L’indennità per i consiglieri regionali
3. L’indennità dei consiglieri regionali negli Statuti ordinari del 1971 e nelle relative leggi di attuazione
Tutti gli Statuti delle Regioni ordinarie, approvati insieme nel 1971, con-tengono norme dedicate all’indennità dei consiglieri regionali e tutte le
dispo-26 Il dibattito parlamentare su questa legge è ben ricostruito da L. RUSTICALI, Autonomia e
Unità. Il lungo cammino delle Autonomie, Libreria Universitaria, Padova, 2010, 47 ss.
27 Sullo Statuto regionale ante riforma, v. ex multis, almeno: F. BASSANINI, L’attuazione delle
Re-gioni ordinarie, Nuova Italia, Firenze, 1970; F.BASSANINI,V.ONIDA, Gli Statuti regionali di fronte al
Parlamento, Giuffrè, Milano, 1971;U.DE SIERVO, Gli Statuti delle Regioni, Giuffrè, Milano, 1974; F.LEVI, Prime considerazioni sulla forma di governo secondo gli Statuti Regionali, in Studi
sull’ammi-nistrazione regionale e locale, Giappichelli, Torino, 1978; V.ANGIOLINI, Gli organi di governo della
Regione, Giuffrè, Milano, 1973; L.PALADIN, Diritto regionale, Cedam, Padova, 2000, 285.
28 Cfr. sul punto F.CUOCOLO, Diritto regionale, Utet, Torino, 1991, 36.
29 La legge in questione disponeva che tutte le disposizioni contenute nei Titoli III e IV della legge 10 febbraio 1953, n. 62 avessero valore transitorio sino al giorno dell’entrata in vigore de-gli Statuti delle singole Regioni. Tali titoli erano dedicati rispettivamente ade-gli organi della Re-gione e all’esercizio finanziario al bilancio e ai conti. Cfr. A.DI GIOVINE,B.PASTORELLA, Le
norme per la istituzione delle Regioni a Statuto ordinario, La cartostampa, Torino, 1970. Sulla
difficoltà di attuazione di tale legge si v. U. DE SIERVO, La difficile attuazione delle Regioni, in A.GIOVAGNALI,S.PONS,F.LUSSANA (a cura di), L’Italia Repubblicana nella crisi degli anni
sizioni statutarie rinviano alla legge regionale per la definizione e quantifica-zione degli emolumenti 30.
La scelta non fu contrastata dallo Stato, che si limitò sul punto a recepire gli schemi di Statuto ricevuti dalle Regioni. Questo conferma l’attrazione del-l’indennità nell’ambito delle “norme relative all’organizzazione interna delle Regioni che, ai sensi dell’art. 123 Cost., nella sua originale versione, rappre-sentava il fulcro dell’autonomia statutaria.
Le differenze tra i diversi Statuti sono certamente assai interessanti.
Alcuni operavano un rinvio alla legge regionale senza alcuna specificazione, altri (la maggioranza) prevedevano che la legge regionale dovesse stabilire le indennità tenendo conto delle funzioni svolte dai consiglieri; altri ancora rin-viavano specificamente alla legge regionale anche per la determinazione di specifiche indennità di carica o di forme di rimborso spese 31.
30 Per un esame degli orientamenti dottrinali riferiti alla natura degli Statuti prima della ri-forma costituzionale, si v. A.D’ATENA, Statuti regionali. II) Statuti regionali ordinari, in Enc.
giur., XXX, Roma, 1993. Per un esame della stagione “costituente” delle Regioni ordinarie (e
relative critiche rispetto all’uso di tale espressione), v. V.CRISAFULLI, Vicende della “questione
regionale”, in Le Regioni, 1982, 501.
31 Le differenze più interessanti riguardano senz’altro il fatto che gli Statuti di due Regioni (Piemonte e Puglia) effettuavano un mero rinvio alla legge regionale. L’art. 12 dello Statuto piemontese, rubricato I Consiglieri regionali, prevedeva che “(…) Le indennità spettanti ai Con-siglieri per l’esercizio delle loro funzioni sono stabilite con legge regionale”. L’art. 31 dello Sta-tuto della Regione Puglia operava il medesimo rinvio, specificando però che la legge regionale avrebbe dovuto anche definire le indennità di carica. (“Al Presidente del Consiglio regionale e ai membri dell’Ufficio di presidenza è corrisposta un’indennità di carica fissata con legge regio-nale. Ai Consiglieri è fissata con legge regionale una indennità”).
