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La vetrata di Giuseppe Bertini costituisce quasi un unicum tra le opere presentate all’esposizione fiorentina: la maggior parte di esse non hanno goduto di una tale fortuna critica, né ora né in passato, e sono di conseguenza di difficile individuazione. Tra di esse si annovera la spada realizzata da Gaetano Guidi, scultore di Pescia. Nel catalogo è citata come una “Gran spada eseguita in ferro”, decorata con “figure ed ornati Danteschi”, commissionata dal Consiglio provinciale di Firenze e donata a Vittorio Emanuele II in occasione della manifestazione126. Nonostante il valore simbolico dell’oggetto, e l’importanza del beneficiario del dono, non si hanno ulteriori notizie in merito. Avrà sicuramente contribuito alla mancata diffusione di informazioni sull’opera la scarsa fama del suo autore, sul quale si hanno pochissime informazioni: la sola fonte ottocentesca in proposito è costituita, secondo quanto riportato dal Salvagnini, da un certo Carlo Del Rosso, contemporaneo del Guidi ed autore di una cronaca locale pesciatina nella quale denigra l’artista in questione127

. Tuttavia, grazie all’articolo del Salvagnini ed al breve profilo tracciato dal Torresi, è possibile ricostruire, seppure in modo approssimativo, la figura dell’artista.

Nato a Pescia nel 1833, risulta frequentare l’Accademia di Belle Arti fiorentina negli anni Cinquanta, esponendo nel 1852 un gesso alla mostra accademica128. Dopo alcune commissioni nella sua città natale sembra si sia trasferito definitivamente a Firenze nel 1870, aprendo un laboratorio di scultura e cesello in piazza Beccaria129. Probabilmente risultò più apprezzato nella lavorazione del metallo che nella scultura lapidea, ottenne difatti un discreto successo nel 1869 all’esposizione provinciale di arte a Lucca, dove fu insignito della medaglia d’argento per un coltello da caccia commissionatogli da Vittorio Emanuele II130

. Il sovrano aveva difatti apprezzato la spada dantesca a tal punto da ordinare all’autore un’altra opera, appunto il coltello esposto a Lucca.

Benché non si siano rinvenute ulteriori notizie circa l’attuale collocazione della spada è probabile che fosse entrata a far parte delle collezioni private di Vittorio Emanuele II. Fortunatamente buona parte delle raccolte di armi dei sovrani italiani è conservata presso l’Armeria Reale di Torino, nella quale è presente un nucleo di oggetti appartenuti al primo re

126 L’arma è esposta dai committenti. Cfr. Esposizione Dantesca, cit., 1865, vol. III – Oggetti d’arte, p. 36. 127 G. SALVAGNINI, Scheda per Gaetano Guidi, artista mediocre e sconosciuto, in “Libero: ricerche sulla scultura del primo Novecento”, n. 9, 1997, pp. 3-6.

128 Cfr. TORRESI, 2000, p. 80. 129 SALVAGNINI, 1997, p. 6.

130 SALVAGNINI, 1997, p. 6; il Torresi riporta la medaglia ottenuta a Lucca, senza far riferimento alle opere premiate. TORRESI, 2000, p. 80.

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d’Italia131

. Grazie al Catalogo Angelucci è stato così possibile individuare al suo interno la spada indagata, alla sigla T.34 corrisponde difatti uno “Spadone storico di ferro colato, ricordo del sesto centenario della morte [sic] di Dante Allighieri [sic]” (Tavv. 2-4)132

. Curiosamente il catalogo non riporta l’autore, sebbene la spada, attualmente conservata nei depositi dell’Armeria Reale, rechi sulla lama la firma dell’artista, rendendo quindi impossibili eventuali altre attribuzioni133.

