Sulla mostra di Belle Arti di Napoli le fonti non sono in realtà numerose: trattandosi di una manifestazione locale – nonostante siano presenti artisti di tutt’Italia – non furono realizzate pubblicazioni specifiche, e non sono molte nemmeno le testimonianze dell’epoca su riviste specializzate. Dovendoci basare esclusivamente sul catalogo dell’esposizione non si sono rinvenuti molti oggetti neomedievali: l’unica opera chiaramente riconducibile all’arte medievale è presentata da Giuseppe Michieli di Padova3. L’artista aveva realizzato una lampada in ottone, “ad imitazione del medio evo”, utilizzabile sia come candela che a gas, della quale purtroppo non è pervenuta alcuna immagine4. L’oggetto fu selezionato, insieme ad un piatto ed un vaso in bronzo “ad imitazione dello stile del secolo XVI” del medesimo autore, come premio per la Lotteria di Capi d’Arte istituita in occasione dell’esposizione napoletana. La mostra aveva difatti registrato un alto numero di opere ammesse, ma anche uno scarso successo di vendite: furono quindi sorteggiate 280 lavori tra quelli rimasti invenduti, che furono vinti in parte dal Municipio di Napoli ed in parte da privati cittadini, evitando agli artisti le spese di imballo e trasporto per essi5. I bronzi dell’artista padovano risultano tra i decimi premi, per un valore complessivo di 200 lire, ma non è stato possibile individuare il nome del vincitore, come per la maggior parte delle opere sorteggiate6. Gli oggetti saranno quindi confluiti in una collezione privata, ed attualmente se ne ignora l’ubicazione.
È interessante rilevare però come la lampada avesse colpito il pubblico dell’epoca: nel profilo biografico del Michieli, il De Gubernatis, a quasi trent’anni di distanza dall’esposizione napoletana, la elenca difatti tra i lavori principali dell’artista, aggiungendo che a tale evento essa “era molto osservata”7
. Lo studioso non riporta molte notizie sullo scultore, se non che risiedeva a Padova e si occupava sia di scultura che di incisione in bronzo; anche relativamente alle opere che presenta alle esposizioni italiane le informazioni sono vaghe, per la mostra di Belle Arti torinese si limita a segnalare che “espose una collezione ragguardevole
3 Cfr. Catalogo dell’Esposizione Nazionale di Belle Arti del 1877 in Napoli, Napoli 1877, p. 92.
4 Al medesimo evento il Michieli espose anche “Piatto e Vaso in bronzo originale, ad imitazione dello stile del secolo XVI”, repliche di opere commissionate dal console prussiano, ed una statuetta in bronzo. Catalogo
dell’Esposizione, cit., 1877, p. 92; cfr. l’Appendice documentaria.
5 Sull’argomento si veda A. DE CESARE, La lotteria dell'Esposizione nazionale di Napoli del 1877, in “Napoli nobilissima”, quinta serie – volume VIII, 2007, fascicoli I-II, pp. 39-60. Anche la Lamberti accenna brevemente all’evento, cfr. M. M. LAMBERTI, L’esposizione nazionale del 1880 a Torino, in “Ricerche”, cit., 1982, n. 18 – L’arte in mostra, pp. 37-54.
6 Per la ricostruzione degli elenchi della lotteria si veda DE CESARE, 2007, p. 53.
7 “A Napoli, nel 1877, era molto osservata Una lampada originale d’ottone traforato, incisa con figure, ed ornati, servibile sia per la candela, come per il gas, ad imitazione del medio evo”. DE GUBERNATIS, 1906, p. 300.
