Verso una nuova trasformazione dell’indennità: proposte per un ripensamento
3. Spunti e proposte per una riforma organica dell’indennità parlamen- parlamen-tare e per l’introduzione del concetto di trattamento economico
Nei due paragrafi precedenti si è dato conto di alcune tendenze generali che occorre tener presente nel momento in cui si immagina di ripensare oggi l’istituto dell’indennità. In questo paragrafo si affronterà specificamente il te-ma della riforte-ma dell’indennità per i parlamentari.
La discussione su questo tema è, nel secondo dopoguerra, carsica. Essa si ripresenta ciclicamente dopo brevi periodi di latenza e tende, storicamente, a manifestarsi più come argomento dell’antipolitica che come obiettivo concreto e reale. Questo è abbastanza evidente in materia di indennità parlamentare sia per il periodo che va dalla prima legge del 1948 alla riforma del 1965 sia per il periodo, assai più lungo, che dall’approvazione della legge n. 1261 del 1965 porta fino ai giorni nostri.
Gli interventi in materia di indennità, all’interno di queste due fasi, sono sempre stati assai estemporanei, legati all’esigenza di mostrare ai cittadini che an-che i rappresentanti, in particolari periodi di crisi economica, compiono dei sa-crifici e che esiste una reale necessità e volontà di contenere i costi della politica.
La caratteristica principale della disciplina oggi in vigore in materia di in-dennità parlamentare è, come dovrebbe essere emerso dall’analisi, il suo essere un groviglio inestricabile di norme di legge e di regolamenti parlamentari mi-nori ossia di deliberazioni degli Uffici di Presidenza delle due Camere.
Questo è dovuto, almeno in parte, a questioni storiche legate principal-mente al mancato chiarimento di cosa debba rientrare nella nozione costitu-zionale di indennità e cosa, invece, debba essere rimesso o lasciato alla deter-minazione delle Camere.
In questo senso, la situazione è il prodotto del sovrapporsi di delibere degli Uffici di Presidenza che hanno istituito, aggiunto, accorpato, ridefinito e negli ultimi anni, anche soppresso contributi e rimborsi a vario titolo erogati ai par-lamentari, senza che le decisioni rispondessero ad una logica ben definita.
Il resto lo ha fatto il succedersi negli ultimi quindici anni di normative emer-genziali, di limitazioni provvisorie e di interventi estemporanei su uno specifico aspetto dell’indennità (sia esso il trattamento previdenziale, quello assicurativo o quello dei contributi per il rapporto tra elettori ed eletti) che hanno finito col trasfigurare il modello originario senza però provvedere a definirne uno nuovo. Questa situazione, se si pone mente al fatto che, come si è visto, l’indennità è parte di un sistema di norme costituzionali – principi fondamentali, diritti del cittadino e norme sullo status del rappresentante – rappresenta anche un pro-blema serio di natura costituzionale.
Tutto ciò consiglia, de iure condendo, di porre all’ordine del giorno un
in-“in presenza” non fosse possibile. Questo non potrà che richiedere una dotazione informatica idonea ad assicurare il regolare svolgimento della seduta, nel rispetto delle regole oggi previste per quella “in presenza”.
tervento normativo che non si limiti alle questioni economiche e finanziarie ma tenga in specifico conto anche le questioni legate alla trasformazioni politi-che, tecnologiche e sociali capaci di incidere sulla rappresentanza politica, sul legame tra parlamentari e cittadini nonché proprio sul ruolo stesso di deputati e senatori.
Rispetto a tale intervento, all’esito dell’analisi svolta, possono essere solle-vate alcune questioni, mostrate alcune possibili alternative e avanzate alcune proposte.
Il primo nodo che deve essere sciolto riguarda il rinnovamento della
nozio-ne costituzionale di indennità. Molte delle complicazioni sperimentate nozio-nel tem-po derivano proprio dal fatto che ciò non sia finora avvenuto. Questa opera-zione è, invece, necessaria per una corretta actio regundorum finium tra le pre-rogative del Legislatore e l’ambito dell’autonomia regolamentare delle due Ca-mere.
