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L’aggiramento del divieto statutario e l’introduzione nel Novecento dell’indennità a rimborso delle spese

L’eccezione ottocentesca del Regno d’Italia, il divieto statutario e la svolta novecentesca

5. L’aggiramento del divieto statutario e l’introduzione nel Novecento dell’indennità a rimborso delle spese

La questione dell’indennità per i deputati tornò prepotentemente d’attua-lità all’inizio del Novecento. Nel 1901 e nel 1902 furono avanzate due propo-ste per garantire l’indennità almeno ai deputati che non percepivano stipendi statali. I due progetti prevedevano pure l’irrinunciabilità dell’emolumento e la fissazione di un numero massimo di assenze che, se superato, avrebbe com-portato la decadenza del mandato legislativo. Ad esse ne seguirono altre nel 1907, 1908 e 1910 che proponevano l’introduzione di un’indennità per tutti i deputati. In alcuni casi si trattava di un’indennità giornaliera; in altri di un’in-dennità annuale. All’inun’in-dennità si affiancava sempre l’obbligo di presenza alle sedute parlamentari 32.

Grande protagonista di questa nuova stagione fu Pietro Chimienti,

deputa-pregnante. Questo per due ragioni. Primo perché il peso dell’indennità sarebbe stato, già a quel-l’epoca, assai ridotto rispetto al bilancio complessivo dello Stato. Secondo perché non sussiste alcuna correlazione verificabile tra indennità e spese elettorali.

31 Su cosa fossero i partiti tra fine Ottocento ed inizio Novecento si rinvia all’opera curata da G. QUAGLIARELLO, Il Partito politico nella bella epoque. Il dibattito sulla forma partito in Italia

tra ’800 e ’900, Giuffrè, Milano, 1990.

32 F. MUSSO, Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai deputati (1848-1912), cit., 304-305.

to brindisino del centro sonniniano con posizioni molto avanzate in tema di suffragio universale 33.

Nei suoi interventi alla Camera dei deputati nonché in alcuni lavori acca-demici, Egli sottolineò come gli argomenti teorici e dottrinali ottocenteschi contro l’indennità fossero ormai superati ed i tempi fossero maturi per l’intro-duzione dell’istituto anche in Italia. Egli individuò l’allargamento del suffra-gio, l’aumento del numero degli eleggibili, la maggiore istruzione delle classi popolari e, soprattutto, la completa emersione di una nuova classe sociale, il proletariato, portatore di forti istanze proprie, come fattori ineludibili dell’al-largamento della rappresentanza. Questo anche al fine di convogliare dentro le istituzioni le forti spinte anti sistema provenienti dai partiti operai e dei la-voratori 34.

Sempre al Chimienti si deve un’osservazione che ad inizio Novecento poté apparire forse eccessiva, ma che in realtà dimostra come egli sia stato un pre-cursore della modernità 35. Egli partendo dalle nuove complessità della società novecentesca e delle decisioni che essa richiedeva, fece discendere la necessità di un diverso modo di far politica: professionale piuttosto che volontaristica. In questo contesto l’indennità era assolutamente necessaria sia per il deputato di professione che da essa poteva trarre il proprio sostentamento sia per i par-titi strutturati che andavano organizzandosi all’orizzonte e a cui sarebbe stata demandata la formazione del personale politico. Le élites nobiliari o borghesi erano di conseguenza al tramonto 36.

33 L’approccio di Chimienti al tema dell’indennità parlamentare fu, per un verso, assai pragmatico, facendo leva sulle esperienza degli altri Paesi e sulla necessità di migliorare la con-dizione del parlamentare italiano e, per un altro verso, capace di cogliere il legame tra l’indenni-tà e la trasformazione della rappresentanza legata al passaggio dall’Ottocento monoclasse al Novecento pluriclasse. V. in proposito P. CHIMIENTI, La vita politica e la pratica del regime

par-lamentare, Roux Frassati, Torino, 1897. Per una ricostruzione della sua importante figura v. G.

DE MURO, Pietro Chimienti, in I.BIROCCHI,E.CORTESE,A.MATTONE,M.N.MILETTI (a cura di), Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), vol. 1, Il Mulino, Bologna, 2013, 523 ss.

34 Vale la pena di rammentare le parole di Chimienti a confutazione delle perplessità avanza-te dai conservatori del suo proprio schieramento timorosi che l’indennità poavanza-tesse favorire i par-titi estremi: “Bisogna convenire lealmente che, se la classe dei lavoratori ha un così enorme po-tere sociale, è pericoloso assai non concedere ad essa una partecipazione più diretta e più effi-cace al lavoro legislativo. Il Parlamento è la miglior scuola di responsabilità di classe ed è poten-te fattore di solidarietà sociale”. Così ID., La indennità parlamentare, in Rassegna

contempora-nea, 3, 1908, 128 ss. Per un esame delle proposte presentate da CHIMIENTI si rinvia a F. MUSSO,

Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai deputati (1848-1912), cit., 302.

35 L’idea che la politica potesse essere una professione era ancora vista con diffidenza nel-l’Italia di inizio novecento cfr. F. MUSSO, Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai

de-putati (1848-1912), cit., 305.

