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Anche la Commissione Promotrice scelse di celebrare il pontefice, oltre che organizzando l’esposizione, offrendogli un dono particolarmente sontuoso: un altare in stile “ogivale”, completo di tutti gli arredi sacri necessari, destinato alla cappella privata del Papa76. A tale fine, secondo quanto riportato nell’Esposizione Vaticana illustrata, indisse un concorso pubblico per un altare, da realizzarsi nello stile “di quell’epoca che arricchì l’Italia e l’arte sacra di capolavori, nei quali tutto è misticismo celestiale, tutto solleva l’anima del credente a sovraumani pensieri”, ovvero in quello “gotico-italiano, del secolo XIV e XV”; altra caratteristica fondamentale dell’opera era la presenza di parti amovibili, dove collocare il maggior numero di reliquie, che potevano essere scoperte grazie ad alcuni marchingegni, senza alterare “il concetto artistico e la decorazione dell’altare”77

.

La giuria del concorso – che comprendeva, tra gli altri, Camillo Boito – scelse alla fine il progetto dell’architetto milanese Gaetano Moretti (Tav. 18), seguito da Raffaele Cattaneo al secondo posto ed Edoardo Collamarini al quinto, due artisti che risulteranno comunque presenti all’esposizione78. L’autore del progetto vincitore si occupò anche della realizzazione

dei disegni di tutti gli arredi sacri, in collaborazione con alcuni artigiani: insieme ad un certo Belloni o Bellesio, a seconda delle pubblicazioni consultate – si tratta probabilmente di Eugenio Bellosio, citato nell’Esposizione Vaticana illustrata per alcune oreficerie eseguite per l’altare ogivale –, per il calice, la pisside, le ampolline con il relativo vassoio, la bugia, la pace ed il vassoio per lo zucchetto (Tavv. 19-24); con Valentino Gini la brocca ed il relativo bacile (Tavv. 25-26); Mario Quadrelli si occupò invece del Crocifisso per l’altare e parte dei candelieri (Tavv. 27-28); altri candelabri furono realizzati da un altro orefice milanese, indicato alternativamente come Tavazzano, Gavazzano o Pietro Tarvazano, autore anche della “urnetta per le abluzioni” – o oblazioni, secondo la fonte consultata – (Tavv. 29-30); la ditta E. Frette e C. di Monza realizzò la tovaglia per l’altare (Tav. 31); ed infine al Moretti solo di deve il leggio per altare (Tav. 32)79.

76 A. BARTOLINI, L’arte all’esposizione, in L’Esposizione Vaticana, cit., 1888, pp. 82-83. 77

L’Esposizione Vaticana, cit., 1888, pp. 10-11; Album dell’Esposizione Vaticana, Roma 1888; EQUES, Un

altare messo a concorso, in Esposizione mondiale, cit., 1888, pp. 26-27; ID., Altare offerto dalla Commissione promotrice delle feste giubilari, ivi, p. 37; ivi, p. 186.

78 Cfr. Album dell’Esposizione, cit., 1888, p. 26. 79

Per gli arredi sacri dell’altare si vedano Album dell’Esposizione, cit., 1888, pp. 26-27; ivi, p. 164; ivi, p. 175;

ivi, p. 187; ivi, p. 196; F., La tovaglia da altare commemorativa del giubileo sacerdotale del S. Padre, in L’Esposizione Vaticana, cit., 1888, p. 50; ID., I vasi ed arredi sacri per l’altare ogivale, ivi, pp. 110-111; si

rimanda inoltre a G. CECCARELLI, Piatto per lo zucchetto di Papa Leone XIII, in ID., GENTILINI, NARDICCHI (a cura di), 2007, p. 54; ID., Pace di Papa Leone XIII, ivi, p. 60 ed all’Appendice documentaria.

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Oltre agli arredi propriamente intesi, l’architetto prestò la sua opera per la realizzazione di altri oggetti, riferibili sempre all’altare ogivale ma donati da altre istituzioni; i “Tavolini- lampade”, ad esempio, da collocare ai lati dell’altare, furono realizzati in “quello stile gotico- lombardo, tanto adatto all’architettura”, da Ludovico Rossi, come dono del Comitato Milanese (Tav. 33); gli Artigianelli di Monza realizzarono invece l’inginocchiatoio intagliato, offerto dalle parrocchie della città (Tav. 34)80. La scuola collaborò con il Moretti anche per la realizzazione di un pulpito in legno intarsiato, a sua volta nello “stile ogivale italiano del miglior secolo”, ad ulteriore complemento dell’altare (Tav. 35)81

.

