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I divieti di sequestro e pignoramento ed i divieti di rinuncia o ces- ces-sione dell’indennità parlamentare

L’attuazione dell’istituto costituzionale dell’indennità per i parlamentari

6. I divieti di sequestro e pignoramento ed i divieti di rinuncia o ces- ces-sione dell’indennità parlamentare

L’art. 5 della legge n. 1261 del 1965, riprendendo in questo il disposto del-la precedente legge, conferma che l’indennità mensile e del-la diaria dei pardel-lamen- parlamen-tari non possono essere sequestrate o pignorate.

Questa previsione allontana l’equiparazione tra indennità e retribuzione. Essa fa, infatti, risaltare la specificità della funzione parlamentare rispetto ad ogni altra attività lavorativa.

Le ragioni di questa garanzia risiedono in uno degli obiettivi perseguiti dal-l’indennità stessa e cioè nel voler garantire lo status del parlamentare e la sua indipendenza. Si tratta, dunque, di una scelta che il Legislatore ha compiuto non tanto per attribuire un beneficio di legge ai membri delle Camere, quanto piuttosto per assicurare che l’attività del Parlamento sia indisturbata. In que-sto senso, essa può anche ritenersi una scelta costituzionalmente obbligata ai sensi del complesso di norme volte a tutelare i diversi profili dell’indipendenza del parlamentare.

Infatti, l’assenza di adeguate garanzie potrebbe porre il parlamentare, che venisse a trovarsi in una situazione di debito, in una situazione di subalternità

54 V. in proposito, art. 51, comma 5, TUIR. Questa è per L. CIAURRO, Regime fiscale e

natu-ra retributiva dell’indennità parlamentare, cit., 107 “l’ultimo residuo di privilegio fiscale per i

rispetto al proprio creditore e questo riverberare sulla sua stessa attività par-lamentare. In altri termini, tale condizione potrebbe finire con influire sull’at-tività e sulle decisioni della Camera di appartenenza 55.

All’insequestrabilità ed all’impignorabilità dell’indennità sancite diretta-mente nella legge n. 1261 del 1965, si accompagnano i divieti di rinuncia e di cessione stabiliti dall’art. 91 del Testo Unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati di cui al d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 56.

Essi valgono sia per la quota fissa dell’indennità sia per la diaria 57.

Il fatto che essi non siano contemplati nella normativa che specificamente dà attuazione all’art. 69 Cost. potrebbe anche far dubitare della loro natura costituzionalmente necessitata.

Vi sono solide argomentazioni di carattere storico a favore dell’introdu-zione del principio dell’irrinunciabilità. Nel contesto liberale, in cui il princi-pio di irrinunciabilità si affermò, esso era ritenuto necessario all’inveramento del principio indennitario. Esso si iscriveva perfettamente nella contesa tra ari-stocrazia e borghesia ed era strumento per quest’ultima per favorire un ricam-bio di classe politica.

Questo, perché mirava ad evitare che il singolo candidato facesse un uso strumentale della rinuncia o della cessione dell’indennità obbligando i concor-renti a fare altrettanto, così vanificando il diritto di ogni cittadino, anche non abbiente, di accedere alle cariche pubbliche 58.

La protezione del diritto ad accedere alle cariche pubbliche ed elettive tro-va, come si è visto, pieno riconoscimento nella nostra carta costituzionale ed obbliga il Legislatore ad adottare le misure necessarie per renderlo effettivo. Per questa ragione, i divieti di rinuncia e di cessione sono essenziali anche nel-l’ordinamento costituzionale repubblicano.

Nel contesto costituzionale italiano essi però hanno anche un’ulteriore

fun-55 Cfr. ampiamente in proposito L. CIAURRO, Impignorabilità ed insequestrabilità

dell’inden-nità parlamentare. Verso la soppressione?, in Giur. cost., 1995, 4483 ss.

56 Sul punto occorre ricordare che il T.U. in questione riprende eguale disposizione già con-tenuta nell’art. 66 del T.U. 5 febbraio 1948, n. 26.

