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Il divieto dello Statuto Albertino di corrispondere retribuzioni ed indennità a deputati e senatori

L’eccezione ottocentesca del Regno d’Italia, il divieto statutario e la svolta novecentesca

2. Il divieto dello Statuto Albertino di corrispondere retribuzioni ed indennità a deputati e senatori

Proprio nel 1848, lo Statuto Albertino compiva una scelta opposta rispetto a quella delle carte approvate in Italia nel medesimo anno. La legge fonda-mentale concessa da Carlo Alberto, infatti, prevedeva ex art. 50 la gratuità del mandato legislativo, prescrivendo esplicitamente che le funzioni di senatore e di deputato non dovessero dar luogo né a retribuzione né ad indennità. La gratuità delle funzioni parlamentari rifletteva il pensiero del costituente, ossia del Re e del Consiglio di conferenza, che immaginavano un Parlamento che fosse composto da membri senza alcuna preoccupazione economica 6.

L’origine di questo perentorio divieto non è, come invece avviene per mol-te altre disposizioni statutarie, nella Costituzione francese del 1830, che aveva consapevolmente scelto di non affrontare la questione nella Carta, quanto

2 L’art. 29 della Costituzione del Granducato prevedeva, da un lato, che l’ufficio dei deputa-ti fosse gratuito. Da un altro lato, prevedeva, però, che ai deputadeputa-ti non residendeputa-ti nella Capitale fosse riconosciuta, a carico del distretto elettorale, una “modica indennità” per il tempo della sessione.

3 L’art. 15 dello Statuto fondamentale prevedeva la facoltà per i Comuni di “concedere ai rappresentanti per il periodo delle sessioni, una indennità al giorno … tranne che a coloro che risiedono nella Capitale”.

4 L’art. 8 delle Basi per una Costituzione per il Ducato di Parma prevedeva che l’indennità fosse dovuta dai rispettivi Comuni.

5 Così l’art. 28 della Costituzione della Repubblica Romana.

6 Così F. MUSSO, Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai deputati (1848-1912), in

Il Politico, 2, 2000, 287. L’Autore cita molto opportunamente al fine di far comprendere l’hu-mus in cui la scelta si realizza le parole di Cesare Balbo (C. BALBO, Della Monarchia

rappresenta-tiva in Italia, della politica nella presente civiltà, Firenze, 1857, 268-269) per il quale “l’eletto

ricco è meno corruttibile, più indipendente, più colto; e sono per vero dire, tre qualità così pre-ziose da decidere la questione”.

piuttosto nella legislazione elettorale francese della Restaurazione 7.

Le motivazioni di questa scelta possono essere ricostruite a partire dalle parole del Ministro relatore dello Statuto che, nella seduta del 2 marzo 1848, presentando l’art. 50 sostenne che esso avrebbe costituito una garanzia contro “une foule de solliciteurs d’une modique fortune”, la cui presenza nelle Came-re avCame-rebbe potuto esseCame-re causa di gravi inconvenienti 8.

Il rischio da evitare era, dunque, quello che, retribuendo le funzioni di de-putato e senatore, vi potessero essere molti individui che, non avendo altre ri-sorse, tentassero la carriera politica al solo fine di utilizzare il mandato per formarsi una posizione sociale e, così facendo, occuparsi degli affari propri anziché di quelli del Paese 9.

Questa affermazione così tranchant è in linea con l’idea profondamente ra-dicata nella coscienza piemontese del tempo per cui solo coloro che possono dedicarsi agli affari pubblici senza preoccupazioni di ordine economico per-sonale possono fare davvero il bene della società. Essa è, inoltre, comprensibi-le in un contesto in cui il suffragio ecomprensibi-lettoracomprensibi-le, introdotto proprio nel 1848, ave-va carattere assai ristretto spettando a meno del due per cento della popola-zione sabauda.

Né l’Unità d’Italia né le successive riforme elettorali mutarono davvero questa situazione. Basti pensare che dopo l’ampliamento più importante del suffragio, avvenuto nel 1882, molto in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, solo il nove per cento della popolazione italiana godeva del diritto di voto.

In conseguenza di ciò le spinte verso la democratizzazione, molto forti per tutto l’Ottocento in molti Stati europei, rimasero invero assai deboli in Italia, dove la classe politica italiana rimase circoscritta e “notabilare” 10.

Per questa sua caratteristica essa fu poco incline a porre le basi, tramite la corresponsione di un’indennità, di un proprio rinnovamento 11. Come è stato no-tato, lo Statuto era certamente liberale, ma la legge elettorale oligarchica perché sulla base di questa “il ceto degli abbienti (era) l’unico detentore del potere” 12.

7 Così E. PAGLIANO, Indennità parlamentare, cit., 321 ss.

8 Così D. ZANICHELLI, Lo Statuto di Carlo Alberto secondo i processi verbali del Consiglio di

conferenza – Sed. 11 –D. Alig., Roma, 1898. Sulle fasi preparatorie dello Statuto v. F. RACIOPPI, I. BRUNELLI, Commento allo Statuto, cit.; E. CROSA, La concessione dello Statuto: Carlo Alberto e

il ministro Borelli «redattore» dello statuto, Istituto giuridico della Regia Università, Torino, 1936 e

anche G. FALCO, Lo Statuto albertino e la sua preparazione, Capriotti, Roma, 1945.

9 Così P. PEVERELLI, Commenti intorno allo Statuto del Regno di Sardegna, Tipografia Ca-stellazzo e Degaudenzi, Torino, 1849, 409. Lo Statuto albertino appare per alcuni versi anche più arretrato rispetto alla Costituzione francese del 1830. V. su questa questione, U. A LLEGRET-TI, Profilo di storia costituzionale italiana, Il Mulino, Bologna, 1989, 373 ss.

