Gli espositori finora indagati presentavano le loro opere in un allestimento eterogeneo, che mirava a mostrare il maggior numero di oggetti possibile; l’incisione della Compagnia Venezia-Murano citata in precedenza costituisce in tal senso un caso esemplificativo, così come le numerose vedute delle gallerie pubblicate dai periodici dell’epoca. Nella presente esposizione iniziava a farsi strada però una nuova modalità di presentazione, meno fitta ma sicuramente di maggior impatto: la realizzazione degli ambienti. Si tratta in realtà di una pratica da tempo in uso presso le Esposizioni Universali – basti pensare alla famosissima
Mediaeval Court, progettata dal Pugin in occasione della Great Exhibition di Londra del 1851
– ma gli espositori italiani sembravano prediligere l’esposizione di tutti i loro prodotti, a scapito dell’unitarietà tematica.
Alla mostra milanese erano presenti alcuni ambienti realizzati da mobilieri e tappezzieri, i quali avevano allestito una serie di salotti con le proprie opere: è il caso dell’ambientazione neomedievale della Sala Bresciana, progettata da Antonio Tagliaferri49. Se il Catalogo
ufficiale si limita a citare l’opera e l’esecutore, i periodici dell’epoca si occuparono
minuziosamente di essa, sia tramite articoli specifici che con un’incisione, a testimonianza del successo che doveva aver riscosso (Tav. 13)50.
Scopo della sala era fornire “e per l’architettura e per l’esposizione che accoglie, un’idea dell’arte decorativa bresciana”, anche se nel medesimo articolo la si definisce “nello stile fiorentino del secolo decimo quarto”51. In realtà essa presentava numerosi riferimenti a
Brescia, a cominciare dagli stemmi posti tra la tappezzeria e la cornice del soffitto, ad illustrare i dominatori della città lombarda, “da quello dell’Arduino nell’888, venendo giù giù fino all’impero napoleonico, all’austriaco (che ricorda l’eroismo delle Dieci Giornate) e all’attuale d’Italia”52. Al di sopra sono poste le insegne delle più importanti borgate bresciane,
alternate ai nomi dei principali corsi d’acqua: il riferimento stilistico non era forse immediatamente collegabile a Brescia, ma è evidente che la decorazione si incentrasse sulla città lombarda.
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La Guida del Visitatore parla, a tal proposito, della presenza all’interno dell’esposizione di una “fila dei salotti che i fabbricatori di mobili e i tappezzieri hanno allestito”. Cfr. Esposizione Industriale Italiana del 1881 in
Milano. Guida, cit., 1881, p. 82.
50 Cfr. Esposizione Industriale Italiana, cit., 1881, p. 237; si veda inoltre l’Appendice documentaria. Per gli articoli si vedano G. CORONA, I mobili, in L’Esposizione Italiana del 1881, cit., 1881, pp. 98-99, 162, 178-179, 193-195; ivi, 1881, p. 267.
51 L’Esposizione Italiana del 1881, cit., 1881, p. 267.
52 Cfr. L’Esposizione Italiana del 1881, cit., 1881, p. 267. Per la descrizione puntuale della sala si veda anche l’Appendice documentaria.
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La progettazione dell’ambiente comprendeva ogni singolo aspetto dell’allestimento, dalla tappezzeria in cuoio agli arredi lignei: l’obbiettivo era la restituzione di un interno medievale “dell’epoca dei vassalli e dei valvassori”53. Di questa parte si occupò Antonio Tagliaferri,
architetto attivo in Lombardia nel secondo Ottocento, specializzato in edifici in stili storici e restauri architettonici54. Formatosi alla Scuola comunale di disegno bresciana e tra il 1855 ed
il 1859 presso l’Accademia di Brera – dove probabilmente entrò in contatto con Camillo Boito –, all’epoca dell’Esposizione di Milano aveva già realizzato alcune architetture neogotiche – come il villino Lechi – ed era impegnato nel cantiere del Santuario di Santa Maria delle Grazie a Brescia dal 187555. La formazione milanese, improntata ancora su una
lettura decorativa e storicista dell’attività architettonica, influenzò in tale direzione il Tagliaferri, come emerge chiaramente dalla sua produzione e dalla sala bresciana allestita nel 188156.