57 Nell’ambito della XVI Legislatura si pose la questione se il divieto di rinuncia valesse pure per la diaria e per gli altri contributi erogati forfettariamente. La questione fu risolta dall’Ufficio di Presidenza della Camera, che a seguito di istruttoria, concluse solo per l’irrinunciabilità della diaria. L’Ufficio di presidenza affermò che il proprio orientamento era legato ad una lettura si-stematica delle disposizioni costituzionali e di legge che disciplinano il trattamento economico dei deputati e che definivano l’indennità come duale, composta appunto di quota fissa e di dia-ria. Per gli altri contributi, “rilevato come tali emolumenti sono erogati in virtù dell’autonomia amministrativa e di bilancio riconosciuta alle Camere dalla Costituzione, e che essi non sono stati né sono previsti dalle leggi attuative dell’articolo 69 della Costituzione essi possono essere sottoposti al principio generale della rinunciabilità dei diritti patrimoniali e, pertanto, un’even-tuale rinuncia da parte dei deputati deve ritenersi ammissibile”. V. conclusioni, in merito, del-l’Ufficio di Presidenza della Camera del 30 ottobre 2012.

zione. Posto, infatti, che la competizione elettorale è anche una competizione tra partiti, il principio di irrinunciabilità serve pure ad evitare che un uso stru-mentale della rinuncia, possa, mutatis mutandis, avvantaggiare i partiti che di-spongono di maggiori risorse economiche 59.

Un’ulteriore giustificazione del principio di irrinunciabilità può anche tro-varsi, con specifico riferimento al divieto di cessione, nell’obiettivo di proteg-gere i deputati ed i senatori nei confronti dei propri partiti e gruppi politici di riferimento. In questo senso, il divieto di cessione garantirebbe il principio della rappresentanza generale ed il divieto di mandato imperativo espressi nel-l’art. 67 Cost. 60.

La questione riguarda la legittimità della cessione di quote dell’indennità al proprio gruppo parlamentare o direttamente al proprio partito. Si tratta, come noto, di una prassi tutt’altro che recente che incrocia il tema, non ricompreso nell’ambito di indagine di questo studio, del finanziamento dei partiti 61.

Salvo poche, ma autorevoli, voci dissonanti, la dottrina maggioritaria ha ri-tenuto legittime tali cessioni sulla base di due presupposti tra loro inscindibili. Il primo è che tali scelte ricadono nell’ambito della libera disposizione delle somme corrisposte ai deputati. Il secondo è che nessuna pretesa sia azionabile, da parte del gruppo o del partito, nell’ambito dell’ordinamento generale dello Stato nei confronti del deputato o del senatore che decidesse di non contri-buire 62.

Per cui il mancato versamento della quota prevista, indipendentemente dal fatto che un obbligo sia previsto in uno statuto di partito oppure in un con-tratto di diritto privato, può certamente dar origine a conseguenze nell’ordina-mento interno dei partiti o dei gruppi politici, ma, proprio stante il principio dell’irrinunciabilità e del conseguente divieto di cessione, non può dar luogo “ad alcuna pretesa azionabile nell’ambito dell’ordinamento generale dello Sta-to” 63.

59 L. CIAURRO, Impignorabilità ed insequestrabilità dell’indennità parlamentare: verso la

sop-pressione?, in Giur. cost., 1995, 40, 4483-4492.

60 Cfr. P. MARSOCCI, Art. 69, cit., 1330.

61 È molto interessante notare come fino agli anni Novanta fosse possibile effettuare rite-nute dirette sull’indennità parlamentare a favore dei Gruppi parlamentari, su esplicita richie-sta dei Deputati e dei Senatori. Querichie-sta prassi è richie-stata interrotta nel 1992 con una delibera ad

hoc dell’Ufficio di Presidenza della Camera adottata in data 10 dicembre 1992. V. sul punto

D.ISOTTI, L’indennità parlamentare prevista dall’art. 69 Cost.: attuazione e recenti interventi, cit., 228.

62 Cfr. in proposito L. CIAURRO, Regime fiscale e natura retributiva dell’indennità

parlamen-tare, cit., 112; U. ZAMPETTI, Art. 69, cit., 241 ss. Contra per tutti S. Tosi che ha definito tale pra-tica come “tributo partitico” e “privata imposizione fiscale”. (ID., Diritto parlamentare, Giuffrè, Milano, 1993.

7. Gli “altri emolumenti” e le speciali agevolazioni per i parlamentari

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