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La curiosa storia del ventisettesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America

la biforcazione tra Stati Uniti d’America ed Europa

3. La curiosa storia del ventisettesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America

Come si è detto, la scelta che fossero i rappresentanti a decidere dei propri compensi fu oggetto dell’accusa che questo rappresentasse un palese conflitto di interessi 16. Per ovviare a questo problema, James Madison in qualità di rappresentante della Virginia propose uno specifico emendamento al testo co-stituzionale appena approvato 17. Tale proposta, fu inserita nello storico pac-chetto di emendamenti destinato a diventare il Bill of Rights americano.

Le proposte in questione furono approvate tutte insieme il 25 settembre 1789 ed inviate dal primo Congresso Americano agli Stati per le ratifiche ne-cessarie secondo il procedimento di revisione costituzionale 18.

L’art. 2 della proposta, che nelle intenzioni di Madison avrebbe dovuto in-tegrare la Sezione 6 della Costituzione, prevedeva che la legislazione del Con-gresso che avesse variato – diminuendo o aumentando – il livello della com-pensazione per i deputati e per i senatori non avrebbe avuto effetto prima del-le successive edel-lezioni.

La soluzione di Madison aveva il pregio di non intaccare il principio della separazione dei poteri mantenendo in capo al Congresso il compito di inter-venire su una questione attinente allo status dei propri membri. Allo stesso tempo, la proposta mirava ad evitare sia che i deputati ed i senatori potessero arbitrariamente innalzarsi l’indennità sia che ogni aumento, inclusi quelli det-tati solo dal recupero dell’inflazione corrente e dal mutamento della ricchezza della società americana potessero essere percepiti dai cittadini americani come un abuso e, di conseguenza, gettassero discredito sulla classe politica 19.

15 A. VERMEULE, The Constitutional Law of Official Compensation, cit., 506. V. anche J. STORIES, Commentaries on the Constitution of the United States, vol. 3, cit., § 433.

16 A. VERMEULE, The Constitutional Law of Official Compensation, cit., 511.

17 Sul contributo di Madison al costituzionalismo americano si v. il saggio di F. FANTONI, Il

virginiano Madison e il «Federalist», in Il Politico, 56, 3, 1991, 533 ss.

18 Il 25 settembre 1789, il Primo Congresso degli Stati Uniti propose 12 emendamenti alla Costituzione. Dieci dei dodici emendamenti furono ratificati il 15 dicembre 1791. Gli articoli ratificati (Articles 3-12) costituiscono i primi dieci emendamenti alla Costituzione o, come è comunemente chiamato, il Bill of Rights.

La proposta di emendamento alla norma sulla compensazione dei rappre-sentanti e dei senatori non incontrò però il necessario favore degli Stati mem-bri 20. Fu ratificato, infatti, solo da una mezza dozzina di Stati americani senza, quindi, che si raggiungesse il numero necessario di ratifiche per la sua entrata in vigore.

Questo fece sì che la proposta di revisione costituzionale di Madison, ri-guardante l’indennità, cadesse, potremmo dire, in un sonno profondo che fu disturbato nel corso dell’Ottocento solo una volta dalla ratifica di un altro Sta-to, l’Ohio, giunta in modo estemporaneo in segno di protesta contro un signi-ficativo innalzamento dei compensi operato dal Congresso 21.

Dopo questo breve risveglio, la questione del compenso dei deputati e del “conflitto di interesse” perse di interesse per oltre un secolo e, precisamente, fino alla fine degli anni Sessanta del Novecento. Nel 1967, una legge federale istituì una commissione quadriennale con la responsabilità di proporre al Pre-sidente i livelli salariali per i massimi funzionari del governo, compresi i mem-bri del Congresso, che tenessero conto dell’incremento del costo della vita e mantenessero la comparabilità salariale con i dipendenti del settore privato 22.

