• Non ci sono risultati.

Gli argomenti politici a favore e contro l’indennità nel dibattito ot- ot-tocentesco italiano

L’eccezione ottocentesca del Regno d’Italia, il divieto statutario e la svolta novecentesca

4. Gli argomenti politici a favore e contro l’indennità nel dibattito ot- ot-tocentesco italiano

Gli argomenti di natura politica a favore dell’introduzione dell’indennità o di altra forma di compensazione per i deputati, che emergono dal dibattito parlamentare e dottrinario ottocentesco, sono svariati e meritano di essere ri-cordati perché essi, in taluni casi, sono i medesimi utilizzati oggi; segno questo che sotto il tema della corresponsione dell’indennità ai rappresentanti cova nel nostro Paese storicamente un acceso conflitto.

4.1. I motivi a favore della previsione dell’indennità.

Nel corso dell’Ottocento, la necessità di prevedere un’indennità fu soste-nuto dai democratici che sedevano in numero minoritario nel Parlamento prima subalpino e poi italiano. Con tale termine si indicano gli schieramenti politici che reclamavano l’ampliamento dell’elettorato attivo e passivo e cioè i radicali, i socialisti ed una minoranza di deputati della sinistra storica.

Il primo argomento a favore dell’introduzione dell’indennità è che la gra-tuità del mandato finisce con limitare la libera scelta degli elettori e contraddi-re lo stesso diritto elettorale che è stato loro concesso con l’allargamento del suffragio. Infatti, la gratuità rappresenta il retaggio di un tentativo di concilia-re il sistema costituzionale con la monarchia, di superaconcilia-re il sistema censitario nella forma senza abolirlo però nella sostanza 23. Per i sostenitori dell’allarga-mento, l’indennità consente di svolgere attività politica a uomini degnissimi che non potrebbero altrimenti proporsi come rappresentanti in quanto sprov-visti delle risorse necessarie a mantenersi 24.

Il secondo argomento è che lo Stato ha l’obbligo di indennizzare i deputati perché richiede loro l’adempimento di un ufficio pubblico. Tale attività, se in-dennizzata, deve divenire principale nel senso che il deputato percettore di un’indennità deve dedicarsi prevalentemente alla funzione parlamentare anzi-ché all’utile proprio.

Il terzo argomento è che l’indennità consente alle classi meno agiate di

in-23 Così A. BRUNIALTI, L’indennità ai deputati, in La nuova rivista, 54, 1882, 162.

24 In questo senso, v. P. PEVERELLI, Commenti intorno allo Statuto del Regno di Sardegna, Tipografia Castellazzo e De Gaudenzi, Torino, 1849, 109.

viare i propri rappresentanti in Parlamento. È vero che il concetto di rappre-sentanza nello Stato moderno non presuppone che il Parlamento sia compo-sto da mandatari o rappresentanti delle diverse classi o gruppi sociali. Pur tuttavia il passaggio, che inizia già nell’Ottocento e si consolida nel primo Novecento, dallo Stato monoclasse allo Stato pluriclasse impone che anche le nuove classi emergenti siano direttamente rappresentate anche attraverso propri membri.

Un ultimo argomento comunemente utilizzato è che l’indennità favorisca la partecipazione dei deputati ai lavori della Camera. Infatti, laddove i deputati debbono, per sostenersi, continuare a svolgere le proprie occupazioni e a se-guire i propri affari, parteciperanno in misura minore, finendo con l’anteporre la cura dei propri affari alla cura della propria rappresentanza.

Questo argomento è valido se si sposa anche il presupposto ideologico che lo anima e cioè la convinzione che la maggiore partecipazione ai lavori dei de-putati migliori l’attività legislativa 25.

4.2. Le obiezioni all’introduzione di una qualche forma di indennità.

Le obiezioni di natura politica che emergono dal dibattito parlamentare ot-tocentesco sono anch’esse assai interessanti. Le argomentazioni contro l’in-dennità, a prima vista, non sono dissimili da quelle oggi utilizzate da chi, in un contesto assai lontano da quello dell’epoca, spinge per la loro riduzione e, più in generale, per un contenimento dei costi della politica. In realtà, ad uno sguardo più attento, guardandovi dentro con più attenzione si scorge, come esse siano invece intimamente legate alla società italiana di quel tempo. Per cui esse hanno certamente un senso dentro le profonde trasformazioni sociali e politiche che la società italiana ottocentesca stava attraversando 26.

La prima obiezione al principio indennitario è assai ricorrente nel dibattito. Essa è fatta propria dal Cavour, come da altri deputati formatisi nel periodo

25 Questo argomento, riportato da F. RACCIOPPI, I. BRUNELLI, Commento allo Statuto del

Regno, cit., 30, è di particolare interesse nella misura in cui induce a riflettere sulla

desiderabili-tà della costante presenza di tutti i deputati in Aula. Il caso portato dai due Autori è quello proprio del Parlamento inglese che nemmeno ha un numero di posti a sedere sufficiente per tutti i deputati nel caso in cui essi volessero partecipare tutti alla seduta. In proposito sono de-gne di nota le osservazioni di D. ZANICHELLI, Questioni di diritto costituzionale e di politica, 1°

L’indennità ai deputati, cit., 31 il quale osserva come occorra distinguere le questioni che

de-terminano l’indirizzo politico a cui tutti i deputati hanno il dovere di prendere parte in maniera attiva e quelle, prettamente legislative, spesso di argomento tecnico e specialistico, che riusci-ranno più proficue in assemblee poco popolate.

