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Come detto all’inizio del capitolo, buona parte degli espositori è di provenienza toscana, ma non la loro totalità. Tra di essi spicca ad esempio Giuseppe Bertini, pittore milanese, che presenta due vetrate di soggetto dantesco: una “finestra di vetro istoriata, su cui sono rappresentati varj episodi della Divina Commedia, lavoro dei fratelli Bertini di Milano” ed una “Gran finestra di vetro istoriata, su cui è dipinto il Divino Poeta, figura intiera sedente, lavoro eseguito dai medesimi”104. Titolare dal 1860 della cattedra di pittura a Brera, l’autore

non era nuovo a tematiche legate alla figura di Dante: nel 1845 aveva vinto il primo premio dell’accademia braidense con la tela L’incontro di Dante e frate Ilario, guadagnando il favore oltre che della commissione anche della critica contemporanea105.

Sui Bertini – Giuseppe in particolar modo – è già stato diffusamente scritto, sebbene solitamente i profili biografici dell’artista si concentrino principalmente sulla produzione pittorica, a scapito di quella vetraria106. Accanto alla pittura si occupava difatti, insieme al fratello Pompeo, della ditta di vetrate “Bertini, Brenta e C.” – ribattezzata in seguito “Fratelli Bertini” – fondata dal padre Giovanni, morto nel 1849107

. La vetreria raggiunse una notevole risonanza a livello europeo verso la metà del secolo, ottenendo commissioni sia per la realizzazione di vetrate ex-novo che per il restauro di esemplari antichi. L’incarico più noto in tal senso fu il restauro e la sostituzione delle vetrate del duomo di Milano – in parte anche per le polemiche suscitate dal risultato raggiunto –, commissione intrapresa da Giovanni nel 1832 e portata a termine dai figli nel 1890108.

Nella realizzazione di nuove vetrate Giuseppe Bertini ottenne numerosi riconoscimenti, in particolare alle esposizioni industriali, sia italiane che europee: la più famosa in assoluto è sicuramente Il trionfo di Dante, realizzata nel 1851 ed esposta dapprima nello studio

104

Esposizione Dantesca, cit., 1865, vol. III – Oggetti d’arte, pp. 34-35.

105 Sul dipinto del Bertini si veda C. NENCI, Scheda IV.7 – L’incontro di Dante e frate Ilario, in MAZZOCCA (a cura di), 2005, pp. 253-254.

106 Per un profilo biografico di Giuseppe Bertini (1825-1898) cfr. G. CAROTTI, Artisti contemporanei:

Giuseppe Bertini, in “Emporium”, vol. IX, marzo 1899, n. 51, pp. 163-194; A. OTTINO DELLA CHIESA, Bertini, Giuseppe, in Dizionario biografico, cit., vol. 9, 1969, pp. 548-549; Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, Torino 1972-1976; V. VICARIO, Giuseppe Bertini: il grande Maestro dell’Ottocento a Brera, Spiro d’Adda 1997; SILVESTRI, 2006, pp. 81-85.

107

OTTINO DELLA CHIESA, 1963, p. 548; SILVESTRI, 2006, pp. 80-81.

108 Gli interventi prevedevano teoricamente il restauro ove possibile, ma spesso i vetri antichi furono di fatto sostituiti o riassemblati dagli artisti. Cfr. P. MALFATTI, La parabola artistica dei Bertini al Duomo di Milano e

la "rinnovata" arte di dipingere a fuoco su vetro, in “Storia dell’arte”, 1988, n. 62, pp. 97-104; SILVESTRI,

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dell’artista, ed in seguito alla Great Exhibition di Londra nel medesimo anno, ottenendo un ampio successo in entrambe le sedi, sia di critica che di pubblico109.