36 Così. P. CHIMIENTI, La indennità parlamentare, in Rassegna contemporanea, cit., 128 ss. e spec. 134. V. dello stesso A., più ampiamente, ID., La indennità parlamentare dinanzi alla

Came-ra dei deputati, in P. CHIMIENTI,Saggi: diritto costituzionale e politica, vol. 1, Società anonima

La spinta decisiva per l’istituzione dell’indennità parlamentare si ebbe, in-fine, grazie a Giovanni Giolitti 37. Prima come deputato, poi come Presidente del Consiglio, si espresse per una radicale svolta della legge elettorale al fine di ampliare l’elettorato attivo e passivo. In un primo momento, durante il suo primo governo, egli dichiarò di non avere una posizione preconcetta a favore o contro l’indennità 38. Più tardi, sotto la presidenza Luzzatti, ritornato depu-tato egli intervenne in Aula sminuendo la proposta avanzata dal Presidente del Consiglio e sostenendo che occorresse risolvere nell’ambito della nuova legge elettorale non solo la questione dell’allargamento del suffragio, ma pure quella delle incompatibilità del ruolo parlamentare, delle procedure di garanzia e fi-nanche “delle condizioni in cui i deputati si presentano alla Camera, cioè a di-re la questione dell’indennità” 39.

Ritornato alla Presidenza del Consiglio, l’approvazione della legge 30 giu-gno 1912, n. 665 sulla riforma elettorale politica fu la conseguenza di questo suo sostegno 40. Essa introdusse, innanzitutto, il suffragio quasi universale ma-schile e, per quanto qui rileva, concesse l’indennità ai deputati.

L’art. 11 della legge n. 365 del 1912 individuò due compensi a modo di rimborso spese: uno per le spese di corrispondenza ed un altro “per altri tito-li”, genericamente connessi con la funzione parlamentare 41.

Nel dettaglio, il primo rimborso spese era uguale per tutti i deputati men-tre il secondo, più generico, era concesso solo a coloro che non ricevevano al-cuno stipendio, retribuzione, assegno fisso o pensione a carico del bilancio dello Stato (o degli enti autarchici). Questo secondo, in particolare, superava sostanzialmente il divieto statutario, pur senza intaccarlo nella forma 42.

Per i deputati che già ricevevano un compenso a carico del bilancio statua-le, il rimborso era concesso solo ad integrazione del reddito percepito. Nel ca-so in cui il reddito in questione avesse ecceduto il rimborca-so, questo non era, dunque, erogato ed il mandato si manteneva dunque gratuito.

Questa legislazione introduceva, pertanto, una differenziazione tra i

citta-37 L’età giolittiana è stata definita come “età cerniera” tra l’Italia post-risorgimentale e quella contemporanea. V. A. AQUARONE, Alla ricerca dell’Italia liberale, Guida Editori, Napoli, 1972.

38 V. le osservazioni di Giolitti proprio in riferimento ad una proposta di Chimienti riportate da F. MUSSO, Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai deputati (1848-1912), cit., 304.

39 AP, Camera, XXIII leg., 1° sess., Discussione 18 marzo 1911, 13557-13558. Cfr. F. M US-SO, Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai deputati (1848-1912), cit., 309.

40 Nella medesima sessione il Parlamento approvò pure la legge n. 666 del 1912 contenente il nuovo testo unico della legge elettorale e politica.

41 F. MUSSO, Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai deputati (1848-1912), cit., 309. Sul sistema introdotto dalla legge del 1912 v. N. MALVEZZI, L’indennità parlamentare in

Italia, Codara, Milano, 1913.

42 La previsione ribaltava il divieto statutario. Per questa ragione si parla di entrata in vigore “in frode” alle disposizioni statutarie. V. in proposito A. MANZELLA, Il Parlamento, Il Mulino, Bologna, 1977, 199.

dini che percepivano un reddito dallo Stato e coloro che percepivano un red-dito da soggetti privati o grazie al proprio lavoro autonomo. Ciò, insieme alle modalità con cui i compensi venivano erogati, rendeva la formula legislativa del “rimborso spese” un chiaro escamotage rispetto al divieto statutario.

I compensi così ricevuti, sia che essi fossero integrativi del reddito indivi-duale sia che non lo fossero, erano però sottoposti a tassazione al pari di ogni altro reddito in ossequio al principio generale sancito dall’art. 28 dello Statuto albertino per cui “i regnicoli contribuiscono indistintamente nella proporzio-ne dei loro averi, ai carichi dello Stato”.

La legge elettorale del 1912 fu poi trasfusa nell’art. 122 del T.U. 26 gennaio 1913, n. 821. Il T.U. fu successivamente modificato dalla legge 5 aprile 1920, n. 395, che unificò i due rimborsi, quello per la corrispondenza e quello per le spese connesse con le altre attività parlamentari. Essi confluirono in un unico “rimborso” che fu elevato, ma si mantenne la variabilità legata al percepimen-to di un altro reddipercepimen-to a carico del bilancio dello Stapercepimen-to.

La legge n. 395 del 1920 è anche di particolare interesse perché con essa si introdusse anche per i senatori, che, occorre ricordare, avevano a quel tempo una carica vitalizia, una particolare forma d’indennità di presenza per la parte-cipazione alle singole sedute 43. L’indennità in questione era sostanzialmente paragonabile ai sistemi odierni che attribuiscono ai rappresentanti un gettone di presenza per la partecipazione alle singole sedute 44.

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