Come è stato osservato, in questa materia vi è certamente un intarsio di competenze tra legge e Regolamento, ma la fonte preferita, alla luce della ri-serva di cui all’art. 69 Cost., è certamente la legge. Ad essa incombe dunque delimitare i confini del proprio intervento e di riflesso quelli del Parlamento. L’essere una fonte preferita non vuol dire che sia opportuno che essa azzeri lo spazio per la fonte parlamentare 16.
Nelle legislazioni emergenziali, in particolare in quelle che hanno inciso sugli emolumenti dei consiglieri regionali, è emersa la nozione di “trattamento economico complessivo”. Essa può essere considerata una buona base di par-tenza per definire ciò che debba essere ricondotto nella nozione di indennità.
Nella nozione di trattamento economico complessivo rientrano l’indennità di carica, che può farsi coincidere con la quota fissa dell’indennità o indennità in senso stretto per i parlamentari, l’indennità di funzione, che corrisponde alle indennità d’ufficio previste per le assunzioni di particolari ruoli parlamen-tari ed oggi definite solo dalle delibere degli Uffici di Presidenza, ed i rimborsi forfettari per la partecipazione alle attività assembleari che sono, in prima bat-tuta, collegabili alle diarie per i parlamentari.
Alla medesima nozione debbono essere ricondotte, in quanto aventi carat-tere di trattamento economico ancorché differito nel tempo, l’assegno di fine mandato e, sulla base della sua attuale configurazione, la previdenza per i par-lamentari.
Il trattamento economico complessivo così articolato dovrebbe dunque es-sere l’oggetto principale e necessario, de iure condendo, di un intervento legi-slativo finalmente rispettoso della riserva di legge di cui all’art. 69 Cost. Que-sto dovrebbe dunque essere l’ambito riconducibile alla nozione costituzionale
16 Da un punto di vista formale ciò potrebbe non essere illegittimo se si segue la tesi per cui, fuori dai casi in cui la Costituzione definisce una riserva di regolamento, l’intervento legislativo, anche puntuale, debba essere considerato sempre possibile. Cfr. L. PALADIN, Le fonti del diritto
di indennità e quindi rappresentare l’ambito dell’intervento legislativo qui au-spicato.
Il secondo nodo che il Legislatore dovrà affrontare riguarda la
specifica-zione delle singole voci in cui si articola il trattamento economico e la loro quantificazione. Per quanto riguarda la specificazione, essa è assolutamente importante. In merito all’indennità di carica occorre innanzitutto evitare for-mule che, come quella attuale, nel tentativo di fornire giustificazione dell’e-molumento riproducono la dicotomia tra retribuzione e rimborso, limitando-si ad affermare quello che è effettivamente, oslimitando-sia un’indennità di carica. In merito alla diaria, andrebbe sciolto il rebus per cui essa appare oggi, a secon-da delle circostanze, una quota variabile dell’indennità oppure un rimborso forfettario delle spese sostenute. Se fosse configurata come una quota variabi-le, legata alla partecipazione ed alle presenze del parlamentare, andrebbe ri-valutata la sua esenzione fiscale. Se fosse invece ricostruita come rimborso ge-nerale allora occorrerebbe introdurre differenziazioni più marcate in ragione della residenza del parlamentare e, soprattutto, andrebbe valutata l’oppor-tunità di uno spostamento delle decurtazioni per le assenze sull’indennità di carica.
Per quanto riguarda la quantificazione, occorrerà scegliere tra la definizio-ne solo del quantum complessivo e la definiziodefinizio-ne delle singole voci. Immedia-tamente dopo occorrerà optare tra una specificazione legislativa delle singole voci e l’individuazione ex lege dei soli criteri e parametri che consentano indi-viduazione ed eventuali adeguamenti ad altro organo.
La strada dell’individuazione legislativa del quantum ha il pregio evidente della chiarezza e della massima trasparenza. Ciò non è pero sufficiente a con-siderarla la strada preferibile. Come si è messo in luce nell’analisi, la legge del 1948 individuava esattamente l’importo dell’indennità, rectius della quota fissa dell’indennità. Ciò rese impossibile l’adeguamento in anni di forte inflazione e spinse alla ricerca di meccanismi alternativi al fine di consentire il recupero del potere d’acquisto ai parlamentari. Questo condusse all’aumento incontrol-lato della diaria e, di fatto, all’implosione di quel modello.