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di bronzi artistici, consistenti in gruppi, statue, baccanti, piatti, vasi, candelieri”8. La raccolta dovette avere un discreto successo, visto che di essa “molto parlò la stampa italiana”, e fu esposta in seguito a Roma “nel 1873 [sic]” – il De Gubernatis intendeva ovviamente il 1883 – ed a Venezia nel 18879. I cataloghi di parte delle esposizioni sopracitate confermano effettivamente la presenza dell’artista, ma l’indirizzo della bottega riportato non risulta padovano, bensì di Venezia – San Tomà Campiello Balbi, il numero civico varia secondo la pubblicazione esaminata –10. Le descrizioni fornite dai cataloghi delle esposizioni in questione non riportano però ulteriori informazioni circa gli oggetti presentati dal Michieli: per quella di Torino ad esempio viene semplicemente citata una “Collezione di bronzi artistici, lampadari, statue (costumi Veneziani), baccanti, piatti, gruppi, candelieri, ecc.”11. L’unica altra fonte che cita lo scultore padovano è un articolo del Pavan, pubblicato sul periodico L’arte in Italia12. L’autore coglie l’occasione dell’Esposizione Universale di Vienna per descrivere gli oggetti presentati dal Michieli, citando in particolare numerose riproduzioni in bronzo di opere note, prevalentemente di area veneziana13. L’artista sembra godere di un discreto successo – il conte Borromeo, responsabile degli acquisti reali, sceglie due suoi candelabri “ad imitazione dello stile di Sansovino del secolo XV” –, legato in particolar modo alla riproduzione in scala delle opere in “classico stile” di Alessandro Vittoria, Donatello e Jacopo Sansovino14. È presente anche un altro tipo di produzione, appartenente al “ramo più vendereccio [sic] e conveniente”, di tono minore, che viene ugualmente apprezzata, sebbene il Pavan non approfondisca ulteriormente il discorso15. La lampada probabilmente non era ancora stata realizzata o esposta, sicuramente avrebbe fatto parte della prima categoria, i cui oggetti vengono definiti dal Pavan “tutti di classico stile”: il mancato rilevamento di un’opera neomedievale in tale gruppo porta ovviamente a supporre che essa non fosse presente16.
8 DE GUBERNATIS, 1906, p. 300. 9
DE GUBERNATIS, 1906, p. 300.
10 Cfr. IV Esposizione Nazionale di Belle Arti – Catalogo ufficiale generale, Torino 1880, p. 174; Esposizione di
Belle Arti in Roma. Catalogo Generale Ufficiale, Roma 1883, p. 192.
11 IV Esposizione Nazionale, cit., 1880, p. 147. 12
Cfr. A. PAVAN, Bronzi di Giuseppe Michieli di Venezia, in “L’Arte”, cit., 1873, p. 182.
13 “È in Venezia, nella chiesa di San Giorgio Maggiore sopra l’altare principale, un gruppo di quattro statue rappresentanti gli Evangelisti che sostengono una gran palla di rame dorato, simbolo del Mondo, e sopra di esso la figura grandiosa del Padre Eterno. Questo lavoro insigne del veronese Girolamo Campagna, venne perfettamente riprodotto dal Michieli […]. Così l’elegante cancellata di bronzo, opera di Antonio Gai padovano, e che è posta dinanzi alla famosa loggetta della piazza di San Marco, è stata ridotta in varie e più piccole dimensioni e fusa in bronzo per servire a diversi usi, e fra gli altri per chiudere un grazioso stipetto in ebano […]. A forma di battente per il portone del palazzo Mora, situato nelle vicinanze di San Felice a Venezia, modellava il Sansovino un Nettuno con ingegnosi intrecci allegorici, e quel battente, ammirato e assai ricercato dai forestieri, è stato con molta maestria moltiplicato dai forni del Michieli”. PAVAN, 1873, p. 182.
14 Cfr. PAVAN, 1873, p. 182. 15 Ibid.
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Dalla descrizione fatta dal De Gubernatis e dal catalogo dell’esposizione napoletana emerge un aspetto peculiare della lampada esaminata: essa difatti è stata progettata e realizzata affinché funzionasse con una candela ed a gas17. Nonostante l’aspetto medievale, l’oggetto poteva anche supportare l’illuminazione più moderna, non costringendo il proprietario ad una scelta filologicamente corretta ma poco pratica.