Tutti gli altri Statuti, con diversa formulazione, nel rinviare alla legge regionale prevedevano che essa avrebbe dovuto distinguere l’ammontare delle indennità riconosciute sulla base delle fun-zioni e delle attività svolte in Consiglio. Tra di essi poi alcuni si riferivano alle sole indennità, men-tre altri pure ai gettoni di presenza ed ai rimborsi. In particolare, tra i primi, troviamo l’art. 37 del-la Regione Abruzzo “La legge regionale stabilisce l’entità e i titoli delle indennità ai Consiglieri regionali in relazione alle loro funzioni e attività”; l’art. 20 dello Statuto della Regione Campania che, nell’ambito della specificazione delle Attribuzioni del Consiglio, prevede che esso debba “(…) 21) determinare, le indennità spettanti, in relazione alle funzioni esercitate, ai Consiglieri, ai com-ponenti della Giunta e degli altri organi della Regione”; l’art. 11 dello Statuto della Regione Emi-lia-Romagna per cui “Le indennità dei membri del Consiglio sono stabilite con legge regionale in relazione alla carica, alle funzioni e alle attività svolte”; l’art. 27 della Regione Lazio per cui “La legge regionale stabilisce l’entità e i titoli delle indennità ai Consiglieri regionali a seconda delle loro funzioni ed attività”; l’art. 10 dello Statuto della Regione Molise “La legge regionale stabilisce l’entità e i titoli delle indennità ai consiglieri regionali, a seconda delle loro funzioni e attività”; l’art. 29 dello Statuto Umbro per cui “La legge regionale stabilisce l’entità ed i titoli delle indennità ai Consiglieri regionali a seconda delle loro funzioni ed attività”; l’art. 21 dello Statuto della Re-gione Liguria per cui “La legge regionale stabilisce le indennità spettanti ai consiglieri con riguar-do agli incarichi conferiti dal Consiglio”. Nell’ambito di questo primo gruppo può collocarsi an-che la Regione Veneto con la particolarità an-che l’art. 18 dello Statuto Veneto (“Per garantire il libe-ro esercizio del lolibe-ro mandato, spetta ai consiglieri regionali una indennità stabilita, in relazione alle rispettive funzioni, con legge regionale”) oltre al rinvio alla legge esplicita la funzione dell’indenni-tà individuandola nella storica formula della garanzia del libero mandato.
La definizione e la quantificazione delle indennità era ovunque rimessa al legislatore regionale. Questa scelta si inquadra perfettamente nel sistema di limiti e controlli che la Costituzione prevedeva in quel momento sulla potestà legislativa della Regione.
Per quanto riguarda i limiti materiali, la disciplina legislativa regionale in ma-teria di indennità incontrava, innanzitutto, il limite dello Statuto dovendo con-formarsi alle scelte in esso predeterminate. Inoltre, le leggi regionali di attuazio-ne delle disposizioni statutarie dovevano rispettare il limite “dell’armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica” e, di conseguenza, i modelli gene-rali delineati in materia dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato 32.
Infine, occorre considerare che pure la potestà legislativa concorrente, ri-conosciuta alle Regioni ordinarie in materia di “ordinamento degli uffici re-gionali”, poteva svilupparsi nel rispetto dei limiti generali e di quelli specifici, rispetto all’ambito considerato, derivanti dalle leggi quadro e, in assenza, dei principi generali della materia ricavabili dalle leggi in vigore 33.
Alla seconda tipologia appartengono lo Statuto della Regione Basilicata che, ex art. 17, pre-vede che “la legge regionale stabilisce l’entità e i titoli delle indennità ed ogni altro trattamento ai consiglieri regionali a seconda delle loro funzioni ed attività”; l’art. 9 dello Statuto della Re-gione Calabria per cui “Ai consiglieri sono attribuiti, con legge regionale, il rimborso delle spese ed indennità, il cui ammontare è determinato in relazione alle funzioni e alle attività svolte in Consiglio”; l’art. 9 dello Statuto della Regione Lombardia per cui “Le indennità dei consiglieri e dei membri dell’ufficio di presidenza del Consiglio sono stabilite con legge regionale”; l’art. 11 dello Statuto Toscano per cui “ai Consiglieri è attribuita con legge regionale, oltre al rimborso delle spese, un’indennità il cui ammontare è determinato in relazione alle funzioni e alle attività svolte nel Consiglio e nella Giunta”. In questo secondo gruppo merita specifica attenzione quanto disposto dallo Statuto delle Regione Marche, ex art. 63 in sede di Disposizioni finali. La norma prevede, infatti con formulazione assai più precisa che “La legge regionale determina, con decorrenza dalla data di elezione del primo Consiglio, per i componenti del Consiglio re-gionale e della Giunta, le indennità per la carica e per le funzioni e i criteri del rimborso delle spese sostenute nell’espletamento del mandato. La stessa legge determina l’assegno da corri-spondere al Presidente e ai componenti della Giunta, al Presidente e agli altri componenti l’Uf-ficio di presidenza del Consiglio regionale”.