Il Presidente era chiamato a proporre l’adeguamento. La proposta presi-denziale era destinata a divenire efficace a meno che il Congresso non adottas-se entro trenta giorni una risoluzione congiunta contraria. Questa previsione era ammissibile solo sulla base di una lettura debole della clausola costituzio-nale che rimetteva al Congresso la definizione dei compensi 23. Per riportare la legislazione in asse con lo spirito della previsione costituzionale, nel 1975, fu modificata la composizione delle commissioni e furono chiamati a farne parte anche alcuni rappresentanti del Congresso.

Questa piccola modifica, che, per la verità, sembrava andare incontro alla previsione costituzionale, fu oggetto di forti critiche politiche. In punto di di-ritto costituzionale si sarebbe forse potuto continuare a ritenere, la previsione delle commissioni, ancorché integrate, la raccomandazione presidenziale e gli aumenti automatici sovrabbondanti rispetto all’asciuttezza della norma costi-tuzionale che rinviava alla scelta del Congresso 24.

nel momento in cui decidevano l’aumento del salario potevano solo sperare di goderne laddove rieletti. A. VERMEULE, Veil of Ignorance Rules in Constitutional Law, in Yale Law Journal, 111, 2001, 399 ss. spec. 419-422.

20 La stessa sorte fu condivisa dall’art. 1 della proposta inviata agli Stati che mirava a modifi-care il numero dei membri del Congresso in base alla popolazione e riguardava il rapporto in termini numerici tra rappresentati e rappresentanti (cd. CongressionalApportionment).

21 La protesta dell’Ohio era indirizzata contro il Salary Grab Act che, approvato dal Congresso il 3 marzo 1873, raddoppiava lo stipendio del presidente, gli stipendi dei giudici della Corte Suprema e persino dei rappresentanti con effetto retroattivo rispetto all’inizio del mandato parlamentare.

22 La legge in questione era il Federal Salary Act del 1967.

23 A. VERMEULE, The Constitutional Law of Official Compensation, cit., 515.

24 Successivamente, prima della ratifica dell’emendamento costituzionale, il Congresso, nel-l’Ethics Reform Act del 1989 modificò sia le disposizioni di legge sull’aumento di stipendio sia

Politicamente, però, l’opinione pubblica interpretò l’inserimento dei rappre-sentanti e dei senatori nelle commissioni incaricate di formulare le proposte di aumento come un modo per consentire al Congresso di aumentare i compensi senza assumersene la piena responsabilità politica, facendo così apparire la legge come una scelta quasi obbligata rispetto alle raccomandazioni ricevute 25.

Quello che però riaccese definitivamente il dibattito politico sulle indenni-tà, fu uno di quegli eventi accidentali che costellano la storia costituzionale americana. Gregory Watson, uno studente dell’Università del Texas, scrisse nel 1982 un paper nell’ambito di un corso di scienze politiche in cui criticando il sistema delle indennità, asseriva che l’emendamento di Madison era ancora “vivo” e potesse dunque essere ancora ratificato dagli Stati portando così a compimento il procedimento di revisione costituzionale. Questo avrebbe con-sentito il compimento del disegno originario cui aspirava Madison e cioè eli-minare il “conflitto di interesse” 26.

Watson ricevette per il suo lavoro una “C”, la più comune delle votazioni, che nel sistema universitario americano significa una realizzazione non parti-colarmente brillante ancorché conforme alle specifiche richieste ed allineata allo standard qualitativo minimo dell’istituzione. Molto insoddisfatto per il ri-sultato conseguito, Watson domandò al proprio professore di rivedere il voto assegnato, ma questa richiesta non venne accolta ribadendo il docente che il lavoro non era affatto da considerarsi eccellente.

Watson decise, comunque, di scrivere una lettera a tutti i legislatori statali, iniziando dal Maine, sottoponendo loro la sua proposta di riattivazione della procedura di revisione costituzionale dell’emendamento di Madison 27. Gli echi della vicenda furono in grado di riaccendere nell’opinione pubblica ame-ricana l’attenzione sul permanente conflitto di interessi di cui Madison aveva parlato due secoli prima.