La decorazione dell’arma è alquanto complessa: oltre al pomolo, costituito dalle figure sedute di Dante e Virgilio, si possono identificare tre figurine – rispettivamente una maschile ed una femminile da un lato, ed un’altra maschile sul retro – che decorano i bracci dell’elsa. Su quest’ultima è invece raffigurata la caduta di Lucifero: sul lato anteriore l’arcangelo Michele trionfa sul demonio, mentre il recto è decorato da altre figure demoniache. La guardia presenta inoltre il giglio mediceo, ad indicare i donatori, il Comitato Provinciale fiorentino. Una particolarità della decorazione della lama è costituita sicuramente dall’iscrizione dedicatoria: vi è inciso difatti “Dante al primo Re d’Italia”, come se il comitato donatore fosse solo un intermediario. Ed il tema dantesco è ripreso anche dall’altro lato della lama, dove è riportata una terzina del canto sesto del Purgatorio (versi 112-114):

Vieni a veder la tua Roma che piagne Vedova sola, e dì e notte chiama:

“Cesare mio, perché non m’accompagne?”.

Se tali versi si inseriscono in realtà in un’invettiva politica di Dante, che deprecava le lotte civili che insanguinavano l’Italia, invitando l’imperatore tedesco a vedere in quale stato fosse ormai ridotta la penisola, in questo caso assumono evidentemente un altro significato. La colta citazione sembra quasi costituire un invito a Vittorio Emanuele II a conquistare Roma, “vedova sola”, che attende l’arrivo del sovrano; proposta che sembra tanto più plausibile se si

131 Le collezioni personali di Vittorio Emanuele II e Carlo Alberto pervennero al museo nel 1878, destinate ad essere collocate in apposite vetrine nella Rotonda. Cfr. F. MAZZINI, Origine e vicende delle raccolte, in ID. (a cura di), L’Armeria Reale di Torino, Busto Arsizio 1982, pp. 37-48.

132 Il Catalogo Angelucci riporta anche il coltello da caccia, segnato come T.61: “COLTELLO DA CACCIA. Lama e fornimento di ferro colato con cani ed emblemi allusivi alla caccia e per pomo un cinghiale, assalito da tre cani, di tutto tondo. Sulla lama, a taglio e costola, da una parte è la dedica – A V. E. II. RE D’ITALIA –, dall’altra la scritta – MANET SUB JOVE FRIGIDO VENATOR TENERAE CONJUGIS IMMEMOR –”. L’opera, conservata nei depositi dell’Armeria, è firmata “G. Guidi fecit”, è quindi possibile attribuirla al Guidi. Cfr. A. ANGELUCCI, Catalogo della Armeria Reale illustrato con incisioni in legno, Torino 1890.

133

Al momento non è ancora stata effettuata la schedatura della spada, tuttavia sono state fornite le misure: la lunghezza totale è di 145 centimetri – 117 la sola lama –, mentre i bracci sono larghi 22 centimetri. Il peso complessivo è di 4,586 chilogrammi.

Colgo l’occasione per ringraziare la direttrice dell’Armeria Reale di Torino, la dottoressa Alessandra Guerrini, per avermi permesso l’accesso ai depositi del museo.

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considera l’anno del dono, il 1865, quando il processo di unificazione era quasi completo, ad eccezione dei territori dello Stato Pontificio134.

In questo caso quindi un personaggio particolarmente rappresentativo del Medioevo come Dante viene sfruttato per veicolare un messaggio politico. In realtà gli elementi stilistici neomedievali rintracciabili nella decorazione dell’arma sono praticamente inesistenti, mentre il riferimento generale è ai modelli di età Manierista. Le figure semi-distese sui bracci, il mascherone sulla guardia, nonché la decorazione a candelabra della lama effettivamente paiono rifarsi, più che all’oreficeria trecentesca, a lavori del Cinquecento. La tematica dantesca in questo caso si limita solo alla rappresentazione dei protagonisti, mentre la parte ornamentale appare slegata da essa: non vi è alcun tentativo di realizzare un oggetto in stile medievale, per dare unità all’iconografia ed al tema decorativo, le due parti sono state considerate dal Guidi in modo indipendente, a scapito dell’unità stilistica.

134 Sulle vicende legate alla Questione Romana si vedano R. AUBERT, Il pontificato di Pio IX (1846-1878), Torino 1969; G. MARTINA, Pio IX (1851-1866), Roma 1986; ID., Pio IX (1867-1878), Roma 1990.

