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Come accennato nell’introduzione all’esposizione, gli oggetti presenti nel castello si basano, secondo la ricostruzione riportata dal Giacosa, sui modelli forniti da Alberto Maso Gilli ed Alfredo D’Andrade, incaricati dalla Commissione di “procacciare la mobilia e gli utensili”19

. Come testimoniato da un nucleo di acquerelli e disegni conservati presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino ascrivibili agli anni Sessanta del XIX secolo, l’artista portoghese aveva già avuto modo di studiare i castelli valdostani, dei quali – è il caso del castello di Issogne, acquistato da Vittorio Avondo nel 1872 – si era occupato anche in veste di restauratore20. Soggetti privilegiati delle riproduzioni in questione sono il suddetto maniero di Issogne e quello di Fénis per la Valle d’Aosta, mentre per l’area piemontese si interessa in particolare a quello della Manta, presso Saluzzo; tali edifici costituiscono i principali modelli di riferimento per la Rocca, sia per la decorazione pittorica – si pensi alla Sala Baronale, i cui affreschi ricalcano la Sfilata dei Prodi e delle Eroine ed il mito della Fontana della giovinezza della Manta, o al San Giorgio e il drago del castello di Fénis, che orna il cortile della Rocca – che nella realizzazione degli arredi21. Anche per quest’ultima tipologia di oggetti si apriva, a partire dagli anni Settanta del secolo, un periodo di discreta fortuna critica, espressa soprattutto attraverso il collezionismo privato, giungendo a personaggi come Andrea Gastaldi, non riferibile direttamente alla cerchia del D’Andrade ma proprietario di un’ampia collezione di mobili gotici valdostani, concessi in prestito per la Mostra d’Arte Antica torinese del 188022. Ancora nel 1900 Antonio Taramelli dedica un articolo di Arte Italiana Decorativa e

Industriale agli “stalli e mobili gotici” piemontesi, corredandolo di riproduzioni fotografiche

del “Castello feudale di Torino”, a testimoniare la fortuna iconografica della Rocca23

.

19

GIACOSA, 1884 [rist. anast. 1997], p. 18.

20 Cfr. MAGGIO SERRA (a cura di), 1985, pp. 9-11; EAD., Alfredo D’Andrade pittore e archeologo.

Documenti per la Rocca Medioevale del Valentino, cat. della mostra, Torino 1996. Sul maniero di Issogne ed il

relativo cantiere di restauro, i cui pagamenti sono tutti ascrivibili al 1879, si rimanda al capitolo sull’Esposizione di Belle Arti di Torino del 1880; si veda inoltre: D. PROLA, B. ORLANDONI, Alfredo d’Andrade:

salvaguardia, conservazione, restauro alle origini della storiografia artistica in Valle d’Aosta, in CERRI,

BIANCOLINI FEA, PITTARELLO (a cura di), 1981, pp. 357-362; BARBIERI, 1997, pp. 137-164; SAN MARTINO, 1997, pp. 107-119.

Per i rapporti esistenti tra il cantiere di Issogne e quello del Borgo Medievale si veda S. BARBERI, G. CARPIGNANO, Un castello-museo e un museo-castello: da Issogne al Borgo Medievale, in S. PETTENATI, G. ROMANO (a cura di), Il tesoro della città: opere d’arte e oggetti preziosi da Palazzo Madama, cat. della mostra,Torino 1996, pp. 59-65.

21

Cfr. MAGGIO SERRA, 1996, pagine non numerate; per l’identificazione dei modelli pittorici presenti nella Rocca si veda D’ANDRADE, 1884 [rist. anast. 1997], pp. 64-86; EAD. (a cura di), 1985, pp. 55-75.

22 Cfr. MAGGIO SERRA, 1981, p. 31.

23 A. TARAMELLI, Stalli e mobili gotici nel Piemonte, in “Arte Italiana Decorativa e Industriale”, anno IX, 1900, nn. 1-2, pp. 10-12, 16-19.