26 Lo scritto di R. De NOVELLIS, L’indennità ai deputati, in Rassegna di Scienze sociali e

poli-tiche, vol. 2, 1889, 7, 19 ss., è esemplificativo delle trasformazioni in corso. Le argomentazioni,

fieramente presentate contro il principio dell’indennità ritenuta corruttrice della classe politica, ben rappresentano il sentimento diffuso di una certa borghesia italiana nei confronti dell’avan-zare della classe media.

pre-unitario. Questi uomini politici, figli della Restaurazione, ma al tempo stesso artefici del mancato ritorno all’assolutismo, ritenevano che l’indennità parla-mentare abbassasse il prestigio del Parlamento. Questa conclusione scaturiva dall’idea che il disinteresse dei rappresentanti per il denaro fosse fonte di pre-stigio per il Parlamento, in quanto i deputati sarebbero stati guidati nella loro attività parlamentare solo dal bene della Nazione 27.

La seconda obiezione, legata alla prima, è che la previsione dell’indennità rende l’ufficio di deputato ricercato essenzialmente per i vantaggi pecuniari che esso comporta. Questa tesi è, come si è visto, propria del pensiero di Stuart Mill, ma ebbe molti sostenitori in Italia che, riprendendo l’opera del pensatore inglese, argomentarono come l’introduzione dell’indennità in Italia avrebbe abbassato il livello intellettuale e morale del corpo legislativo ed anche la stima pubblica per i rappresentanti 28. La sua solidità dipende, in realtà, da una se-rie di variabili e quindi dall’ammontare dell’indennità prevista, dall’introdu-zione di un regime di incompatibilità nonché dal reddito o dalla dotadall’introdu-zione in-dividuale del singolo individuo, oltre che naturalmente dalla sua onestà indi-viduale.

La terza obiezione sempre di natura politica è che l’indennità diminuisca l’indipendenza del Parlamento nei confronti del Re. Questa è un’argomen-tazione strettamente legata alla forma di governo disegnata dallo Statuto Albertino che assegnava al Sovrano il compito di sciogliere la Camera dei deputati 29. Non vi è dubbio che la minaccia di uno scioglimento della Ca-mera possa esercitare una certa efficacia su deputati desiderosi di mantene-re la propria indennità per tutta la durata della Legislatura. Essa può avemantene-re la sua validità oggi pure, in una forma di governo diversa, nella misura in cui il diniego della fiducia ad un Governo possa condurre ad elezioni anti-cipate.

La quarta è che l’indennità per i deputati costituisce un onere per la finan-za. In particolar modo perché dopo aver riconosciuto un emolumento ai de-putati, occorrerebbe occuparsi dei senatori e delle migliaia di cittadini che pre-stano servizio nei consigli provinciali e comunali 30.

27 In modo assai esplicito Cesare Balbo affermava “l’eletto più ricco è meno corruttibile, più indipendente, più colto; e sono, per vero dire, tre qualità così preziose, da decidere la questio-ne” (C. BALBO, Della monarchia rappresentativa in Italia, della politica nella presente civiltà, Fi-renze, 1857, 268-269).

28 La tesi è sviluppata con dovizia di argomenti da D. ZANICHELLI, Questioni di diritto

costi-tuzionale e di politica. L’indennità ai deputati, cit., 34 ss. 52 ss. Tra i primi sostenitori della tesi

in oggetto c’era anche F. SCLOPIS, Scritti politici di Federico Sclopis sulla condizione d’Italia

in-cominciati nel febbraio 1849, in A. COLOMBO, Dalle riforme allo Statuto di Carlo Alberto, Tipo-grafia Cooperativa, Casale, 1924, 190 ss.

29 V. D. ZANICHELLI, Questioni di diritto costituzionale e di politica. L’indennità ai deputati, cit., 53.

30 F. RACCIOPPI, I. BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, cit., 31. Questa è una con-statazione aritmeticamente incontrovertibile, ma che già nell’Ottocento poteva appariva poco

La quinta è che l’indennità ripugna alla coscienza politica italiana. Questa argomentazione, più volte rintracciata nei dibattiti parlamentari, è chiaramen-te più di caratchiaramen-tere morale che politico. Essa era stata indotta, già nell’Ottocen-to, da considerazioni quali il cattivo andamento degli affari parlamentari, la deficiente partecipazione alle sessioni ed ai lavori d’aula ed il fenomeno tipi-camente italiano del trasformismo. Motivazioni radicate nella coscienza italia-na, per cui l’assegnazione di un’indennità sarebbe stata immorale nei confronti delle migliaia di funzionari dello Stato che assolvono il proprio compito con zelo anche a fronte di stipendi assai ridotti.

La sesta obiezione è che l’indennità favorirebbe più i partiti che i singoli deputati. Questo argomento è più tardo rispetto ai precedenti, in quanto com-pare nel dibattito politico sul finire dell’Ottocento, non a caso dopo la nascita del Partito socialista nel 1892. In particolare, è proprio l’obbligo che il Partito socialista aveva imposto, in altri Stati, ai propri deputati di versare una quota della loro indennità nella cassa sociale del partito ad attirare la critica. Tale operazione, in una logica liberale, incideva sulla nozione stessa di rappresentan-za che presupponeva uno Stato monoclasse ed era dunque tacciata di voler reintrodurre sotto diverse forme il mandato imperativo 31.

5. L’aggiramento del divieto statutario e l’introduzione nel Novecento

Outline

Documenti correlati