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Dante, statuetta in pietre dure di Paolo Ricci.

La spada con ornati danteschi non è la sola opera donata, nel corso dell’esposizione fiorentina, a Vittorio Emanuele II: è noto almeno un altro caso di donazione al sovrano, iniziativa però di un privato cittadino. Si tratta di una statuetta di Dante in pietre dure, realizzata in “soli” undici mesi da Paolo Ricci presso la Galleria dei Lavori in pietre dure di Firenze135, ed esposta dal marchese di Breme, prefetto di Palazzo136. L’autore era già noto per i suoi lavori presso l’opificio, ma fu grazie a questa statuetta, secondo il biografo Brunori, che ottenne la nomina reale di “maestro per i lavori di rilievo”137. L’opera dovette riscuotere un

discreto successo, anche il Finocchietti, nella relazione dell’Esposizione Generale del 1861 per la categoria “Mobilia” – pubblicata nel 1865 –, ricorda che in occasione del sesto centenario di Dante sarà ultimato dall’opificio “un altro stupendo lavoro” di Paolo Ricci, “una piccola statua rappresentante il divino poeta, alta 32 centimetri”138. L’artista fu premiato per

tale lavoro con una medaglia di bronzo ed una ricompensa di 400 Lire dal Ministero della Pubblica Istruzione139.

Sfortunatamente, allo stato attuale delle ricerche, non si è riusciti ad individuare l’opera. Brunori, che scrive nel 1906, riporta un’accurata descrizione della statuetta, elencando perfino i materiali utilizzati dall’artista per la sua realizzazione: è evidente quindi che, almeno fino a quella data, il Dante era visibile in qualche collezione140. Il biografo ricorda inoltre che nel 1867 l’opera fu concessa da Vittorio Emanuele II perché fosse inviata all’Esposizione Universale di Parigi, ma nemmeno le pubblicazioni coeve dedicate all’evento riportano alcuna notizia in merito, sebbene avrebbe dovuto riportare una menzione onorevole141. Si è identificato però un altro lavoro del Ricci analogo a quello esposto nel 1865, una statuetta di

135 COZZI, 1995, p. 107.

136 L’opera era stata quindi già donata ufficialmente dall’artista. Cfr. Esposizione Dantesca, cit., 1865, vol. III –

Oggetti d’arte, p. 34.

137 Paolo Ricci (1835-1892), originario di Fiesole, frequentò tra il 1851 ed il 1860 l’Accademia fiorentina, lavorando nel contempo presso la Galleria dei lavori in pietre dure: a fianco alla produzione di lavori di tale opificio si occupò difatti anche di scultura. Molte delle sue opere, sia scultoree che in pietre dure, furono presentate ad esposizioni italiane ed internazionali, ottenendo spesso un riconoscimento.

Per la biografia si vedano D. BRUNORI, Giovanni Bastianini e Paolo Ricci scultori fiesolani, Firenze 1906, pp. 33-51; A. PANZETTA, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, 2 voll., Borgaro 2003; TORRESI, 2000, p. 107.

138

Si veda FINOCCHIETTI, 1865, p. 194. 139 Cfr. BRUNORI, 1906, p. 38.

140 “La statuetta è alta 32 centimetri e posa sopra una base di 22. La tunica dell’Alighieri è di diaspro di Sicilia rosso, le carni in diaspro di Norcia, le maglie di diaspro di Alsazia, il cappuccio rosso di diaspro di Cipro e di calcedonio di Volterra. Il melagrano è di diaspro di Alsazia, il libro di legno pietrificato e il terreno di verde di Sicilia. La base poi di paonazzetto [sic] di Fiandra, le formelle di diaspro di Sicilia, le ghirlande di roba

dell’Arno. La formella principale ove è il Re Vittorio Emanuele nocchiero d’Italia è di mosaico di calcedoni e

diaspri; le iscrizioni sono di oro incassate”. BRUNORI, 1906, p. 38 n. 141 BRUNORI, 1906, p. 38.