138

Come detto in precedenza, per la realizzazione degli arredi collaborò con il D’Andrade Alberto Maso Gilli, figura di minor fortuna critica rispetto all’artista portoghese ma non per questo di scarsa rilevanza24. Artista dalla personalità eclettica, frequentò in un primo tempo l’Accademia Albertina di Torino, diventando assistente di Andrea Gastaldi dal 1865 al 1873 alla scuola di pittura; durante tale periodo si dedicò anche allo studio dell’incisione, con Agostino Lauro come insegnante25.

Prese parte per la prima volta alle esposizioni della Società Promotrice di Belle Arti di Torino nel 1860, con un dipinto di soggetto storico – La vendetta del conte di Monforte – ma la sua opera più nota è sicuramente Arnaldo da Brescia dopo il diverbio con Papa Adriano IV, tratto dalla tragedia Arnaldo da Brescia del Niccolini (1843), presentato a Milano ed a Torino nel 187226. La tela, che presenta evidenti richiami alla coeva situazione politica, due anni dopo l’annessione della città di Roma al regno d’Italia, riscosse un discreto successo – anche se non mancarono critiche e perplessità, soprattutto a Milano –, portando l’artista ad ottenere la nomina di accademico “nazionale residente”27

.

Abbandonò in seguito il posto di assistente all’Accademia Albertina per recarsi a più riprese a Parigi, dove fu introdotto al giornale parigino L’Art ed alla Maison Goupil, avviando per un decennio – dal 1873 al 1884 – un’intensa attività incisoria28. Durante tale periodo fu inoltre nominato professore di disegno presso l’Accademia Albertina – nel 1881, alla morte di Enrico Gamba – e fu coinvolto dal D’Andrade nella realizzazione del Borgo Medievale, del quale fu in seguito nominato conservatore29. La sua adesione al fervore di studi sul Piemonte medievale è ulteriormente confermata dalla partecipazione al cantiere del castello di Issogne, per “completare e restaurare” – secondo lo Stella – “il mobilio”; la Barberi riferisce invece la collaborazione del Gilli al recupero degli affreschi, insieme ad altri membri della cerchia

24

Per Alberto Maso Gilli (Chieri, 1840-Calvi dell’Umbria, 1894) si rimanda a: A. STELLA, Pittura e scultura in

Piemonte 1842-1891, Torino 1893, pp. 345-349; C. THELLUNG, Gilli Alberto Maso, in La pittura in Italia. L’Ottocento, Milano 1991, tomo secondo, pp. 852-853; M. ZAMBELLI, Alberto Maso Gilli, in R. MAGGIO

SERRA (a cura di), Le sorprese di un museo. Pittura dell’Ottocento in Piemonte dalla GAM di Torino, cat. della mostra, Torino 1998, p. 65; A. CASASSA, Alberto Maso Gilli, in Dizionario biografico, cit., 2000, vol. 54, pp. 754-756.

25 ZAMBELLI, 1998, p. 65; CASASSA, 2000, p. 754.

26 Per il dipinto si veda S. PINTO, 18. Arnaldo da Brescia dopo il diverbio con Papa Adriano IV, in EAD., BAROCCHI, NICOLODI (a cura di), 1974, pp. 322-323; M. ZAMBELLI, Arnaldo da Brescia dopo il diverbio

con Papa Adriano IV, in MAGGIO SERRA (a cura di), 1998, p. 65; CASASSA, 2000, pp. 754-755. Sulla

rappresentazione della figura di Arnaldo da Brescia nella pittura ottocentesca, e la sua lettura in chiave politica, si veda PINTO, 1974, pp. 38-40.

27

È interessante l’ambientazione della scena, caratterizzata secondo la Pinto da un precoce riferimento al gusto neobizantino della Roma degli anni Ottanta del secolo. Cfr. PINTO, 1974, p. 322; THELLUNG, 1991, p. 853; ZAMBELLI, 1998, p. 65.