Particolarmente interessante risulta, a tal proposito, il contemporaneo intervento dell’architetto presso il santuario di Brescia, dal quale il Terraroli ipotizza la derivazione di una serie di elementi decorativi57. In entrambi sarebbe rilevabile il riferimento al “gotico
fiorito di marca italiana” a cui si aggiunge, nel caso della Sala Bresciana, il Tudor inglese, rilevabile in particolare nella porta d’ingresso alla sala – non presente nell’incisione, ma disegnata dal Tagliaferri nell’unico progetto ad esso relativo 58. La componente italiana
sembra in realtà, nel caso di Santa Maria delle Grazie, provenire a sua volta da diversi modelli, dal tabernacolo di Orsanmichele dell’Orcagna all’architettura francescana, oltre ai chiostri di San Paolo fuori le mura e alla pittura preraffaellita limitatamente agli affreschi59.
Considerata la vicinanza stilistica del santuario e della sala bresciana, ed i sopracitati elementi compositivi in comune – le colonnine tortili, le bifore, i pinnacoli – è possibile sostenere una comunanza di modelli, in questo caso interpretati più liberamente in chiave cortese.
53 Cfr. CORONA, 1881, p. 194.
54 Per un profilo biografico di Antonio Tagliaferri (1835-1909) si rimanda a DE GUBERNATIS, 1906, p. 502; C. ZANI (a cura di), Antonio Tagliaferri 1835-1909, in Brescia postromantica e Liberty 1880-1915, cat. della mostra, Brescia 1985, pp. 262-263; V. TERRAROLI, Antonio e Giovanni Tagliaferri due generazioni di
architetti in Lombardia tra Ottocento e Novecento, Brescia 1991.
55 TERRAROLI, 1991, p. 28. Sul restauro di Santa Maria delle Grazie (1875-1907) si veda ID., Il Santuario
delle Grazie a Brescia e il Castello Bonoris a Montichiari: neogotico sacro e neogotico cortese a confronto, in
ID., R. BOSSAGLIA (a cura di), 1989, pp. 127-134; ID., Santuario della Madonna delle Grazie – Brescia, in ID., La grande decorazione e Brescia tra Ottocento e Novecento, Brescia 1990, pp. 48-53; ID., 1991, pp. 50-55. 56 Cfr. TERRAROLI, 1991, pp. 19-20.
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Cfr. TERRAROLI, 1991, p. 69. 58 TERRAROLI, 1991, p. 69.
59 Nel dettaglio, il riferimento a San Paolo fuori le mura si dovrebbe alla decorazione a mosaico dei pilastri del chiostro, il tabernacolo dell’Orcagna sarebbe stato ripreso per l’altare e la cornice dell’affresco, mentre le volte e le bifore richiamerebbero nella struttura l’architettura francescana. TERRAROLI, 1991, p. 53.
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Tale consonanza stilistica era dovuta anche alla minuziosa progettazione del Tagliaferri, che in entrambi i casi sembra curasse l’allestimento degli ambienti nei minimi dettagli. Se ciò è stato appurato dal Terraroli relativamente al cantiere di Santa Maria delle Grazie, la corrispondenza dell’acquerello di progetto con l’immagine della sala bresciana riportata da
L’Esposizione Italiana del 1881 porta a supporre un’attenzione analoga per tutti gli aspetti
dell’esecuzione dell’opera60. Le maestranze attive per la sala sembrano attenersi
semplicemente alle sue indicazioni, realizzando gli arredi e le decorazioni secondo il progetto originario; tuttavia, trattandosi di un’opera collettiva, erano segnalati – e riportati dai periodici dell’epoca – i nomi di tutti i collaboratori, la maggior parte dei quali non risulta presente però né nella letteratura dell’epoca né nei repertori artistici contemporanei61.