Tutti gli arredi erano stati progettati in consonanza con l’altare, riprendendo sempre i medesimi colori – oro, rosso e blu, probabilmente utilizzati anche per l’opera principale –; dalle descrizioni delle fonti dell’epoca l’insieme non sembra molto diverso dagli ambienti ricostruiti presenti all’esposizione milanese del 1881, all’interno dei quali tutti i pezzi erano stilisticamente omogenei. La cappella non era collocata però in un’area espositiva apposita, come nei casi appena ricordati, ma trovava posto nel Salone dell’Alta Italia, insieme ad altre opere presentate dalle regioni settentrionali del regno: a giudicare dalle incisioni delle pubblicazioni ottocentesche sembra che l’allestimento fosse alquanto affastellato, probabilmente per la scarsità di spazio disponibile (Tavv. 36-37)82. Dai periodici dell’epoca e dalle relative incisioni si possono rilevare ulteriori elementi: le oreficerie realizzate per l’altare ogivale non erano disposte sulla mensa, per dare un’immagine complessiva dell’insieme ma, ad eccezione della croce, erano state collocate in due vetrine83

. Gli altri arredi per la cappella papale – il pulpito e l’inginocchiatoio, entrambi opera degli Artigianelli di Monza – non erano a loro volta immediatamente riferibili all’altare del Moretti: erano difatti collocati in una posizione abbastanza defilata, a sinistra dell’altare ed in parte nascosti dai pilastri del salone; inoltre il genuflessorio era conservato in una vetrina, divenendo così più un capolavoro da ammirare che parte di un ambiente84. Nonostante i presupposti paiano i medesimi, siamo ancora lontani dagli allestimenti in stile delle Esposizioni Generali, sembra

80 Cfr. F., 1888, p. 110; Album dell’Esposizione, cit., 1888, p. 26; ivi, p. 202. Si veda anche l’Appendice documentaria.

81

F., Ambone di stile ogivale disegnato dal Prof. Cav. Gaetano Moretti, intagliato in legno dagli Artigianelli di

Monza ed offerto dalla Congregazione dei Figli di Maria, in L’Esposizione Vaticana, cit., 1888, p. 529; si veda

anche ivi, p. 271; Album dell’Esposizione, cit., 1888, p. 143; Esposizione mondiale, cit., 1888, p. 126. 82 Cfr. F., Il Salone dell’Alta Italia. Prospetto principale, in L’Esposizione Vaticana, cit., 1888, p. 103. 83

Per la descrizione delle vetrine e del loro contenuto si veda Album dell’Esposizione, cit., 1888, pp. 26-27. 84 In realtà le incisioni rappresentanti il Salone dell’Alta Italia raffigurano l’inginocchiatoio sia all’interno della vetrina (Tav. 36, sul lato sinistro) che al di fuori, accanto al pulpito ogivale (Tav. 37). Un articolo dell’Album

dell’Esposizione Vaticana sembrerebbe però contraddire quest’ultima scelta espositiva, visto che sostiene a sua

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non interessi tanto la ricreazione di una stanza quanto la semplice presentazione dei doni offerti a Leone XIII.

La mancata comprensione del tentativo del Moretti di proporre un allestimento stilisticamente omogeneo spiega le diverse destinazioni che hanno avuto le opere realizzate: l’altare ogivale fu donato alla chiesa del Carmine di Pavia nei primi anni del nuovo secolo – Beltrami pubblica una riproduzione dell’opera posta nell’attuale sede nel 1912 (Tav. 38) – unitamente ad una parte degli arredi sacri85. Le oreficerie realizzate dal Bellosio, probabilmente per la fama di cui godeva all’epoca, sono tuttora conservate presso la Sacrestia Apostolica del Vaticano: la pisside, il calice, la bugia, la pace ed il vassoio per lo zucchetto fanno ancora parte delle collezioni papali, così come l’urnetta per abluzioni o oblazioni del Tavazzano, attualmente utilizzata come supporto per le mitre86. Si ignora l’ubicazione degli altri arredi destinati alla cappella privata del Papa, come il pulpito e l’inginocchiatoio, o i tavolini- lampade: probabilmente sono stati donati a loro volta da Leone XIII o da uno dei suoi successori ad una o più chiese sparse sul territorio italiano, rendendo difficile la loro individuazione.