La strada dell’individuazione legislativa dei soli meccanismi di calcolo con-sente una più opportuna variabilità, ma chiamando in causa un soggetto diver-so per la sua attuazione può diventare meno trasparente e diver-soprattutto sposti la pressione e la responsabilità su tale organismo. In questo senso è opportuno agganciare il trattamento economico del parlamentare alla retribuzione di una categoria apicale del pubblico impiego. Questo è quanto previsto dalla legge del 1965 che però solo stabilisce come limite massimo il trattamento economi-co rieconomi-conosciuto al Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, rinviando agli Uffici di Presidenza il compito di fissare gli emolumenti. Questa strada ha mostrato tutti i suoi limiti, ma permane ancora oggi quella preferibile, a patto che de iure condendo, siano valutati alcuni correttivi.
Il primo correttivo potrebbe essere quello di definire ex lege il trattamento economico complessivo, con clausole di eventuale adeguamento e di rinviare
agli Uffici di Presidenza il compito di definire, nell’ambito dei massimali, l’am-montare delle singole voci 17.
Il secondo correttivo potrebbe essere quello di prevedere eventuali ade-guamenti delle singole voci del trattamento economico solo a valere sulle legi-slature successive a quelle in cui vengono disposti. Questo introdurrebbe quel velo d’ignoranza che Madison propose con la sua proposta di revisione – di-venuta dopo duecento anni il ventisettesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America – al fine di sterilizzare il conflitto d’interesse insito nel rimettere ai legislatori ogni decisione circa i propri compensi.
Il terzo potrebbe essere valutare il mantenimento della decurtazione, intro-dotta dalle legislazioni emergenziali, del trattamento economico per i deputati e senatori che percepiscono redditi da lavoro durante il mandato parlamentare oltre una certa soglia. Rispetto a questa opportunità sarebbero certamente va-lide tutte le obiezioni che incontrò la proposta Calamandrei in Assemblea Co-stituente ed in particolare quella di Mortati che riteneva preferibile un rigido meccanismo di incompatibilità.
C’è da dire che rispetto al dibattito in Assemblea Costituente, la scelta è oggi legata anche all’evoluzione del ruolo dei Parlamenti nelle democrazie con-temporanee e, di conseguenza, alle trasformazioni in atto del ruolo dei partiti politici. Infatti, può forse dirsi preferibile, in un contesto di alta professiona-lizzazione, che l’attività di deputato o senatore sia il più possibile esclusiva. La differenziazione può forse meglio legarsi ad un contesto in cui tende a scom-parire la figura del politico di professione. Questo però è un argomento non dirimente. La marginalizzazione dei Parlamenti è, infatti, un fenomeno che, a Costituzione vigente, deve essere contrastato piuttosto che incoraggiato.
Il terzo nodo, che nell’ottica di una riforma complessiva deve essere
affron-tato, anche non necessariamente dal Legislatore, è quello degli altri contributi e rimborsi oggi erogati e non rientranti nell’ambito del trattamento economico complessivo, come qui ridefinito.
La tesi, seguita nell’analisi e che qui si esplicita, è che il loro mantenimento sia ammissibile o per espressa previsione di legge o per previsione regolamen-tare a patto, in questo caso, che la loro funzione sia direttamente riconducibile all’organizzazione ed al funzionamento delle Camere.
17 Il coinvolgimento degli Uffici di Presidenza, nell’attuazione del dettato legislativo, è inevi-tabile nonostante esso presenti, come si è detto nell’analisi, indubbi svantaggi quali quelli legati alla confusione dei ruoli ed alla sovrapposizione di competenze attribuite sulla base della legge e competenze che essi hanno sulla base dei regolamenti parlamentari. Inoltre occorre segnalare che eventuali controversie sarebbero comunque rimesse al farraginoso sistema di giurisdizione interna. Tuttavia è chiaro che tale compito di integrazione del dettato legislativo non potrebbe essere attribuito ad alcun altro organo, senza rischiare di violare le prerogative del Parlamento. Ciò potrebbe essere particolarmente importante per le indennità integrative destinate ai deputa-ti e senatori che assumono cariche apicali o “amministradeputa-tive” nelle Camere e negli organi interni in cui le medesime si articolano. In questo caso è innegabile una correlazione con l’organizza-zione delle Camere che consiglierebbe un coinvolgimento degli Uffici di Presidenza.