Probabilmente, trattandosi di maestranze bresciane, avevano già collaborato in precedenza con il Tagliaferri nei cantieri locali: Davide Lombardi ad esempio, autore degli stipiti interni delle porte, era attivo presso il Santuario di Santa Maria delle Grazie, per il quale realizzò parte delle sculture in marmo62. Nel medesimo cantiere erano presenti gli stuccatori Peduzzi
di Bergamo, autori delle parti aggettanti di cornici, volte e pilastri: impiegati in numerosi cantieri lombardi, e probabilmente in alcuni del Tagliaferri, collaborarono anche alla realizzazione della sala bresciana, per la quale realizzarono il “camino in scagliola”63.
Purtroppo, anche nei casi di una presenza attiva sul territorio come per le maestranze in questione, scarseggiano informazioni in proposito: nelle fonti ottocentesche non si trova alcun riferimento a Davide Lombardi, così come per l’intagliatore Vincenzo Frigerio, autore di quattro sedie e del soffitto. I cognomi di entrambi gli artigiani ricorrono nelle pubblicazioni del Caimi e del De Gubernatis, ma in relazione ad altri nomi e, nel caso di Frigerio, a diverse
60 Cfr. TERRAROLI, 1991, pp. 52-53; ID., Disegni d’archivio negli studi storici: il caso bresciano di Antonio e
Giovanni Tagliaferri e Luigi Arcioni, in P. CARPEGGIANI, L. PATETTA (a cura di), Il disegno di architettura,
atti del convegno, Milano 1989, pp. 73-78.
61 “Ecco, a titolo di ben meritato onore, il nome di tutti i bravi bresciani che concorsero ad attuare il progetto dell’ingegner Tagliaferri: Barlassina Ferdinando, fece la libreria; Bonardi G. Maria di Iseo, fornì le pelli per la tappezzeria, e Capretti Pietro quelle per le sedie; Fasser Giovanni, fece le due cantoniere; Federici Rodolfo, inverniciò le finestre e provvide i serramenti; Frigerio Vincenzo, fece quattro sedie e il soffitto; Gallufri Simone, fece gli stipiti esterni in marmo delle porte; Gilardoni Vincenzo, le cornici e il zoccolo della sala; Gozzolo Giovanni, le investiture delle finestre; l’Istituto Pavoni, provvide le poltrone, gli alari, la griglietta, le molle e la paletta; Lombardi Davide, gli stipiti interni delle porte; Mena Felice, il tavolo; Moccinelli Gaetano, fece il canapè; i fratelli Peduzzi, il camino in scagliola; Peverati T. e C., il pavimento; Zaccarelli Giovanni eseguì la decorazione delle pareti” (CORONA, 1881, p. 194).
Il secondo articolo de L’Esposizione Italiana del 1881 cita inoltre la ditta Peverati F. e C. per la pavimentazione, i fratelli Peduzzi per il camino, Armanelli – decorazione della tappezzeria in cuoio della ditta Bonardi –; è inoltre riportata un’altra versione del nome del decoratore delle pareti, Zuccarelli invece di Zaccarelli (L’Esposizione
Italiana del 1881, cit., 1881, p. 267).
62 Terraroli attribuisce a lui la balaustra, l’altare, lo zoccolo perimetrale ed i plinti dei pilastri. Cfr. CORONA, 1881, p. 194; TERRAROLI, 1990, p. 50; ID., 1991, p. 53.
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professioni64. È possibile che si tratti di una semplice coincidenza, anche se per Lombardi è
più probabile che l’artista citato dal Caimi – attivo negli anni Sessanta dell’Ottocento come scultore a Brescia – fosse imparentato con lui. Un ragionamento analogo si può fare per l’Eugenio Lombardi nominato dal De Gubernatis, la cui attività sembra però contemporanea a quella di Davide: si potrebbe supporre che l’autore abbia confuso il nome dello scultore con un altro, ma si tratta solamente di un’ipotesi, sostenuta solamente dalla coincidenza delle date. Anche le guide commerciali dell’epoca non forniscono elementi utili: il solo riferimento pertinente è stato individuato all’interno dell’Annuario Lossa, dove Vincenzo Frigerio, Giovanni Fasser e Felice Mena sono citati tra i fabbricanti di mobili in legno di Brescia, ma purtroppo il repertorio si limita a riportare i nomi degli artigiani, senza dare ulteriori informazioni sulla loro attività65. I Peverati, autori del pavimento della Sala Bresciana
“formato da mattonelle di cemento”, sono a loro volta presenti nella sezione dedicata alla città di Brescia, nella categoria “Decorazioni in Cemento”: anche in questo caso però, come già per i mobilieri, non vengono fornite altre notizie, come l’indirizzo della ditta o eventuali specializzazioni della stessa66.