Tali circostanze non hanno sicuramente contribuito alla proliferazione di studi sugli arredi in questione od i loro autori; nonostante si tratti forse dell’unico ambiente presente all’Esposizione Vaticana realizzato in base a criteri di unità stilistica, sotto la supervisione di un solo architetto, non si hanno molte informazioni in merito. Gli stessi periodici dell’epoca, pur dilungandosi sulle vicende legate al concorso ed all’assegnazione del premio al Moretti, riportano poche notizie sugli arredi realizzati per esso: mostrano di riconoscere ed apprezzare l’unitarietà stilistica delle opere – “tutto questo accordo di lavori dello stile gotico”, scrive Bartolini, “ammorbidito dal carattere dello stile italiano, forma un bel richiamo d’arte” – ma si limitano a dare qualche informazione sull’esecutore dell’opera ed una breve descrizione della stessa, con eventuali riferimenti allo stile adottato87. La pisside del Bellosio, ad esempio, sarebbe ascrivibile allo “stile ogivale nordico”, mentre il calice, del medesimo autore,

85 Cfr. L. BELTRAMI (a cura di), Gaetano Moretti: costruzioni, concorsi, schizzi, s. l. 1912, tav. 10.

86 Per parte delle oreficerie del Bellosio presenti nella Sacrestia Apostolica si veda ORSINI, 2000, pp. 131-133;

ivi, pp. 157-159.

Su Eugenio Bellosio si veda C. COSTANTINI, Per la rinascita dell’arte del cesello. Eugenio Bellosio, in “Arte Cristiana”, 1913, n. 3, pp. 65-73; O. ZASTROW, Una inedita opera di argenteria nel contesto della geniale

creatività di Eugenio Bellosio, in “Archivi di Lecco”, 2001, n. 4, pp. 63-82. Sulle opere dell’orafo conservate

presso il Castello Sforzesco cfr. ID., Museo d’Arti Applicate – Oreficerie, Milano 1993, pp. 256-257; ivi, pp. 263-275; P. VENTURELLI, Argentieri e orefici a Milano e in Lombardia dal tardo Settecento agli anni Trenta, in V. TERRAROLI (a cura di), Le arti decorative in Lombardia nell’età moderna 1780-1940, Milano 1999, pp. 280-342

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“arieggia piuttosto il 500”88. Maggiore attenzione è fornita all’ambone degli Artigianelli di

Monza, al quale vengono dedicati alcuni articoli sull’Esposizione mondiale Vaticana e

L’Esposizione Vaticana illustrata, ma anche in questo caso la maggior parte del loro

contenuto è rappresentato da una minuziosa descrizione del pulpito, che, per quanto possa essere utile per la cromia dell’opera, è per il resto di scarso interesse, data la presenza di incisioni specifiche nelle medesime pubblicazioni89. Le poche indicazioni stilistiche sono alquanto vaghe, e si limitano a segnalare particolari dell’opera come ascrivibili genericamente all’arte “ogivale” italiana; l’indicazione più precisa è riferita ad alcuni elementi decorativi, riferibili al periodo del Quattrocento “che precedeva sì da vicino la rinascenza in Italia”90. Gli studi sulle opere in questione non sono aumentati nel corso del tempo, anche a causa dell’ignota ubicazione di buona parte delle opere; quelle attualmente conservate nella Sacrestia Apostolica sono state a loro volta ignorate dalla critica contemporanea, che si è limitata a considerarle singolarmente in pubblicazioni di carattere generale, senza alcun affondo sugli artigiani impiegati o eventuali modelli di riferimento91. Eppure l’intero ambiente si doveva, quanto meno per l’ideazione, all’opera di Gaetano Moretti (1860-1938), uno dei principali architetti attivi in Lombardia tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo successivo, allora alle prese con le prime commissioni. Figlio di un ebanista milanese, si formò all’Accademia di Brera, dove conobbe Camillo Boito ed il giovane assistente Luca Beltrami, che influenzarono in maniera decisiva la produzione iniziale del Moretti, caratterizzata da una spiccata predilezione per il tardogotico nella sua versione più calligrafica, frutto sia della formazione braidense che della produzione degli “stereotipati arredi neomedievali” prodotti dal padre92. All’attività architettonica – caratterizzata, in questa

fase, dalla partecipazione a concorsi pubblici, ed alla realizzazione di alcuni altari – affiancò fin dall’inizio quella restaurativa, collaborando con il Beltrami nel 1884 alla campagna di