32 Il dato interpretativo più interessante riguardava l’estensione “dell’organizzazione inter-na” della Regione rimessa alla competenza statutaria e il rapporto con la materia “ordinamento degli uffici”. V. in proposito F. CUOCOLO, Diritto regionale, cit., 93.
33 Senza presunzione di esaustività cfr. per i limiti generali F. PIZZETTI, Il sistema
costituzio-nale delle autonomie locali, Giuffrè, Milano, 1979, 86 ss.; L. PEGORARO, La competenza
legislati-va regionale tra eguaglianza e principi generali dell’ordinamento, in Le Regioni, 6, 1985, 1022 ss.;
G.VOLPE, Interesse nazionale e principi fondamentali nei rapporti tra Stato e Regioni, in Foro it., 1981, 7-8, pt. 01; M.MAZZIOTTI DI CELSO,G.M.SALERNO, Competenze legislative delle Regioni
e limite territoriale, in Giur. cost., pt. I, 1988, 3969-3982. Per i limiti derivanti dalle leggi cornice
cfr. almeno R.NANIA, Limite dei “principi” e autonomia legislativa regionale, in Giur. cost., 25, 1980, n. 12, pt. 01, 1774 ss.; S.BARTOLE, I principi fondamentali nella giurisprudenza della Corte
costituzionale (1970-1980), in Le Regioni, 1, 1981, 14 ss.; F. CUOCOLO, Riflessioni sulle leggi
cornice, in Quad. reg., 2-3, 1982, 449 ss.; G. LOMBARDI, Legislazione regionale concorrente e
li-mite dei principi: spunti e contrappunti a proposito di una sentenza esemplare, in Giur. cost.,
1982, pt. 01, 20 ss.; M. SCUDIERO, Legislazione regionale e limite dei principi fondamentali: il
In altri termini, il parametro materiale con cui le Regioni ordinarie doveva-no confrontarsi era la legislazione sull’indennità dei parlamentari di cui alla legge del 1965. Un parametro che, come affermato dalla Corte costituzionale, disegnava un diritto singolare a cui le Regioni ordinarie potevano certamente ispirarsi senza però sovrapporsi completamente ad esso.
Sul piano procedurale, come noto, le leggi regionali erano all’epoca anche sottoposte ad un penetrante controllo del Governo, idoneo a limitarne, nella sostanza, le scelte 34.
Questa azione uniformante, sul piano materiale e procedurale, spiega bene perché tutte le legislazioni regionali che sono approvate tra il 1972 e la fine degli anni Settanta abbiano un contenuto tutto sommato analogo e sostanzial-mente riproduttivo dello schema derivante dalla legge n. 1261 del 1965 sulle indennità parlamentari. Esse sono tutte costruite su un’indennità di carica, aumentata nel caso di assunzione di cariche istituzionali, su un rimborso spese per la partecipazione alle attività consiliari, per lo più differenziato sulla base del luogo di residenza rispetto al capoluogo, e talvolta, su un’indennità di mis-sione per particolari incarichi da svolgersi fuori Regione.
Questa situazione durò fino alla metà degli anni Ottanta.
Di qui in avanti la situazione cambiò profondamente. Nel momento in cui le Regioni ordinarie uscirono definitivamente dal cono d’ombra, nel quale
era-alla Corte costituzionale, in Quad. reg., 2-3, 1984; A.ANZON, Mutamento dei “principi
fondamen-tali” delle materie regionali e vicende della normazione in dettaglio, in Giur. cost., 1985, pt. 01,
1659 ss.; A.D’ATENA, La disciplina di dettaglio, tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 1988, pt. I, 2, 3314 ss.; T. GROPPI, Elasticità della Costituzione e limiti al legislatore statale nella
determinazio-ne delle materie regionali, in Foro amm., 1991, 1905 ss.; M. CARLI, Il limite dei principi
fonda-mentali: alla ricerca di un consuntivo, Giappichelli, Torino, 1992; L.A.MAZZAROLLI, Potestà
le-gislativa regionale concorrente e normativa statale secondaria di attuazione di principi, in Le Re-gioni, 6, 1995, 1236 ss.; Q. CAMERLENGO, La legge regionale nella giurisprudenza comune, in Le
Regioni, n. 1, 2000, 93-126; R.TOSI, La potestà legislativa regionale dopo la legge costituzionale
n. 1 del 1999, in Le Regioni, n. 6, 2000, 969 ss.