Si delinea qui il concetto di comfort dell’arte medievale, caratteristico dei revival ottocenteschi. La ripresa di stilemi tipici del Medioevo è difatti da porre in rapporto con le esigenze del pubblico contemporaneo: come già evidenziato dalla Dellapiana per l’architettura, l’opera neomedievale è il risultato di due diverse esigenze, dell’uso quotidiano e quella estetico-ideologica18. Se tale teoria è stata proposta dalla studiosa per i castelli si può facilmente estendere alla produzione di arti decorative, per le quali si presentava il medesimo problema: gli oggetti d’uso in stile rispondevano sì ai canoni della moda medievaleggiante, ma al tempo stesso dovevano essere attrezzati per le comodità alle quali era abituato il pubblico ottocentesco19. La descrizione della vita quotidiana dei feudatari compiuta dagli storici ottocenteschi risultava essere un modello improponibile per la nobiltà, promotrice – soprattutto in area piemontese – del revival medievale, era quindi necessario reinterpretare il Medioevo in un’ottica più “confortevole”20
. Gli autori delle opere neomedievali dovevano così compiere una crasi tra l’estetica dell’oggetto realizzato e le istanze di modernità del pubblico: si comprende quindi il caso della lampada di Michieli, utilizzabile sia in chiave medievale che contemporanea.
17 Catalogo dell’Esposizione, cit., 1877, p. 92; DE GUBERNATIS, 1906, p. 300. 18
Cfr. E. DELLAPIANA, Gli specialisti del “castle style”. Residenze, architetti e committenti, in EAD., M. VIGLINO DAVICO (a cura di), Dal castrum al “castello” residenziale. Il Medioevo del reintegro e
dell’invenzione, atti delle giornate di studio, Torino 2000, pp. 95-112.
19 Un concetto analogo era presente nell’edilizia residenziale ottocentesca, alla quale era richiesta una fusione di rimandi stilistici al Medioevo e tecnologia moderna. Un caso esemplare a tal proposito, dal punto di vista del pubblico, è costituito da Casa Giaccone, progettata da Riccardo Brayda nel 1890. Cfr. E. DELLAPIANA, Lo
stile castello: architetti, artisti, artieri nel medioevo piemontese di secondo Ottocento, in MANGONE, (a cura
di), 2005, pp. 77-82.
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IV Esposizione Nazionale di Belle Arti di Torino (1880).
Come quella indagata nel capitolo precedente, la mostra torinese del 1880 faceva parte delle esposizioni circolanti su scala nazionale, un’iniziativa propugnata dalle Società Promotrici per mettere riparo alla crisi in cui erano incappate1. L’evento fu però frutto di un lungo dibattito, che vedeva contrapposti i sostenitori delle esposizioni d’arte itineranti ai fautori di un accentramento stabile di questo tipo di manifestazioni a Roma, richiamandosi, de facto, al modello dei Salon parigini2. La disputa vide affermarsi il primo gruppo, vittoria che influenzò sicuramente, secondo la Lamberti, non solo il tipo di opere inviate dagli artisti a Torino, ma soprattutto l’assegnazione dei premi della giuria e le reazioni che essi suscitarono3
.
Si è già accennato in precedenza che le mostre di belle arti comprendevano spesso una sezione intitolata alle arti decorative. È il caso dell’esposizione napoletana del 1877, così come quello della presente mostra, all’interno della quale era stata allestita una sala con relativo annesso per l’“Arte applicata all’industria”, che contava un discreto numero di espositori. Ciononostante le pubblicazioni e gli articoli dedicati all’evento sono pochi, e tendono ad occuparsi sempre delle opere presentate nelle sezioni destinate alle “Arti maggiori”. L’unica fonte utile in tal senso è costituita dal catalogo ufficiale, il quale però, per esigenze di spazio, contiene solo le informazioni fondamentali per l’individuazione delle opere; inoltre l’unica edizione esistente non è illustrata, difficilmente si è quindi avuta un’idea precisa dell’aspetto degli oggetti citati.
1 Sull’esposizione torinese si veda LAMBERTI, 1982, pp. 37-54. 2
LAMBERTI, 1982, pp. 37-39. 3
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