88 F., 1888, pp. 110-111; si veda inoltre l’Appendice documentaria. 89

Su L’Esposizione Vaticana illustrata ad esempio del pulpito si dice che “la tinta del legno, di quercia naturale, è di un bruno pallido traente a violaceo, molto opportuno a dar risalto ai piccoli fondi colorati d’azzurro chiuso e di rosso porpora nelle riquadrature, nei medaglioni e spigoli delle cornici, lumeggiati a lambelli d’oro, come pure nelle spirali dei colonnini, e nelle piccole figure geometriche dei listelli e dei fregi”, mentre, per quanto riguarda lo stile, si demanda il giudizio agli “amatori dello stile ogivale italiano del miglior secolo”, pur apprezzando l’abilità esecutiva. F., 1888, p. 529. Si veda anche Album dell’Esposizione, cit., 1888, p. 143;

Esposizione mondiale, cit., 1888, p. 126 e l’Appendice documentaria.

90 “La tinta leggermente violacea del legno […], dà grande risalto ai listelli dorati dei colonnini a tortiglione, delle cornici e dei reticolati multiformi, proprii delle ogive del quattrocento”. Album dell’Esposizione, cit., 1888, p. 143; Esposizione mondiale, cit., 1888, p. 126.

91 Cfr. ORSINI, 2000, pp. 157-159.

92 Su Gaetano Moretti si vedano BELTRAMI (a cura di), 1912; L. RINALDI, Gaetano Moretti, Milano 1993, p. 22.

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rilievi e di restauri del Castello Sforzesco93. Divenuto “Primo Aggiunto” di Architettura a Brera, dal 1887 sostituì Luca Beltrami in tale ruolo, oltre ad occuparsi di altri insegnamenti minori presso la medesima istituzione, ottenendo quindi una posizione di un certo rilievo già in giovane età94. In seguito continuò a mantenere il duplice ruolo di architetto e restauratore, anche a seguito delle cariche pubbliche che nel corso della sua carriera andò a ricoprire: si ricorda, tra i primi incarichi che svolse, la sua nomina nel 1891 a vice-direttore dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti in Lombardia, divenendone Reggente quattro anni dopo; nel 1904 entrò a far parte della Fabbrica del Duomo di Milano – dapprima come membro dell’Ufficio Tecnico e Artistico, e, pochi mesi dopo, come Architetto – mentre è ascrivibile al 1907 la sua nomina a Soprintendente ai Monumenti della Lombardia95.

Si possono facilmente capire le ragioni della scelta del suo progetto da parte della giuria per la realizzazione dell’altare ogivale: al momento del concorso si trattava già di una figura di un certo peso nel panorama lombardo di fine Ottocento, che nonostante i soli 26 anni d’età, poteva vantare un discreto iter artistico.

Gli artigiani che collaborarono con Moretti non godono della medesima fortuna critica, nonostante si tratti in alcuni casi di figure di spicco all’interno del loro settore. Il più noto di essi è Eugenio Bellosio, il quale è stato finora studiato quasi esclusivamente per la produzione di ambito neo-rinascimentale, soprattutto per gli oggetti presenti nelle raccolte del Castello Sforzesco milanese, mentre le opere ispirate al Medioevo sono solitamente citate di sfuggita96. Sicuramente le opere neomedievali costituivano un aspetto quantitativamente minore del suo lavoro, tuttavia si possono annoverare numerose commissioni eseguite in tale stile: dalle oreficerie per il suddetto altare ogivale, al reliquiario di Arona, realizzato nel 1875 ed esposto nel 1898 a Torino, al pastorale per il cardinale Ferrari, donato nel 189497.

Allievo di Giovanni Bellezza dall’età di 15 anni, il Bellosio (1847-1927) frequentò per un breve periodo anche l’Accademia di Brera, dovendo abbandonarla in seguito per motivi economici. Iniziò a riscuotere ampi consensi all’Esposizione Generale di Torino del 1884, dove presentò un’anfora ed il relativo vassoio in argento cesellato, pervenuto nel 1923 come

93 Cfr. RINALDI, 1993, pp. 24-27; ivi, pp. 33-34. Per i restauri del castello e la figura del Beltrami si vedano P. CORDERA, Ernesto Rusca e Luca Beltrami: pittura e decorazione tra progetto e restauro, in MANGONE, (a cura di), 2005, pp. 99-106; O. SELVAFOLTA, Orientamenti del gusto e figure di artefici nell’architettura

Lombarda tra ‘800 e ‘900: il neosforzesco e il caso del decoratore Ernesto Rusca, ivi, pp. 83-98.