Nonostante il trionfo all’esposizione di Londra, la vetrata fu acquistata solo nel 1869, grazie ad una sottoscrizione pubblica, per essere poi collocata presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano110. Considerata la fortuna di cui godeva tale opera, ed il soggetto rappresentatovi, la sua presenza all’esposizione dantesca appare quantomeno prevedibile, soprattutto considerando che era ancora di proprietà dell’autore, il quale non avrà esitato a pubblicizzare la vetrata. In realtà il Bertini non espose solo la grande vetrata, ora all’Ambrosiana, visto che il catalogo della mostra fiorentina segnala anche una riproduzione della stessa in scala minore. Esistono in effetti due versioni minori della finestra dantesca, conservate rispettivamente al Poldi Pezzoli di Milano ed al Museo Borgogna di Vercelli (Tav. 1). Nel primo caso l’intera decorazione di un ambiente – il Gabinetto bisantino – si incentrava su diversi episodi della Commedia e personaggi contemporanei a Dante, e la vetrata era il fulcro dell’intera opera. Lo stesso Bertini, amico di Gian Giacomo Poldi Pezzoli e futuro direttore della di lui Fondazione artistica, aveva partecipato alla realizzazione dello studiolo, insieme a Luigi Scrosati e Giuseppe Speluzzi111. Il cantiere è ascrivibile, secondo la Mottola Molfino, al decennio 1853- 1863, quindi è improbabile che la vetrata venisse esposta a Firenze due anni dopo il termine dei lavori112. A conferma di tale ipotesi concorrono le dimensioni dell’opera, contenute nel catalogo dell’esposizione dantesca: la “finestra di vetro istoriata” presentata dai Bertini nel 1865 misura 142 centimetri di altezza per 61 di larghezza113, mentre quella del Poldi Pezzoli è, secondo la scheda redatta dal Mazzocca, alta 175 centimetri e larga 60114.

109 SILVESTRI, 2006, pp. 85-89. Oltre ad essere citata nel catalogo ufficiale dell’esposizione, un’incisione dell’opera fu inserita nell’Official descriptive and illustrated catalogue, mentre la vetrata fu esposta nella galleria principale. Nel primo l’opera è citata due volte: nell’elenco degli espositori austriaci ed in quello della galleria principale: “BERTINI, G. Milan. – Great painted window, representing: Dante and some of his Ideas”. Official

catalogue of the Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations, London 1851; per l’incisione si

rimanda invece a Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations. Official descriptive and illustrated

catalogue, London 1851. Si vedano anche DE MAULEY, Class XXIV. Report on Glass, in Exhibition of the Works of Industry of All Nations, 1851. Reports by the juries, London 1852, pp. 521-537; A. PANIZZI, Class XXX. Report on Sculpture, Models, and Plastic Art, ivi, 1852, pp. 683-690; R. REDGRAVE, Class XXX. Supplementary report on Design, ivi, pp. 708-749.

110 L. PINI, Milano-Londra 1851: la grande vetrata dantesca di Giuseppe Bertini, in R. CASSANELLI, S. REBORA, F. VALLI (a cura di), Milano pareva deserta.. 1848-1859. L’invenzione della Patria, incontro di studio sulle Arti, Milano 1999, pp. 131-143; SILVESTRI, 2006, p. 89.

111 Sul Gabinetto bisantino e Poldi Pezzoli cfr. F. MAZZOCCA, Giuseppe Bertini. Il trionfo di Dante, in ID., M. BOTTERU, B. CINELLI (a cura di), L’Ottocento di Andrea Maffei, cat. della mostra, Trento 1987, pp. 218-221; A. MOTTOLA MOLFINO, Gian Giacomo Poldi Pezzoli: per l’Arte e per la Patria, in CASSANELLI, REBORA, VALLI (a cura di), 1999, pp. 265-274; GALLI MICHIERO (a cura di), 2002.

112 MOTTOLA MOLFINO, p. 270.

113 Cfr. Esposizione Dantesca, cit., 1865, vol. III – Oggetti d’arte, pp. 34-35. 114 Cfr. MAZZOCCA, 1987, p. 218.

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Le misure riportate dal catalogo corrispondono invece con la vetrata conservata a Vercelli: dal confronto con la schedatura museale esistente presso il Museo Borgogna si può rilevare difatti che le misurazioni dell’opera priva della cornice sono praticamente coincidenti115

. Essendo inoltre citato Giuseppe Bertini come espositore delle due opere si può sostenere che a tale data la vetrata non fosse ancora stata acquistata da Borgogna, e quindi posticipare l’anno di acquisizione di una quindicina d’anni, da dopo il 1851 – anno dell’esposizione londinese – al 1865 circa.