Probabilmente le maestranze che collaborarono con il Tagliaferri alla sala bresciana godevano di una certa fama solo a livello locale, ciò spiegherebbe la loro assenza dai repertori artistici ottocenteschi. Inoltre erano quasi tutti impiegati nel settore delle arti decorative, ed i dizionari artistici dell’epoca difficilmente comprendevano gli artigiani, a meno che non si trattasse di figure di spicco come i Barbetti o Augusto Castellani67.
La sala bresciana riscosse un grande successo all’Esposizione di Milano, ottenendo una medaglia d’argento nella sezione XX per il “merito nell’invenzione del disegno”, motivazione che sembra lodare soprattutto l’operato del Tagliaferri68. Il relatore specifica inoltre che tale
premio ha carattere “più accademico che industriale”, e che la giuria scelse comunque di premiare l’opera sia per i pregi della decorazione dell’ambiente che per la “buona direzione di tutti gli artisti cooperatori di quell’ammirato assieme di mobilio”69. La commissione sembra
64 Il Caimi cita un Giovan Battista Lombardi di Brescia, noto per “alcuni monumenti sepolcrali” mentre tra i pittori scenici è nominato Aristide Frigerio. De Gubernatis parla invece di Eugenio Lombardi, uno scultore residente a Milano attivo negli anni Ottanta dell’Ottocento. Cfr. CAIMI, 1862, p. 117-118 n.; ivi, 1862, p. 192; DE GUBERNATIS, 1906, p. 264.
65 Annuario Lossa: almanacco di commercio delle città di Genova, Milano e Torino e principali provincie
lombarde, Torino 1882, p. 24.
66 L’Esposizione Italiana del 1881, cit., 1881, p. 267; Annuario Lossa, cit., 1882, p. 23. 67
Si veda a tal proposito DE GUBERNATIS, 1906, pp. 33-34; ivi, pp. 108-109.
68 E. BALOSSI, Sezione XX. – Classi 38.a, 39.a e 45.a – Mobili, lavori di tappezzeria e decorazione. Lavori da legnaiuolo, canestraio, ecc., in Esposizione Industriale Italiana del 1881 in Milano. Relazioni dei giurati – le arti usuali, Milano 1883, pp. 4-12.
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quindi apprezzare in particolar modo, più che le capacità tecniche degli artigiani impiegati, la coerenza stilistica che domina l’insieme, caratteristica che si deve sostanzialmente alla supervisione ed alla direzione generale dell’architetto.
L’ambientazione fu ammirata anche dai sovrani, che la acquistarono nel corso della loro visita all’Esposizione Generale. Come rileva il Colle, Umberto I e la consorte comprarono una parte dell’arredo, verosimilmente per il Palazzo Reale di Milano, dove risulta presente nell’inventario del 1909, che registra, nelle collezioni private dei sovrani, due seggioloni – uno dei quali è visibile nell’incisione – le sei sedie ed il tavolo (Tav. 14); tali oggetti sarebbero attualmente conservati nei depositi della Villa Reale di Monza, mentre si ignorano le vicende successive all’esposizione del resto degli arredi bresciani70.
70 COLLE, 2007, pp. 272-274; per l’Inventario degli Oggetti d’arte e Mobili di Proprietà Privata di S.M. nel
Real Palazzo di Milano e Real Villa di Milano si veda ID., Gli inventari delle Corti. Le guardarobe reali dal XVI al XX secolo, Firenze 2004.
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