Questo contribuì a far sì che, nel corso degli anni Ottanta, molti Stati ri-presero a ratificare l’emendamento di Madison.

quelle sul costo della vita, rendendo effettivi gli aumenti della retribuzione quadriennale propo-sta dalla Commissione solo dopo una nuova elezione congressuale interveniente e subordinan-dolo ad uno specifico voto congressuale. Una commissione federale della Corte d’appello ha sta-bilito che la disposizione relativa all’aumento del costo della vita non ha violato il ventisettesimo emendamento.

25 Nel 1977 anche il Wyoming aveva deciso di ratificare l’emendamento di Madison, ancora una volta in segno di protesta contro un aumento delle compensazioni dei parlamentari.

26 V. in relazione alla progressiva approvazione dell’emendamento la ricostruzione di J. DEAN,

The Telling Tale of the Twenty-seventh Amendment: A Sleeping Amendment Concerning Con-gressional Compensation Is Later Revived, in Findlaw, 27th September 2012 e di R.B. B ERN-STEIN, The Sleeper Wakes: the History and Legacy of the Twenty-Seventh Amendment, in

Ford-ham L. Rev., 61, 1992-1993, 497 ss.

27 Sia consentito sottolineare come Watson, in linea con il tradizionale “spirito americano”, ebbe il coraggio di difendere il proprio punto di vista, anche se giudicato non positivamente dal proprio docente, utilizzando gli strumenti che la democrazia statunitense offre.

I numeri costituzionalmente richiesti, i tre-quarti degli Stati, furono rag-giunti con l’approvazione da parte del Michigan il 7 maggio 1992. Uno Stato, il Michigan che è curioso ricordare nemmeno esisteva nel momento in cui il Congresso aveva approvato l’emendamento e lo aveva inviato agli Stati per le ratifiche.

A questo punto si aprì, però, una questione di natura prettamente giuridi-co-costituzionale sulla validità dell’emendamento 28. Prima di allora, infatti, non erano mai trascorsi più di quattro anni perché un emendamento costitu-zionale approvato dal Congresso fosse ratificato dagli Stati in via definitiva.

Una parte importante della dottrina americana riteneva l’emendamento il-legittimo, facendo leva sulla teoria del cd. “contemporaneous consensus”. Que-sta teoria era Que-stata abbozzata in un dictum della Corte Suprema che, nel caso

Dillon v. Gloss, aveva detto che, in mancanza di uno specifica indicazione

tem-porale nella proposta di modifica costituzionale, il procedimento di revisione costituzionale avrebbe comunque dovuto concludersi entro un ragionevole ter-mine 29. Per tali Autori il trascorrere di ben due secoli non era affatto un ter-mine ragionevole e, pertanto, non si poteva ritenere come ancora presupposto il consenso del Congresso alla revisione.

Un’altra parte della dottrina riteneva, al contrario, che nel silenzio dell’art. V della Costituzione, che è bene ricordare non prevede alcun termine per la ra-tifica degli emendamenti, il venir meno del “contemporaneous consensus” non potesse essere fatto discendere autonomamente dal passaggio del tempo, ma

28 V. sul punto la ricostruzione assai dettagliata di M.S. PAULSEN, A General Theory of

Arti-cle V: The Constitutional Lessons of the Twenty-seventh Amendment, in Yale Law Journal, 3,

103, 1993, 677 ss. V. inoltre la posizione assai critica circa la legittimità dell’intero procedimen-to di S. DALZELL, E.J. BESTE, Is the Twenty-Seventh Amendment 200 Years Too Late, in Geo.

Wash. L. Rev., 62, 1993-1994, 501 ss.