28 ZAMBELLI, 1998, p. 65; CASASSA, 2000, p. 755. 29 Cfr. STELLA, 1893, p. 348; THELLUNG, 1998, p. 853.

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dandradiana30. Probabilmente l’artista aveva prestato la sua opera per entrambi gli ambiti, restaurando le decorazioni pittoriche e supervisionando la realizzazione dell’arredo o l’integrazione di quello medievale, compito che ricalca da vicino quello da lui svolto per il Castello del Valentino31.

Conclusa la parentesi neomedievale si trasferì a Roma, avendo ottenuto la nomina a direttore della Reale Calcografia, dove cercò di rinnovare le linee programmatiche dell’istituzione, favorendo la riproduzione di opere contemporanee e creando una scuola di incisione32.

Caratterizzato da una personalità eclettica, il Gilli è ricordato anche per la sua produzione plastica e ceramica, oltre che per gli studi di anatomia, meccanica e teoria artistica, che pubblicò in un’opera di prospettiva: La prospettiva dei piani inclinati e dei corpi liberi nello

spazio33.

La scelta del marchese Fernando di Villanova, presidente della Commissione, di affidare al Gilli la supervisione degli arredi non era quindi azzardata, sembra che l’artista avesse una certa esperienza in tale campo. È interessante il procedimento adottato per la realizzazione della mobilia, riportato dal Giacosa nella Guida illustrata: poiché i modelli di riferimento dovevano essere rigorosamente di area piemontese, si cercarono oggetti con lo stemma di famiglie ascrivibili a tale regione34. Per le parti mancanti dapprima si indagarono gli inventari dei castelli medievali, per individuare il tipo di mobili utilizzati; furono quindi utilizzati come modelli dipinti e miniature coevi, che il Gilli tradusse in progetti ad uso delle maestranze35. L’artista quindi fungeva da tramite tra la fonte di riferimento e gli artigiani addetti agli arredi, ed è forse da interpretarsi in tale senso l’indicazione, nella Guida illustrata, di alcuni oggetti come realizzati “su disegno del prof. Gilli”: è il caso della tavola a cavalletti nell’Antisala baronale, eseguita da Antonio Abrate36.

In alcuni casi il contributo dell’artigiano è più facilmente visibile: costituisce un esempio significativo il lampadario dell’Antisala, opera di Giuseppe Guaita “ispirata a disegni e documenti del tempo”37. L’opera in realtà sembra più una libera interpretazione degli stilemi

30 STELLA, 1893, p. 348; BARBERI, 1997, p. 140; CASASSA, 2000, p. 755.

31 GIACOSA, 1884 [rist. anast. 1997], pp. 18-24; MAGGIO SERRA (a cura di), 1985, pp. 9-11. 32 THELLUNG, 1991, p. 853; ZAMBELLI, 1998, p. 65; CASASSA, 2000, p. 755.

33

“Fece anche della buona scoltura [sic], improntata di gagliardia michelangiolesca; stile ch’egli sentiva vivamente, di cui talvolta si compiacque improntare i suoi disegni”. STELLA, 1893, p. 349, n.; cfr. anche THELLUNG, 1991, p. 853.

34 GIACOSA, 1884 [rist. anast. 1997], p. 23. 35

Lo stesso procedimento fu utilizzato per le stoffe e la biancheria. Ivi, 1884 [rist. anast. 1997], p. 23.

36 L’intero arredo ligneo della stanza fu distrutto durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, le opere attualmente presenti sono delle riproduzioni novecentesche. Cfr. VAYRA, 1884 [rist. anast. 1997], p. 145; MAGGIO SERRA (a cura di), 1985, p. 65.