94 RINALDI, 1993, p. 27. 95

Per una panoramica generale sugli incarichi pubblici del Moretti cfr. RINALDI, 1993, pp. 247-261.

96 Per un profilo biografico del Bellosio si vedano COSTANTINI, 1913, pp. 65-73; ZASTROW, 2001, pp. 63- 82. Si rimanda inoltre alle note precedenti.

97 Cfr. VENTURELLI, 1999, p. 297. Per il reliquiario di Arona si rimanda al capitolo relativo all’Esposizione di Arte Sacra di Torino (1898).

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dono alle Civiche Raccolte di Arte Applicata a Milano98. È proprio a partire dagli anni Ottanta difatti che si data la maggior parte delle opere note realizzate dal Bellosio, sia a destinazione sacra che profana. È quindi probabile – e le opere citate in precedenza lo dimostrano – che una larga fetta della produzione orafa del Bellosio fosse improntata dallo stile medievale, anche se al momento non se ne ha la certezza. Come rilevato dallo Zastrow, allo stato attuale degli studi non esiste una catalogazione esauriente delle sue opere, risulta quindi difficile capire con precisione in quale misura si occupasse di oreficerie neomedievali; molto probabilmente si trattava solamente di una delle componenti caratterizzanti la sua eclettica produzione orafa99.

Un altro orefice che fornisce alcuni arredi per l’altare ogivale, basandosi sui disegni forniti da Gaetano Moretti, è Mario Quadrelli, al quale si devono il Crocifisso e parte dei candelieri per l’altare100

. A sua volta allievo del Bellezza, doveva godere di una discreta fama in Lombardia, se nel 1916 il Pica lo definisce socio onorario dell’Accademia di Brera101

. Non si hanno però molte notizie sulla sua produzione, la sola opera nota, a parte le oreficerie realizzate per l’altare ogivale, è il calice detto “delle Tre Valli”, offerto nel 1885 alla diocesi di Milano da parte dei Ticinesi, in stile classicheggiante102.

Sia per la biografia che per l’attività artistica del Quadrelli non si sono individuate molte informazioni: il solo profilo dell’orefice è quello sopracitato di Vittorio Pica, che in occasione della mostra sull’autoritratto dal 1873 al 1916 fornisce alcune notizie sugli autori delle opere esposte. Secondo tale autore, l’orefice in questione sarebbe nato nel 1853, avrebbe frequentato l’Accademia a Brera, esponendo per la prima volta nel 1885, ed avrebbe ottenuto numerose medaglie in Italia ed all’estero103

. Le informazioni riportate sono però molto simili a quelle contenute nel Kunstler Lexikon relative allo scultore Emilio Quadrelli, attivo nel medesimo periodo a Milano ed a sua volta socio dell’accademia104

. Per quanto si tratti di un iter abbastanza comune per un artista milanese dell’epoca, l’identità dei due cognomi porta a supporre un refuso da parte del Pica, e che il profilo sia quindi da riferirsi ad Emilio, e non a

98 L’orefice era presente nella classe XI – “Lavori da orefice e gioielliere” con “ricchissimi lavori artistici di argento”. Cfr. L’Esposizione Generale Italiana, cit., 1884, p. 613; si veda inoltre l’Appendice documentaria. 99 ZASTROW, 2001, p. 64.

100 Si veda F., 1888, p. 110.

101 Cfr. V. PICA, La mostra dell'autoritratto alla Famiglia Artistica: 1873-1916, cat. della mostra, Milano 1916, p. 91.

102 ZASTROW, 2001, p. 63. Per una riproduzione del calice “delle Tre Valli” si veda VENTURELLI, 1999, p. 298, anche se attribuito ad Emilio Quadrelli.

103 PICA, 1916, p. 91.

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Mario Quadrelli; d’altronde è più probabile la presenza di uno scultore ad una mostra sull’autoritratto piuttosto che quella di un orefice.

Non avendo ulteriori elementi per confrontare i due personaggi – a parte il paragrafo dedicatogli dal Pica non si hanno altre notizie su Mario Quadrelli – non è possibile stabilire con precisione a quale artista il profilo faccia riferimento. In ogni caso si tratta di una biografia estremamente sintetica, che non cita alcuna opera dell’artista in questione e non fa quasi riferimento alla sua formazione, a parte un vago accenno all’Accademia di Brera.

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