Le vetrate sono caratterizzate da chiari riferimenti all’arte medievale, a cominciare dalla forma ogivale. La scelta del gotico come stile di riferimento, è visibile anche nella suddivisione delle scene con motivi, a detta del Boito, “immaginati nello stile archiacuto”116

. Le compartimentazioni dell’opera sembrano effettivamente richiamarsi alla decorazione scultorea ed architettonica coeva, con possibili rimandi ai trafori dei rosoni – si vedano in particolare i motivi ornamentali che separano, nella parte superiore, l’incontro di Paolo e Francesca dalla Madonna –, oltre ai ben più generici riferimenti alla scultura medievale negli elementi fitomorfi che corrono lungo la compartimentazione dei riquadri. Il Waagen però, uno dei giurati dell’Esposizione Universale del 1851, nella relazione aggiuntiva sulla classe XXX – “Sculpture, models, and plastic art” – mostra di apprezzare la vetrata del Bertini per la resa artistica delle figure, in particolar modo Beatrice e Matelda117. Ma avanza delle obiezioni circa alcuni aspetti dell’opera, tra cui la cornice architettonica, che sarebbe in completo disaccordo con i principi ed il gusto dell’architettura gotica118. Non si capisce se l’autore

115

Cfr. Museo Borgogna, scheda R0155891: Vetrata dantesca, compilatore Roberta Pozzato.

116 Per la descrizione dell’opera si riporta quella compiuta da Camillo Boito, relativa all’esemplare conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano: “Ma la Divina Commedia fornì al Bertini molti ed opportuni soggetti per una grande vetriera, già ammirata alla Esposizione universale di Londra.

Le diverse composizioni stanno distribuite in ornati scompartimenti, immaginati nello stile archiacuto. Al basso v’è la bella figura del poeta; ai lati quelle di Beatrice e di Matelda; all’alto del finestrone la Madonna; più sotto i cori degli angeli, san Francesco e san Domenico; e poi, in minori dimensioni, quattro tra le principali scene del poema. Tutti questi varii soggetti sono legati con mirabile artifizio, e condotti con quello stile casto, forte e gentile, che bisogna all’incarnazione dei sommi versi danteschi. Bello il concetto di porre in alto la regina del cielo, circondata dagli angeli: Dante accenna qua e là nel Poema e nella Vita Nuova a tal devozione sua, presa forse nell’età della fanciullezza da Beatrice. Beatrice è un’elegante ed affettuosa figura, che fa venire alla memoria quei soavissimi versi in cui Dante sfogò l’amor suo, le sue tristezze, i suoi dolori […]. Matelda è tra le più care cose del poema; e il Bertini la ideò mentr’ella va cantando soletta, ed iscegliendo fior da fiore, ond’era

pinta tutta la sua via, sul margine di quel rivo ombroso, dove le onde limpidissime piegano le erbe che crescono

sulla riva, ed i fiori”. C. BOITO, Artisti italiani contemporanei. Giuseppe Bertini pittor milanese, in “Il Politecnico”, fasc. V, maggio 1866, pp. 774-790.

117 Cfr. C. WAAGEN, Class XXX. Supplementary report, in Exhibition of the Works of Industry, cit., 1852, pp. 691-707.

118 “It is very seldom that we find in glass painting so much artistic expression as has been attained in the figures, especially the female figures, in this work; and their effect is heightened by the remarkable harmony of the deep soft colouring. But, on the other hand, the architectural frame is utterly at variance with the taste and principles of construction in Gothic architecture […]. From the arbitrary mixture of the Architectonic and Pictorial systems of glass-painting in this work, its effect as a whole cannot be agreeable to the best judges”. WAAGEN, 1852, p. 703.

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faccia riferimento solo ad una parte della decorazione o in particolare alla parte più esterna del motivo ornamentale, che, più che dei canoni architettonici del gotico, sembra essere frutto esclusivo dell’invenzione dell’artista119

. La precisazione del Waagen è in ogni caso interessante perché rileva la differente concezione in Italia e Regno Unito dello stile medievale: lo studioso ricerca nelle opere neomedievali contemporanee una completa aderenza agli stilemi del Medioevo, indice di una diversa idea del periodo in questione rispetto all’artista milanese. Il Bertini invece effettua una lettura più libera dell’arte medievale, reinterpretandola liberamente secondo il proprio gusto, giungendo anche a reinventarne i motivi per esigenze artistiche120.