34 La dottrina italiana fin dai primi commenti alla Costituzione ha sottolineato come il con-trollo sulle leggi disposto dall’art. 127 Cost. ponesse le Regioni in una posizione di subordina-zione rispetto allo Stato. Cfr. P. VIRGA, La Regione, Giuffrè, Milano, 1949, 192; A. AMORTH, La
Costituzione italiana. Commento sistematico, Giuffrè, Milano, 1948, 98. L’art. 127 Cost.
stabili-va, infatti, che ogni legge regionale approvata dal Consiglio regionale dovesse essere inviata al Commissario di governo che, salvo opposizione del Governo, dovesse vistarla entro trenta gior-ni dalla comugior-nicazione: la medesima norma disponeva che il Governo avesse un potere di rin-vio al Consiglio regionale nel caso in cui ritenesse che la legge regionale eccedesse la competen-za e qualora questo la riapprovasse a maggiorancompeten-za assoluta dei suoi componenti, potesse sempre il Governo della Repubblica promuovere la questione di fronte alla Corte costituzionale. In proposito v. almeno V.ONIDA, Caratteri del procedimento di controllo sulle leggi regionali, in
Giur. cost., 1972, 1504 ss.; F. PIZZETTI, Il sistema costituzionale delle autonomie locali, cit., 128 ss.; P.RIDOLA, Competenze costituzionali del Governo ed impugnativa delle leggi regionali, in
Giur. cost., 1972, 1530 ss.; P.A. CAPOTOSTI, Questioni in tema di rinvio ed impugnativa delle
leggi regionali, in Foro amm., 1973, II, 168. Per una valutazione diversa del controllo statale ex
art. 127 Cost., fondante una condizione di sostanziale parità e integrazione tra i due ordinamen-ti si v. F. BASSANINI, L’attuazione delle Regioni, cit., 70-71.
no finite dopo gli entusiasmi legati ai decreti di trasferimento del 1972 e del 1977, esse provvidero anche a riformare le legislazioni in materia di indennità per i Consiglieri.
Le innumerevoli legislazioni regionali che si susseguirono, tra la metà degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, non si limitarono più a riprodurre lo schema indennitario, risultante dalla legge n. 1265 del 1965, ma si ispirarono al modello complessivo di trattamento economico dei parlamentari che era stato definito, ad integrazione della legge, dalle delibere degli Uffici di Presi-denza delle due Camere.
Di conseguenza, si assistette, da un lato, all’emersione di nuove voci come trattamenti previdenziali (assegni di fine mandato e vitalizi), rimborsi legati alle attività connesse con il mandato e varie forme di agevolazione ed assicura-zione.
Da un altro lato, furono incrementate le voci esistenti. Salirono le percen-tuali di adeguamento dell’indennità di carica regionale rispetto alla quota fissa dell’indennità parlamentare; si allargò la platea delle cariche consiliari che da-vano diritto ad un emolumento aggiuntivo oppure, a seconda delle scelte delle singole Regioni, ad un innalzamento della percentuale di adeguamento, au-mentarono i rimborsi – ispirati alle diarie dei parlamentari – per la partecipa-zione alle attività del Consiglio regionale sia in Aula che in Commissione.
Il percorso fu progressivo e differenziato da Regione a Regione, ma la traiettoria può dirsi comune, così come comune era l’obiettivo di fondo del-l’equiparazione del trattamento economico del consigliere a quello del parla-mentare.
In proposito, occorre dire che questa tendenza non fu contrastata dallo Stato, nonostante ne avesse la possibilità sia su un piano sostanziale, conside-rato che la Corte costituzionale aveva rimarcato la specificità del modello delle indennità parlamentari, sia su un piano procedurale attraverso l’azione del Commissario di Governo.
In proposito, alcuni limitati rinvii vi furono con riferimento ai trattamenti previdenziali, ma l’opera di complessiva sistemazione dello status economico del consigliere regionale non ne risultò particolarmente colpita 35.
Le motivazioni di questa condiscendenza furono probabilmente diverse e differenziate tra i due decenni. Negli anni Ottanta esse devono essere essen-zialmente ricercate nella volontà di valorizzare la politica come professione, e quindi la sua remunerazione ad ogni livello, ed il ruolo degli apparati di parti-to nella selezione e nella formazione delle classi dirigenti.
Negli anni Novanta, alla luce della crisi del sistema politico-partitico legato alle vicende di Tangentopoli, occorre volgere lo sguardo altrove e piuttosto
35 La legge regionale piemontese, ad esempio, fu rinviata al Consiglio regionale dal Governo proprio perché affrontava il tema della previdenza dei consiglieri regionali in maniera reputata contrastante con l’indirizzo seguito a livello nazionale.
considerare il ruolo politico che le Regioni assunsero in questa fase 36. Questo ruolo contribuì alla riemersione di una forte spinta regionalista che condusse prima alla realizzazione delle riforme “a costituzione invariata”, attraverso le cd. leggi Bassanini, durante il Governo Prodi I, e poi alle riforme costituziona-li del Titolo V della Parte II della Costituzione.
Queste considerazioni possono contribuire a spiegare la debolezza oggetti-va dello Stato nell’arginare il processo di adeguamento e di allineamento delle indennità regionali a quelle parlamentari qui descritto.