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neomedievali che la derivazione filologica di un’illustrazione quattrocentesca, eppure non viene fatto alcun riferimento al contributo del Gilli: l’artista però supervisionava la produzione di tutti gli arredi della Rocca e difficilmente si può escludere quantomeno la sua approvazione al lampadario in questione. Anche per la “lumiera di ferro battuto e stagnato” della cappella del castello è segnalato il riferimento stilistico ai “documenti del tempo”, ma il risultato è chiaramente neomedievale38. È probabile che nel primo caso abbia giocato un ruolo

non indifferente l’apporto del Guaita, fabbro vercellese attivo nella bottega del Borgo Medievale, il quale presenta anche all’Esposizione di Palermo del 1891-1892 un oggetto caratterizzato da una figura di drago39.

In realtà sembra essere l’unico caso di libera ripresa di stilemi neomedievali, mentre la maggior parte delle opere esposte alla Rocca riprendono in maniera filologica i modelli di riferimento. Come già detto in precedenza, l’attenzione al dato storico era costante: gli oggetti presenti nel Castello per i quali la Guida illustrata non indica la derivazione da opere medievali o testimonianze figurative quattrocentesche sono comunque realizzati in stile neomedievale, sempre su disegno del Gilli.

Per la maggior parte dei casi Pietro Vayra riporta puntualmente l’indicazione dei modelli di riferimento, che in linea di massima sono ascrivibili ad un ristretto gruppo di edifici ed opere dell’area piemontese-valdostana: il castello di Issogne, alcuni oggetti conservati presso il Museo Civico di Torino – tra i quali emerge in più occasioni il coro dell’abbazia di Staffarda, all’epoca già presente nelle collezioni civiche – e, in misura minore, il castello di Strambino, quelli di Verrés e di Malgrà e le chiese di San Giovanni e Santa Maria di Avigliana40.

Costituisce sicuramente un elemento d’interesse la derivazione di molti oggetti della Rocca dalle collezioni del Museo Civico – inaugurato nel 1863 presso la sede di via Gaudenzio Ferrari – ad indicare lo stretto rapporto che correva tra l’istituzione e gli intellettuali della cerchia dandradiana41. All’epoca il direttore del museo era Emanuele Tapparelli d’Azeglio,

38 VAYRA, 1884 [rist. anast. 1997], pp. 166-167.

39 Si tratta di un grosso drago in ferro battuto, reggente un vaso in ceramica. Si veda l’Appendice documentaria. Non si hanno molte notizie su Giuseppe Guaita, assente dai repertori artistici dell’epoca e dalle pubblicazioni coeve: è citato solamente nell’Annuario commerciale del Piemonte, tra il 1900 ed il 1902, sotto la voce “Fabbri- ferrai”: l’indirizzo riportato è quello del Borgo Medievale, dove si trovava ancora la bottega. Cfr. Annuario

commerciale del Piemonte, cit., 1900, p. 341; Annuario commerciale del Piemonte, cit., 1901, p. 230; Annuario commerciale del Piemonte, cit., 1902, p. 166.

40 VAYRA, 1884 [rist. anast. 1997], pp. 117-167; MAGGIO SERRA (a cura di), 1985, pp. 56-66.

L’elenco non comprende ovviamente i modelli utilizzati per le decorazioni pittoriche delle sale e degli esterni della Rocca, tratti dal castello della Manta, di Fénis e dalla chiesa dell’abbazia di di Sant’Antonio di Ranverso. Cfr. D’ANDRADE, 1884 [rist. anast. 1997], pp. 64-86; MAGGIO SERRA (a cura di), 1985, pp. 55-74.

41 Per le vicende storiche del Museo Civico di Torino si rimanda a C. MOSSETTI, Doni, depositi e acquisti dal

patrimonio regio e dalle residenze reali per il Museo Civico di arte e industria: 1870-1880, in PETTENATI,

ROMANO (a cura di), 1996, pp. 121-124; C. SPANTIGATI, Le origini del Museo e il dibattito sulla tutela, ivi, pp. 33-34; E. PAGELLA, Le collezioni d’arte del Regio Museo Industriale Italiano di Torino. Prime

141

collezionista dalla spiccata sensibilità medievista significativamente inserito tra i membri della Commissione per la per la sezione di Storia dell’arte dell’esposizione del 1884, anche se in seguito non si aggiunse al gruppo42.