29 Nel caso in questione Dillon contesta la validità del diciottesimo emendamento sul proibizionismo. L’emendamento, in questione, adottato nel 1919, è stato il primo emenda-mento ad includere al suo interno un limite di tempo per la ratifica di sette anni, una pratica che è da allora diventata abbastanza consueta. Dillon ha sostenuto l’inclusione di qualsiasi termine come non valida. La richiesta era abbastanza irrilevante anche perché se la previsione di un termine di scadenza fosse stata illegittima la conclusione sarebbe stata quella di recide-re la scadenza dal recide-resto della proposta di modifica. La Corte Suprecide-rema recide-respinse il ricorso di Dillon ed affermò che rientra certamente nei poteri del Congresso introdurre un tempo limi-te per le ratifiche dell’emendamento da parlimi-te degli Stati, a patto che tale limi-termine sia ragione-vole. Nel definire cosa fosse ragionevole la Corte Suprema andò molto oltre i termini del giu-dizio ed affermò che “the Constitution contains no express provision on the subject is not in itself controlling; for with the Constitution, as with a statute or other written instrument, what is reasonably implied is as much a part of it as what is expressed ... We do not find any-thing in the Article which suggests that an amendment once proposed is to be open to ratifi-cation for all time, or that ratifiratifi-cation in some of the States may be separated from that in others by many years and yet be effective. We do find that which strongly suggests the con-trary ... We conclude that the fair inference or implication from Article V is that the ratifica-tion must be within some reasonable time after the proposal”. V. M.S. PAULSEN, A General

spettasse al Congresso stesso dichiararlo. Questo perché si trattava di una que-stione essenzialmente politica e le questioni politiche rimanevano di stretta com-petenza del Congresso anche dopo due secoli. Pertanto, i sostenitori di que-sta tesi richiedevano un nuovo passaggio parlamentare in cui le due Camere si esprimessero sul permanere o meno del loro consenso all’emendamento costi-tuzionale.

Quello che accadde nella realtà non permette però di risolvere il dilemma interpretativo.

Infatti, il National Archivist, il funzionario federale incaricato del dovere di certificare la ratifica dell’emendamento da parte degli Stati e di pubblicare il suo testo ufficiale, decise di certificare il procedimento un giorno prima che il Congresso si pronunciasse. Così facendo egli scontentò tutti poiché agì come se fossero irrilevanti tanto il trascorrere del tempo quanto il voto del Congres-so. Il giorno successivo alla sua certificazione, a procedimento formalmente concluso, entrambi i rami del Congresso decisero comunque di pronunciarsi sull’esistenza del “contemporary consensus” ed entrambi si espressero a favo-re: il Senato addirittura all’unanimità dei presenti (99 a 0) e la Camera con soli 4 voti contrari a fronte di ben 414 favorevoli 30.

Non si risolse la questione su chi dovesse accertare il contemporary

consen-sus, ma il ventisettesimo emendamento entrò effettivamente in vigore 31. Una norma scritta duecento anni prima è l’ultimo lascito di Madison alla Costitu-zione americana 32. Essa aggiunge alla cd. compensation clause originaria quel velo d’ignoranza voluto da Madison per contrastare il “conflitto di interessi”. Un velo che impedisce ai rappresentanti e ai senatori di sapere se percepiran-no effettivamente l’aumento eventualmente approvato, perché esso sarà eroga-to solo a partire dalla successiva elezione 33.

L’importanza di questa innovazione non è però solo legata, se si pone at-tenzione, al superamento del “conflitto di interessi”. Essa dispiega i suoi effet-ti, in modo certamente non secondario, sulla percezione degli elettori, perché respinge il facile argomento dei parlamentari che mirano a favorire solo se stessi ogni qualvolta essi dispongono un aumento delle loro indennità.

30 Prevalsero evidentemente ragioni di carattere politico che spinsero le due Camere a chiu-dere la questione più in fretta possibile per non urtare un’opinione pubblica che avrebbe mal percepito un intervento volto a bloccare l’entrata in vigore dell’emendamento ratificato dagli Stati membri. Cfr. M.S. PAULSEN, A General Theory of Article V, cit., 677 ss.

31 Successivamente al voto congressuale altri Stati ratificarono comunque l’emendamento di Madison. Ad oggi solo quattro tra i cinquanta Stati della Federazione non hanno provveduto. Essi sono Massachusetts, Mississippi, New York e la Pennsylvania.

32 Nel 2017, l’Università del Texas decise, accogliendo una richiesta del suo vecchio profes-sore, di modificare il voto ricevuto da Watson da “C” ad “A”.

33 La metafora è utilizzata da A. VERMAULEN, Veil of Ignorance Rules in Constitutional Law, cit., 399.

4. Il principio della non gratuità del mandato come portato della

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