogo, è

stato possibile individuare, grazie alle pubblicazioni coeve all’evento, un oggetto rispondente ai canoni della presente ricerca: un piano a commesso di pietre dure rappresentante “Cimabue che s’incontra per la prima volta in [sic] Giotto”69. Il tema affrontato nell’opera costituisce di

per sé un riferimento al neomedievalismo, legame che si rafforza esaminando l’incisione pubblicata dal giornale illustrato dell’Esposizione (Tav. 13)70

. La cornice ornamentale del piano presenta difatti una serie di elementi decorativi tipici della sensibilità neomedievale dell’epoca: i fiori dai petali lanceolati, in alcuni casi inscritti in un cerchio, quasi a richiamare delle borchie; la cornice mistilinea dall’aspetto floreale, che alterna medaglioni a forme archiacute; ed infine, all’interno di queste ultime, i motivi a goccia dai profili appuntiti. È interessante rilevare come, anche in questo caso, il Medioevo costituisca uno spunto per l’autore, e non un modello vincolante. Agli elementi medievaleggianti precedentemente citati se ne aggiungono difatti altri di chiara derivazione ottocentesca: è il caso dell’incorniciatura della scena principale, arricchita da medaglioni con i ritratti di personaggi illustri – nella fattispecie Dante, Boccaccio, Leonardo da Vinci e Michelangelo –, tematica che ebbe grande fortuna per tutto l’Ottocento. Anche la scelta del soggetto richiama la trattatistica del XIX secolo in proposito, pur essendo di derivazione vasariana. Si consideri a tal proposito le indicazioni contenute in Bellezza e civiltà di Niccolò Tommaseo, che suggeriscono una serie di tematiche da affrontare nella pittura storica, tra le quali rientra appunto l’incontro di Cimabue con Giotto, “colui che onorerà tutta Italia delle opere sue e del suo nome, dopo cinque secoli e questo e quelle rifiorenti oggidì di più giovane vita”71

.

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Esposizione italiana agraria, cit., 1862, p. 370. 68 Cfr. Esposizione italiana agraria, cit., 1862, p. 276

69 L’opera, esposta nella “Sala delle gemme” è descritta come un “Quadro in pietre dure rappresentante Cimabue che s’incontra per la prima volta in [sic] Giotto, opera del sig. Bianchini di Firenze”. Guida dell’Esposizione

Italiana del 1861, Firenze 1861.

70 La Esposizione Italiana, cit., 1861, p. 72.

71 Cfr. N. TOMMASEO, Bellezza e civiltà o delle arti del bello sensibile, Firenze 1838 [1857]; alcuni brani sono pubblicati in P. BAROCCHI, Il campo storiografico, in EAD., F. NICOLODI, S. PINTO (a cura di),

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Autore del commesso a pietre dure risulta essere, come precedentemente accennato, Gaetano Bianchini. In parallelo alla formazione presso l’Accademia di Belle Arti fiorentina – frequentò in particolare i corsi di disegno72 – fu apprendista della Galleria dei Lavori di Firenze fino al 1825, quando aprì una propria bottega73: con la rimozione del divieto di lavorare a commesso di pietre dure al di fuori del controllo dell’opificio fu difatti uno dei primi ad andarsene, sperimentando nuove forme di mosaico, con l’uso preponderante di pietre calcaree a scapito di quelle silicee e l’introduzione di materiali più facilmente lavorabili, dando così origine al “Mosaico di Firenze”74

. Oltre alle innovazioni tecniche il Bianchini non tralasciò nemmeno l’attività espositiva, risultando presente a numerose esposizioni toscane con tavoli in pietre dure ed ottenendo spesso riconoscimenti ufficiali75.

Anche in occasione dell’Esposizione Generale del 1861 il Bianchini ottenne un notevole successo, furono apprezzati soprattutto il piano con l’infanzia di Giotto ed uno di forma ovale a decorazione floreale. Grazie a queste due opere – il Finocchietti non specifica il merito particolare dell’una o dell’altra – fu premiato con la medaglia di merito, “per il disegno e buona esecuzione di una tavola in mosaico di Firenze”76

. Purtroppo del piano di Giotto, così come già di quello dei fratelli Della Valle, si sono perse le tracce e l’unica testimonianza visiva dell’opera resta l’incisione pubblicata sul Giornale illustrato. L’espositore partecipò ad un altro evento che prenderemo in considerazione – la mostra per il centenario dantesco del 1865 – presentando però altri oggetti77.

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Il Torresi data invece il periodo della formazione accademica del Bianchini (1806-1866) agli anni 1825-1827, durante i quali avrebbe seguito il corso di scultura. In una pubblicazione precedente lo studioso aveva però anticipato il periodo di formazione accademica al 1816, frequentando dapprima Disegno, Ornato e Prospettiva, ed in seguito Pittura. L’artista avrebbe concluso gli studi nel 1833, e si sarebbe dedicato – per la prima parte della sua carriera – alternativamente alla copia di dipinti antichi ed ai mosaici in pietre dure. Cfr. TORRESI, 1996, p. 58; ID., 2000, p. 36.

73 Nel 1862 risulta attivo come mosaicista, la Guida civile amministrativa di quell’anno lo definisce “Membro dell’Accademia di Belle Arti, della Società d’Arti e Scienze di Londra e dell’Accademia Nazionale di Parigi”. Cfr. Guida civile amministrativa commerciale della città di Firenze, Firenze 1862; CHIARUGI, 1994, p. 422. 74 FINOCCHIETTI, 1865, pp. 194-195; COZZI, 1995, p. 107; E. COLLE, Artigianato artistico e industriale a

Firenze tra Ottocento e Novecento, in M. CIACCI, G. GOBBI SICA (a cura di), I giardini delle regine – il mito di Firenze nell’ambiente preraffaellita e nella cultura americana fra Ottocento e Novecento, cat. della mostra,

Livorno 2004, pp. 112-139.

75 Nel 1847, ad esempio, ottenne la medaglia d’oro alla mostra regionale di arti e manifatture per l’ampia collezione di lavori presentati. Cfr. CHIARUGI, 1994, p. 422; TORRESI, 1996, p. 58.

76 FINOCCHIETTI, 1865, p. 217.

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