Tra gli arredi del museo scelti come modello per la Rocca compare, come già detto in precedenza, il coro cinquecentesco dell’abbazia di Staffarda, donato nel 1871 da Vittorio Emanuele II al Museo Civico di Torino43. Come già ricostruito da Guido Gentile, era stato rimosso negli anni Quaranta dell’Ottocento dalla sua sede originaria – per evitare il peggioramento delle condizioni conservative del coro, ormai in stato di degrado – riutilizzandolo per la chiesa parrocchiale di San Vittore a Pollenzo, fatta erigere da Carlo Alberto all’interno di un più ampio processo, che coinvolgeva l’intero borgo44

. Gabriele Capello detto il Moncalvo, ebanista di corte incaricato nel 1846 di restaurare gli stalli e disporli nella nuova sede, adattò alla chiesa le parti del coro meno importanti; i pezzi non utilizzati finirono nei depositi dell’Amministrazione della Casa di Sua Maestà fino a quando, grazie alle insistenze del Moncalvo, furono donati alla città di Torino, e quindi esposti nel relativo Museo Civico in un’apposita sala45

. La fortuna critica di cui gode l’opera è tale che ancora nel 1900 il Taramelli, nel sopracitato articolo di Arte Italiana Decorativa e Industriale sui mobili gotici piemontesi, descrive minuziosamente la decorazione degli stalli, mentre le immagini poste a corredo dell’articolo sono, come detto in precedenza, riproduzioni di alcuni arredi del Borgo Medievale, la cui ornamentazione era desunta dagli stalli di Staffarda46. Sicuramente gli intagli del coro avevano colpito profondamente la fantasia di D’Andrade e del Gilli, considerata l’ampia presenza di riferimenti fatta dal Vayra nella Guida illustrata: si rifanno all’opera difatti non solo la cattedra baronale presente nella sala da pranzo – per la quale il rimando stilistico poteva essere più immediato – ma anche alcuni mobili presenti

ricognizioni per un patrimonio perduto, in V. MARCHIS (a cura di), Disegnare progettare costruire. 150 anni di arte e scienza nelle collezioni del Politecnico di Torino, Torino 2009, pp. 115-128.

42 MAGGIO SERRA, 1981, p. 19. Per il profilo biografico del d’Azeglio si veda G. LOCOROTONDO, Vittorio

Emanuele Taparelli marchese d’Azeglio, in Dizionario biografico, cit., 1962, vol. 4, pp. 757-758.

43 Sull’argomento si veda G. GENTILE, 53. Intagliatori francesi. Due fiancate del coro dell’abbazia di

Staffarda, in PETTENATI, ROMANO (a cura di), 1996, pp. 36-38; ID., Il coro dell’Abbazia di Staffarda, in G.

ROMANO (a cura di), La fede e i mostri. Cori lignei scolpiti in Piemonte e Valle d’Aosta (secoli XIV-XVI), Torino 2002, pp. 249-282.

44 Per il complesso di Pollenzo si rimanda a M. BOELLO CERATO, G. CARITÀ, La Pollenzo carloalbertina:

la storia e il restauro, in “Cuneo provincia granda”, 2002, n. 1, pp. 47-52; ID., Restauro e rinnovo a Pollenzo, in

L. BERARDO (a cura di), Celebranda Pollentia, Bra 1989, pp. 53-80; G. CARITÁ, Pelagio Palagi ed Ernest

Melano artefici dell’immagine troubadour di Pollenzo, in ID. (a cura di), Pollenzo – una città romana per una “real villeggiatura” romantica, Savigliano 2004, pp. 148-191; ID., Una forma composita. Alla ricerca di modelli per l’immagine di Pollenzo carloalbertina, ivi, pp. 3-12; F. DALMASSO, La chiesa di San Vittore a Pollenzo: pittura, decorazione, arredi, ivi, pp. 285-290.