Se dal punto di vista decorativo Giuseppe Bertini dimostra di volersi richiamare al Medioevo per contestualizzare l’opera, sul piano iconografico si mostra invece attento alla contemporanea situazione artistica. Come rilevato dal Mazzocca, non mancano citazioni di diversi artisti: il Dante sembrerebbe ispirarsi all’accigliato Amleto di Henri Lehmann, la scena di Paolo e Francesca ricalca abbastanza da vicino l’omonimo dipinto di Ary Scheffer, mentre Beatrice segue una scultura del Duprè121. Quest’ultima figura, insieme a Matelda, sarebbe da mettere in rapporto, secondo Mazzocca, con una certa allure sentimentale, tipica della serie di

Malinconie, Meditazioni e Desolazioni di Hayez, del quale Bertini era stato allievo122. Anche una figura come quella di Carl Vogel non dev’essere stata estranea alla gestazione della vetrata ed è possibile che il pittore fosse a conoscenza dell’ancona cartacea realizzata da questi, tra il 1842 ed il 1844, rappresentante Dante e i dieci episodi della Divina commedia, che potrebbe aver fornito lo spunto per la celebrazione del poeta tramite una sorta di pala123. L’artista si rapporta quindi a modelli aggiornati al contemporaneo gusto, con particolare attenzione a quelle componenti di area hayeziana e verista – Mazzocca cita a tal proposito la

119 Dopo aver descritto l’iconografia della vetrata, il Waagen dice che: “This picture is set in an architectural frame, in the Gothic style”. Potrebbe anche trattarsi della struttura all’interno della quale Giuseppe Bertini presentò la vetrata a Londra, una specie di grande tabernacolo nero, realizzato appositamente per potenziare l’effetto dei colori dell’opera. In realtà sembra che fosse una semplice installazione, probabilmente priva di elementi decorativi che distogliessero l’attenzione del visitatore dalla vetrata. WAAGEN, 1852, p. 703; PINI, 1999, p. 136.

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Vi sono in realtà anche dei commenti positivi circa l’incorniciatura dell’opera, De Mauley ad esempio apprezza in particolar modo “the ornamental bands or fillets which serve at once to connect togheter and to frame the different subjects, imparts to the window a silvery or glass-like effect […], and which completely rescues the work from the imputation of being like a fresco painting”. DE MAULEY, 1852, p. 535.

121

Cfr. MAZZOCCA, 1987, pp. 219-220; PINI, 1999, pp. 133-134; C. LACCHIA, Scheda IV8 – Il trionfo di

Dante, 1851, in ID (a cura di), 2005, p. 254. Non si è individuata con certezza la Beatrice del Duprè indicata

dagli studiosi: il Mazzocca parla di una statuina in alabastro, ma si tratta probabilmente del piccolo marmo dello scultore toscano in collezione Chigi Saracini, databile 1843-1845 circa. Cfr. G. GENTILINI, C. SISI (a cura di),

La scultura. Bozzetti in terracotta piccoli marmi e altre sculture dal XIV al XX secolo, Siena 1989, pp. 440-444.

122 MAZZOCCA, 1987, pp. 219-220; SILVESTRI, 2006, p. 81.

123 L’opera, esposta a Firenze nel 1844, entrò in seguito a far parte delle collezioni granducali. Il Vogel avrebbe dunque costituito un riferimento imprescindibile per il Bertini, il quale era probabilmente a conoscenza dell’attività del collega nell’ambito delle vetrate. Cfr. PINI, 1999, p. 134.

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statuaria degli anni Quaranta del Vela – che restituissero un’immagine del mito di Dante impregnata di purismo, a cui Bertini non era estraneo anche grazie ai rapporti intrattenuti con intellettuali quali Tullio Dandolo o Adeodato Malatesta124. Il Medioevo che ne risulta non è assimilabile a quello trobadour rintracciabile nelle opere del padre, ma al tempo stesso non sono presenti richiami ad un possibile revival archeologico della vetrata: per usare una felice espressione della Pini, si tratta dell’evocazione di un “Medioevo snello ed elegante, di segno purista”125

.

124 Per la ricostruzione del milieu intellettuale frequentato dal Bertini cfr. PINI, 1999, pp. 133-134; SILVESTRI, 2006, pp. 81-85.

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