Questo richiede che le Camere procedano, preferibilmente in modo coor-dinato, ad un loro riesame.
Nell’ambito dell’analisi sono stati evidenziati alcuni criteri formali e sostan-ziali che dovrebbero guidare questa verifica. In via preliminare, si è detto, oc-corre verificare, da un lato, che non vi siano spazi di sovrapposizione tra le in-dennità riconosciute ex lege e i contributi previsti dalle due Camere. Da un altro lato, bisogna accertare l’esistenza di un legame effettivo tra la funzione dello specifico rimborso e l’organizzazione del Parlamento. Rispetto a questa seconda valutazione, il margine di discrezionalità risiede nella valutazione se il potere regolamentare del Parlamento debba limitarsi strettamente all’organiz-zazione dei lavori parlamentari e al modo con cui il Parlamento esercita le proprie prerogative oppure se esso possa estendersi, in una prospettiva orga-nicistica, al modo con cui ciascun deputato e senatore, inteso come organo della Repubblica, è posto nelle condizioni adeguate per esercitare la propria fun-zione.
Se si accede alla prospettiva organicistica, è chiaro che le agevolazioni ed i rimborsi oggi previsti superano più facilmente il test proposto.
Per quanto riguarda, in particolare, il “rimborso delle spese per l’esercizio del mandato” il nomen iuris potrebbe essere fuorviante. Le voci in esso inclu-se, dalle remunerazioni per i collaboratori parlamentari alle organizzazioni di convegni ed altre attività politiche, sembrano poter rientrare in un ambito ma-teriale riconducibile al potere di auto-organizzazione delle due Camere.
Proprio il tema delle remunerazioni per i collaboratori parlamentari meri-terebbe una specifica attenzione e forse un intervento legislativo ad hoc. In questi anni, più volte sono state avanzate alcune proposte per regolamentare, nel rispetto del necessario legame fiduciario che deve intercorrere tra il parla-mentare ed il collaboratore, lo status giuridico di tali soggetti. I cambiamenti in atto nell’esercizio della rappresentanza e l’impatto delle nuove tecnologie sem-brano, come già detto, poter accrescere il ruolo di tali figure in una pluralità di campi.
L’ultima questione su cui è lecito attendersi un intervento legislativo è quella previdenziale.
Il tema è stato già oggetto di analisi nel volume e ad essa necessariamente si rinvia. In conclusione si può solo aggiungere che il dilemma che il Legislatore dovrebbe sciogliere al fine di evitare soluzioni, altrimenti pasticciate, è essen-zialmente uno solo.
Se la previdenza dei parlamentari è una prosecuzione dell’indennità, neces-saria per garantire l’indipendenza del parlamentare, assicurando al medesimo una certa tranquillità economica anche in vecchiaia, allora essa deve essere obbligatoriamente prevista dalla legge ed è lecito immaginare che il percorso di equiparazione del trattamento previdenziale dei parlamentari a quello della generalità dei cittadini non possa essere portato oltre il limite attuale dovendo necessariamente sopravvivere alcune specificità riguardanti gli anni di contri-buzione, i coefficienti di trasformazione e l’età di erogazione del trattamento.
Se, invece, la previdenza dei parlamentari non è una prosecuzione dell’in-dennità, allora semplicemente essa non ha ragione di esistere come previdenza
speciale, ben potendosi far confluire i contributi versati dal parlamentare per
gli anni di esercizio della funzione parlamentare nel montante contributivo com-plessivo, insieme a tutti gli altri contributi eventualmente versati.
La scelta è assai delicata e richiede un’assunzione di responsabilità che va molto oltre i casi specifici che oggi sembrano preoccupare l’opinione pubblica. Imprescindibile in ogni caso è che la scelta sia fatta con un atto legislativo anche per evitare che, in futuro, si possano ripresentare le medesime questioni su cui oggi, in modo piuttosto surreale, sono costretti a dichiararsi incompetenti i giu-dici e chiamati a pronunciarsi gli organi di giustizia interna delle due Camere.