45 Cfr. GENTILE, 2002, pp. 254-267.

46 TARAMELLI, 1900, pp. 10-12. Per la derivazione del repertorio figurativo si veda VAYRA, 1884 [rist. anast. 1997], pp. 117-119; ivi, pp. 159-161.

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nella Camera baronale da letto: il letto stesso, una panca posta di fronte al camino – con spalliera mobile – ed una credenza “a baldacchino”47.

La Commissione utilizzò altre opere presenti nel Museo Civico come modelli per gli arredi della Rocca: la vetrata posta nel Sancta Sanctorum della cappella, ad esempio, fu realizzata da Pietro Guglielmi riproducendo quelle cinquecentesche di Pietro Vaser – la Fuga in Egitto e la

Disputa di Gesù tra i dottori –, provenienti dal castello di Issogne ed entrate a fare parte delle

collezioni civiche nel 186748. La finestra ottocentesca fu strutturata articolando le scene originali su due livelli, riuscendo così ad inserire entrambe le opere nella decorazione della cappella, nonostante la scarsità di spazi disponibili49. D’altro canto l’autore della vetrata, Pietro Guglielmi, sembra essere abbastanza noto per la sua produzione vetraria, quanto meno a livello locale: dopo una prima fase in cui si dedicò completamente alla pittura, dal 1869 si applicò solo a quella su vetro, realizzando numerose vetrate storiche, molte delle quali commissionate per chiese piemontesi50. In occasione dell’esposizione del 1884 e la conseguente costruzione del Borgo Medievale, D’Andrade gli affidò la realizzazione delle vetrate della Sala baronale, della Camera da letto e della Cappella51.

Anche per i tessuti la Commissione dell’esposizione sfruttò i modelli presenti nelle collezioni civiche: i parati che scendevano dal baldacchino della cattedra presente nella Sala baronale – quasi completamente distrutta dai bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale – furono realizzati dalle ditte torinesi di Guglielmo Ghidini e Bernardo Solei, ispirandosi a modelli ben precisi52. Il primo eseguì il drappo principale, riprendendo le tinte ed il disegno di due personaggi presenti sulle pareti, identificati tradizionalmente con Valerano di Saluzzo della Manta e la consorte, abbigliati con i colori del proprio stemma53; Solei, autore del velluto che

47

Cfr. VAYRA, 1884 [rist. anast. 1997], pp. 117-119; ivi, pp. 150-151; ivi, p. 155; ivi, pp. 159-161; si veda inoltre l’Appendice documentaria.

48 MAGGIO SERRA (a cura di), 1985, p. 66; per le vetrate si veda E. BREZZI ROSSETTI, 57. Pietro Vaser (?).

Disputa di Gesù fra i dottori, in PETTENATI, ROMANO (a cura di), 1996, p. 40; S. DE BOSIO, 228. Pietro Vaser. Fuga in Egitto e Gesù tra i Dottori, in E. PAGELLA, E. ROSSETTI BREZZI, E. CASTELNUOVO (a

cura di), Corti e città. Arte del Quattrocento nelle Alpi occidentali, cat. della mostra, Milano 2006, p. 438. La vetrata fu distrutta durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale; negli anni Cinquanta venne collocata al suo posto una copia. Cfr. A.S.M.C.T., S.I.P. 5, Inventario dei beni mobili borgo e castello medioevale Parco del Valentino. Castello e Borgo medioevale – Elenco del materiale e degli oggetti di arredamento andati distrutti durante le incursioni aeree del 13-22/7/43.