10 La definizione è ripresa da A. MASTROPAOLO, Notabili, clientelismo e trasformismo, in L. VIOLANTE (a cura di), Il Parlamento, Einaudi, Torino, 2001, 773 ss. e spec. 783.

11 Così F. MUSSO, Il dibattito parlamentare sull’indennità di carica ai deputati (1848-1912), in

Il Politico, 2, 2000, 285.

pub-Il divieto esplicito dello Statuto Albertino giocò indubbiamente un ruolo importante. Esso fu, per lungo tempo, considerato come una barriera invalica-bile, anche dopo l’Unità d’Italia, all’introduzione a favore dei membri del Par-lamento di qualsiasi forma di indennità 13.

In una prima fase, la dottrina maggioritaria sostenne infatti che, avendo Carlo Alberto dichiarato l’irrevocabilità dello Statuto, ogni norma della legge fonda-mentale fosse da considerarsi perpetua ed irrevocabile 14. Successivamente, que-sta tesi perse di credito a favore di quella, più adeguata allo sviluppo della mo-narchia costituzionale, per cui l’irrevocabilità albertina fosse da intendersi non come intangibilità assoluta, ma come un argine al ritorno dello Stato assoluto 15.

Il venir meno della questione pregiudiziale dell’intangibilità statutaria e l’affermazione, tutta ottocentesca, della tesi che riconosce al potere legislativo (limitato comunque dall’autorità regia) la qualità perpetua di potere costituen-te spostarono il dibattito dalla questione formale sulla possibilità di modificare lo Statuto ad una più sostanziale sull’opportunità delle modifiche. In proposi-to, occorre dire che una revisione statutaria non fu mai davvero posta all’ordi-ne del giorno.

Se, infatti, la legge fondamentale non era più da considerarsi intangibile ed il potere legislativo era anche potere costituente nulla avrebbe potuto impedi-re al Parlamento di legiferaimpedi-re in materia di indennità, anche in modo contrario rispetto al divieto dell’art. 50 dello Statuto.

Di qui iniziò ad affermarsi in dottrina una tesi riformatrice che rimase però largamente inascoltata. Secondo gli Autori che la sostennero il divieto statuta-rio sarebbe stato non assoluto e la previsione dell’indennità per i deputati ammissibile in quanto corollario “immediato e necessario dei due principi di libertà e di eguaglianza” che informavano di sé l’intero Statuto Albertino. Que-sto perché l’indennità avrebbe reso completa la loro estensione alla funzione

blica, Edizioni Roma, Roma, 1961, 145 ss. ora pubblicato in S. CASSESE (a cura di),

L’ammini-strazione pubblica in Italia, Il Mulino, Bologna, 1974, 213 ss.

13 Si ritenne ammissibile ex art. 50 dello Statuto solo riconoscere ai deputati del Regno, in particolare dopo l’annessione delle Province meridionali, la libera circolazione ferroviaria e, in un secondo tempo, anche quella sui piroscafi sussidiati dallo Stato. V. in proposito E. P AGLIA-NO, Indennità parlamentare, cit., 617.

14 V. in proposito ex multis, L. PALMA, Corso di diritto costituzionale, II, Pellas, Firenze, 1884, 126; A. PATERNOSTRO, Diritto costituzionale teorico, pratico e comparato: lezioni dettate

nell’anno scolastico 1878-1879, Stab. Tipografico di V. Morano, Napoli, 1879, 366 ss.; L. C ASA-NOVA, Del diritto costituzionale, II, Lavagnino, Genova, 1859, 298; G. ARCOLEO, Diritto

costitu-zionale, Mondadori, Milano, 1935, 164 ss.

15 Cfr. in proposito F. RACCIOPPI, I. BRUNELLI, Commento, cit., I, 191 ss.; G. TRONO,

Ele-menti di diritto costituzionale, Editore Vallardi, Napoli, 1875, 388; R. DAL POGGETTO, Trattato

di diritto costituzionale sulla scorta dei principi filosofici che lo informano e delle disposizioni con-tenute nello Statuto del Regno d’Italia, IV, Tipografia Baccelli, Lucca, 1865, 270. V. sul punto

tra gli Autori contemporanei anche l’opinione a favore della tesi secondo cui lo Statuto fu con-cepito come assolutamente rigido ed immodificabile, di A. PACE, La causa della rigidità

parlamentare nell’interesse degli elettori, degli eletti e della Camera stessa 16. Rispetto agli elettori, l’indennità avrebbe favorito il riconoscimento al cor-po cor-politico del diritto sovrano di scelta della propria rappresentanza cor-posto che, al contrario, la gratuità del mandato contraddiceva il principio giuridico dell’eguaglianza censuaria degli eleggibili e diminuiva la libertà di scelta del corpo elettorale.

In rapporto agli eletti, l’indennità si presentava, sempre secondo questa tesi, tanto come garanzia di indipendenza contro la possibilità che venisse ad instau-rarsi un mandato imperativo di fatto, nel caso in cui i rappresentanti avessero dovuto ricorrere agli elettori per ottenere i mezzi per la loro sussistenza, quanto come un principio di giustizia per cui ogni lavoro deve essere compensato.

Infine, rispetto alla Camera, l’indennità, secondo la tesi qui rammentata, sa-rebbe stata l’unico strumento in grado di consentire che la sua composizione rispecchiasse in modo effettivo i diversi interessi sociali e, dunque, rappresen-tasse, come statutariamente previsto, la Nazione 17.

3. Il dibattito politico ottocentesco sulla necessità di introdurre una

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