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tema dantesco – il titolo è Dante ambasciatore presso Bonifacio VIII – conservata presso il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, citata e pubblicata anche dal Brunori142

. Egli distingue le due opere, così come fa il Mazzoni nella scheda ad essa relativa: effettivamente, leggendo le descrizioni del primo autore delle due statuette, si nota l’uso di materiali diversi: la versione conservata a Firenze ha il basamento realizzato in alabastro orientale, mentre quella donata a Vittorio Emanuele II presenta una base in pavonazzetto di Fiandra143.

Nella medesima scheda il Mazzoni rileva però l’esistenza, presso i depositi del museo, di un modello in gesso di un’altra versione della statuetta di Dante, probabilmente corrispondente, secondo lui, con quella realizzata dal Ricci per il centenario dantesco144. È stato possibile rintracciare il gesso nei depositi dell’Opificio delle Pietre Dure, e si sono effettivamente riscontrate delle analogie con la descrizione dell’opera riportata dal Brunori (Tavv. 5-6). Il Dante descritto dallo studioso porterebbe, ad esempio, dei melograni realizzati in diaspro di Alsazia, così come il modello dell’opificio tiene tra le mani alcuni frutti tondeggianti, che potrebbero identificarsi con essi145. Entrambi hanno inoltre un libro – in legno pietrificato – ma manca, nel resoconto del Brunori, qualunque accenno alla corona di lauro del poeta: forse, trattandosi di un elenco di materiali lapidei utilizzati per l’opera, era stata eseguita con un’altra tecnica146

. Mancano anche le scene che dovrebbero decorare il basamento della statua, di tema risorgimentale – quella principale rappresenterebbe Re Vittorio Emanuele

nocchiero d’Italia –, sul modello sono presenti solo le sagome delle formelle, ma per tali

decorazioni il Ricci avrà probabilmente realizzato degli appositi cartoni o modelli. A parte questi dettagli, il gesso fiorentino sembra ricalcare da vicino la descrizione dello studioso, è quindi plausibile l’ipotesi che si sia rinvenuto il modello della statuetta del Ricci.

È interessante rilevare come anche per tale opera, come già per la spada di Gaetano Guidi, la figura di Dante sia utilizzata per trasmettere un messaggio patriottico, volto all’esaltazione di Vittorio Emanuele II ed alla riconquistata unificazione del Paese. Come per l’oggetto precedente poi, l’opera non sembra presentare evidenti richiami stilistici al Medioevo, al di là del soggetto e dell’ornamentazione della base, le cui formelle polilobate richiamano le porte del Battistero di Firenze. La figura stessa del poeta trae però verosimilmente ispirazione da un modello medievale: Paolo Ricci aveva sicuramente presente l’effigie dantesca del Palazzo del Podestà, descritta in una lettera del funzionario della Direzione delle Regie Fabbriche come

142 Cfr. BRUNORI, 1906, p. 38. Per la scheda della statuetta si rimanda a P. MAZZONI, 431. Paolo Ricci. Dante

ambasciatore presso Bonifacio VIII, in ID., A. M. GIUSTI, A. PAMPALONI MARTELLI (a cura di), Il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, Milano 1978, p. 311.

143 Cfr. BRUNORI, 1906, pp. 38-39 nn.; MAZZONI, 1978, p. 311. 144 MAZZONI, 1978, p. 311.

145 BRUNORI, 1906, p. 38 n. 146 Ibid.

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quella di un uomo “nella fresca età di 32 anni”, recante “in una mano un libro, nell’altra un ramoscello di melograna”147

. Poiché si riscontra la presenza di entrambi gli oggetti nella statuetta in questione, e considerato che non sembrano caratteri peculiari delle rappresentazioni di Dante, è quantomeno lecito supporre che l’artista si sia basato in maniera più o meno diretta su tale testimonianza figurativa, cercando forse di fornire una versione tridimensionale dell’effigie. Si ricorda inoltre la già ricordata fortuna critica di cui godeva il ciclo pittorico all’epoca, come dimostra l’ampia presenza di ritratti ad esso ispirati alla mostra dantesca.

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