49 Cfr. A. FRIZZI, Il Borgo ed il Castello Medioevali, Torino 1893 [rist. anast. 1982].

50 Tra le altre si ricordano quelle realizzate per la chiesa di San Secondo a Torino ed il duomo di Pinerolo. Ricevette inoltre molte commissioni all’estero, lavorando in particolare per Francia, Gran Bretagna ed “America”. Cfr. STELLA, 1893, p. 441, n.; DE GUBERNATIS, 1906, p. 244.

51 D’ANDRADE, 1884 [rist. anast. 1997], p. 83.

52 Attualmente sono esposti dei rifacimenti. Cfr. MAGGIO SERRA (a cura di), 1985, p. 65. 53 VAYRA, 1884 [rist. anast. 1997], p. 147.

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ricopre la spalliera ed il baldacchino, aveva invece riprodotto, in maniera “esatta e riuscitissima”, una stoffa “del tempo”, esistente nel Museo Civico torinese54.

Oltre alle collezioni civiche i modelli locali costituirono sicuramente una fonte privilegiata: esemplare in questo senso è il caso delle ceramiche, realizzate dalle manifatture Issel e Farina e quella dei fratelli Chiotti basandosi su modelli locali55. L’argomento è già stato ampiamente indagato dalla Pettenati e dalla Ruffino, le quali, oltre alle vicende legate alla commissione della fornitura ceramica, hanno riconosciuto una stretta derivazione delle opere del Borgo Medievale da modelli piemontesi, in particolar modo nelle ceramiche realizzate dalla manifattura torinese dei fratelli Chiotti: la maggior parte dei piatti si ispira difatti alle maioliche decorative presenti sul campanile della chiesa di San Giovanni ad Avigliana, oggetto di un rilievo sistematico proprio nel 1883 e mediate dai disegni realizzati dal D’Andrade56. Qualora non fossero presenti fonti locali a cui richiamarsi l’artista si rifaceva

alla produzione pittorica medievale, con una predilezione per l’area ligure: basti citare a tal proposito la brocca realizzata da Alberto Issel57, poliedrico artista di provenienza genovese,

54 FRIZZI, 1893 [rist. anast. 1982], p. 296. Si trattava probabilmente di uno dei due velluti veneziani quattrocenteschi riprodotti nella tavola A. H. del volume Cento tavole riproducenti circa 700 oggetti, edito nel 1905 dal Museo Civico. Cfr. Museo Civico di Torino, sezione Arte Antica. Cento tavole riproducenti circa 700

oggetti pubblicati per cura della Direzione del Museo, Torino 1905.

55 Per la bottega Issel-Farina si veda C. PAOLINELLI, Regesto delle principali manifatture ceramiche italiane

dell’Ottocento, in “DecArt”, n. 7, 2007, pp. 65-143. La ditta dei fratelli Chiotti finora è stata invece scarsamente

indagata, risulta solamente citata nelle guide commerciali torinesi e piemontesi dell’Ottocento, sia tra i venditori di vetri e cristalli che tra quelli di porcellane e maioliche. Cfr. G. MARZORATI, Guida di Torino 1884, Torino 1884, p. 109; Annuario commerciale del Piemonte, cit., 1900, p. 517; Annuario commerciale del Piemonte, cit., 1901, p. 117; ivi, p. 439; ivi, p. 467.

56 Cfr. M. P. RUFFINO, Schede nn. 1-30, in EAD. (a cura di), Borgo Medievale di Torino. Le ceramiche, Torino 2004, pp. 100-115. Sulle ceramiche del Borgo più in generale si vedano S. PETTENATI, La riproduzione e

l’imitazione della ceramica nel Borgo Medievale, in EAD., R. BORDONE (a cura di), Torino nel basso medioevo: castello, uomini, oggetti, cat. della mostra, Torino 1982, pp. 302-313; G. DONATO, Medioevo in filigrana: dietro le copie, in RUFFINO (a cura di), 2004, pp. 9-30; M. P. RUFFINO, Le ceramiche del Museo