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Ed Aggiunge: «noi abbiamo già segnalato questo difetto in molte Dichiarazioni dei diritti sociali che s

limitano a formulare programmi di azione dello Stato e a parlare dei suoi doveri e dei suoi diritti, senza attribuire agli interessati, gruppi e individui, alcun diritto sociale proprio, alcuna autonomia giuridica, alcuna capacità dir rivendicazione e di controllo , alcuna garanzia della propria libertà positiva e del proprio ruolo attivo, alcuna facoltà di autogoverno e di difesa effettiva dei propri diritti. Se nel diritto sociale non si trattasse che della regolamentazione statale delle misure di aiuto e di distribuzione di benefici materiali, i regimi autoritari e totalitari sarebbero anch’essi capaci, in linea di principio, al pari, delle democrazie di realizzare un uguale diritto sociale, preoccupandosi del benessere materiale dei produttori e dei consumatori resi schiavi!». Cfr. G. GURVITCH, op. cit., p. 71.

65Cfr. anche P. BARCELLONA, La solidarietà come fatto già cit., p. 7, che lega la struttura dei diritti sociali al momento partecipativo: «... Il puro fatto che ad un anziano o ad uno studente si diano dei quattrini per avere

accesso a una qualche prestazione sanitaria o scolastica, non significa alcun collegamento tra il bisogno di assistenza e di istruzione e le strutture all'interno delle quali si erogano le prestazioni, nè implica alcun nesso fra la collettività e i singoli. Se viene destrutturata l'istituzione del servizio pubblico “Università” e viene sostituita con la scuola privata o con un bonus, bisogna riconoscere che il diritto sociale è diventato solo un titolo per ottenere un sussidio economico e non già uno strumento di partecipazione al godimento di un bene comune, di un bene pubblico»

non può essere imposto dall’alto ma «…può soltanto regolamentare dall’interno e dal basso,

in maniera immanente».

GURVITCH, inoltre, considera il Diritto Sociale - nella sua dimensione di interdipendenza di pretese e doveri - in termini di «sistema di diritti soggettivi» in quanto «non disciplina solamente, ma attribuisce interessi, competenze, rivendicazioni, azioni giuridiche

autonome e creatrici».66

Già da questi brevi richiami, emerge tutta l'attenzione che lo studioso francese dedica alla duplice dimensione, pluralista e personalista al contempo, dei diritti sociali. Una tale visione, come notato dalla dottrina67, muove da un’idea di persona

molto più complessa rispetto al modello di individuo passivo di stampo liberal- ottocentesco. Idea che la Costituzione italiana, come altre Costituzioni europee del dopoguerra, accolgono pienamente.

Da questo punto di vista, dunque, l’emancipazione della persona umana da ogni situazione di bisogno rappresenta la finalità prima a cui lo Stato democratico deve tendere proprio in quanto democratico: essa rappresenta, cioè, il contenuto essenziale di quel patto che i Padri Costituenti hanno stipulato e che hanno voluto tramandare alle generazioni future, a cui non è possibile abdicare se non creando una ‘rottura’ costituzionale, se non rinunciando definitivamente agli stessi presupposti democratici su cui regge l’intero ordinamento giuridico.

In tale ottica, il superamento di forme previdenziali esclusivamente mutualistiche, espressioni di una solidarietà limitata infracategoriale, e il superamento altresì del modello di previdenza sociale ‘ottriata’, espressione invece di una solidarietà illimitatamente condizionata dalla discrezionalità del Legislatore, si impongono come conseguenza naturale della costruzione delle democrazie moderne.

Esse trovano il loro fondamento in Costituzioni rigide, che delineano innanzitutto un programma in parte attuato ma in parte ancora da attuare; Costituzioni che rappresentano tavole di valori sostanziali in grado oggettivamente e al contempo dinamicamente di vincolare la discrezionalità del Legislatore di ogni tempo.

66 Cfr. G. GURVITCH, op. cit., p. 71-74. Ovviamente, è sotteso a questo pensiero l’accoglimento di una visione pluralistica dell’ordine sociale e giuridico, nonché del concetto di Stato non in termini di sovrastruttura, di gruppo soprafunzionale, ma di gruppo funzionale, «in quanto comunità politica soggiacente e in

quanto organizzazione sovrapposta, dal momento che ogni organizzazione sovrapposta è per sua stessa struttura necessariamente funzionale, poiché vincolata a scopi precisi e limitati». Cfr. G. GURVITCH, op. cit., p. 108. 67 In particolare, si richiama D. BIFULCO, L’inviolabilità dei diritti sociali, Napoli 2003, pp. 121 e 123.

Prendendo le mosse da queste premesse, l'art. 38 della Costituzione, che incarna il 'modello democratico' di previdenza sociale, non può essere letto isolatamente, non può essere decontestualizzato da quel più ampio programma di liberazione e promozione umana sancito agli artt. 2 e 3, comma secondo, della stessa Costituzione. Anzi, sotto questo profilo, si può certo affermare da subito che esso si pone in un rapporto di species ad genum rispetto a tale programma, il quale costituisce, più in generale, il fondamento costituzionale dei diritti sociali.

Il principio cardine è rappresentato innanzitutto dal principio personalista; dal riconoscimento, come è noto, del primato della persona umana sullo Stato, proprio in termini di «... premessa inalienabile di Stato essenzialmente democratico».68

Ne consegue che il garantire il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica del Paese rappresenta il fine ultimo dello Stato sociale.

E' proprio in ragione del raggiungimento di tale obiettivo che, come condizione inderogabile della convivenza democratica, i Padri Costituenti hanno imposto, in capo ai pubblici poteri, il compito di impegnarsi in un’opera di continua trasformazione della società, che comporta l'assunzione del dovere di garantire, anche e soprattutto, l'eguaglianza dei cittadini nei punti di partenza.

La 'rivoluzione copernicana' attuata dal costituzionalismo moderno sta proprio in ciò: la garanzia dei diritti fondamentali – diritti sociali o libertà negative che siano – deve essere attuata non solo attraverso un atteggiamento negativo da parte dei pubblici poteri sui quali grava il dovere di astenersi da ogni interferenza nella sfera individuale, ma anche e soprattutto attraverso interventi volti a promuovere e a realizzare la liberazione dell'uomo dal bisogno, volti cioè a ridurre quelle condizioni (cause, rischi) di debolezza in cui ciascun individuo potrebbe trovarsi e che impediscono, per l'appunto, il pieno sviluppo della persona umana e la sua effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

In questa prospettiva, l'inviolabilità dei diritti sociali deriva proprio da quanto sancito agli art. 2 e 3 della Costituzione, con la conseguenza che sfuma, da un punto di vista valoriale, quella distinzione tra diritti sociali e diritti di libertà69 che

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