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Il ruolo della previdenza complementare in questa ‘partita con il futuro’.

Dalla ricostruzione, sebbene sommaria, dell’evoluzione legislativa in materia previdenziale effettuata nel capitolo III, emerge come il ‘nuovo’ modello previdenziale italiano sia caratterizzato per essere un sistema misto, multipilastro, in cui :

- il primo pilastro è costituito dalla struttura pubblica del sistema previdenziale obbligatorio che, basato sullo schema a ripartizione, punta sulla realizzazione del rapporto di solidarietà intergenerazionale;

- il secondo è costituito invece dalla previdenza complementare, collettiva retta su uno schema a capitalizzazione e su modalità di accesso riconducibili alla libertà di adesione volontaria da parte dei singoli lavoratori;

- il terzo, invece, è costituito da forme di previdenza complementare individuale che si fonda sugli stessi presupposti della previdenza complementare ‘collettiva’.

Il sistema così delineato è ben lontano dal realizzare una completa privatizzazione del sistema pensionistico pubblico. Si tratta, in realtà, di una ‘soluzione’ che

‘applicazione graduale della riforma , un risparmio sulla spesa pubblica e possibilità di estenderla gradualmente anche al settore privato Altre ipotesi sono state valutate.

Si è valutato altresì di estendere il regime previdenziale Inps ai pubblici dipendenti. Questo però, significherebbe una modifica strutturale dell’intero sistema previdenziale italiano, con l’assorbimento dell’Inpdap da parte dell’Inps.

Infine, si è esaminata la proposta di garantire ai dipendenti pubblici la possibilità di transitare gradualmente verso il pensionamento dal momento in cui diviene possibile il ritiro dal lavoro. E ciò attraverso una forma di pensionamento parziale, combinato con un lavoro a tempo parziale.

permette di diversificare i rischi endogeni e esogeni a cui è esposto nel tempo il sistema pubblico. Si tratta di una riforma che ha permesso di transitare verso un sistema pensionistico misto, capace di coniugare “…l’equità le ragioni della convenienza

economica, all’equilibrio contabile e alla solidarietà intergenerazionale il rispetto della libertà individuale nelle decisioni di risparmio durante tutto il ciclo vitale”396 e, altresì, di una riforma necessaria “per difendere i risultati dei sistemi pensionistici pubblici finora raggiunti e per evitare che la sicurezza sociale si trasformi in futuro in una forma di insicurezza sociale”397.

3.1. La dimensione costituzionale della previdenza complementare.

3.1.1. Il ‘vincolo di destinazione’ della previdenza complementare all’interesse tutelato ai sensi

dell’art. 38 II comma Cost.

Il primo problema che si pone, quando ci si trova ad analizzare la dimensione costituzionale della previdenza complementare è rappresentato dall’effettivo inquadramento della stessa all’interno dell’art. 38 Cost.

Da una parte, vi è chi398 marca la distinzione strutturale e funzionale della previdenza complementare e previdenza pubblica, basandosi essenzialmente sulla volontarietà del singolo lavoratore dell’adesione a tale forma previdenziale. Secondo questo primo orientamento, la previdenza complementare dovrebbe essere considerata quale strumento volto a dare attuazione a quanto sancito all’ultimo comma dell’art. 38 Cost. o come forma di risparmio a fini previdenziali che, ai sensi dell’art. 47 Cost deve essere favorito e incoraggiato.

Secondo questo primo orientamento,cioè, previdenza pubblica e previdenza privata svolgerebbero funzioni diversi: l’una, obbligatoria, è diretta a perseguire un interesse necessariamente pubblico, in quanto volta a garantire livelli adeguati di copertura previdenziale a fronte dei bisogni del lavoratore; l’altra, facoltativa sarebbe volta a realizzare interessi che, nell’esercizio della libertà di assistenza (V comma, art. 38 Cost.), dovrebbero mirare a tutelare un interesse privato ad una più elevata copertura previdenziale, interesse diverso ed altro rispetto a quello tutelato dall’art. 38 II comma Cost..

396

G. AMATO; M MARÈ, Il pilastro mancante, 2001, p. 23.

397

G. AMATO; M MARÈ, Il pilastro mancante, 2001, p. 23 398

Diversamente, vi è chi399offre una lettura diversa del testo costituzionale, ravvisando l’esistenza di un nesso funzionale tra previdenza pubblica e previdenza complementare, con la conseguenza che il fondamento costituzionale di tale forma di previdenza va ricercato proprio all’art. 38 II comma Cost.. Alla base di questa ricostruzione, vi è sicuramente una visione aperta e pluralistica del sistema previdenziale, in grado di percepire quella prospettiva sussidiaria che attraversa il testo costituzionale: la lettura combinata degli articoli, 2, 38 e 118 della Costituzione suggerisce come un interesse pubblico possa essere realizzato attraverso l’integrazione dell’azione degli enti pubblici, delle formazioni sociali e dei singoli individui (ovviamente secondo un diverso grado di partecipazione); suggerisce come sia possibile la costruzione di un modello di previdenza sociale in cui dimensione pubblica e dimensione privatistica non rappresentano due sfere separate contrapposte, ma integrate tra loro, per il perseguimento di un interesse che non è (solo) del singolo individuo ma necessariamente pubblico e cioè riconducibile al singolo in quanto membro della comunità sociale.

Alla luce di tale considerazioni, la previdenza complementare troverebbe la propria dimensione costituzionale nell’art. 38, II comma Cost.

Tale lettura è stata avallata, nel tempo, anche dalla Corte costituzionale. In particolare, nella sentenza n. 393 del 2000.

La questione che veniva sollevata innanzi alla Corte, riguardava l'art. 59 comma 3 l. 27 dicembre 1997 n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui stabilisce che con decorrenza dal 1° gennaio 1998, per tutti i soggetti nei cui confronti trovino applicazione le forme pensionistiche definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio con decorrenza, “il trattamento si consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti dalla disciplina generale obbligatoria di appartenenza”. Come è stato osservato400, l’intento era quello di rafforzare il nesso funzionale tra previdenza complementare rispetto alla previdenza obbligatoria.

Il giudice a quo, in tale caso, lamentava innanzitutto la violazione dell’art. 39 della Costituzione in quanto una tale disposizione andava ad alterare la disciplina e gli equilibri realizzati dall'autonomia collettiva e pregiudicava, per il futuro, la libera determinazione dell'autonomia collettiva riguardo all'aspetto fondamentale della misura e dei requisiti delle prestazioni; la violazione dell’ art.41 della Costituzione, in

399

Cfr. in particolare M. CINELLI, op. cit. 400

quanto “la partecipazione della previdenza complementare al sistema di sicurezza sociale non

sarebbe tale da giustificare la perdita dei connotati di autonomia organizzativa e gestionale che consentono la incentivazione ed espansione dei fondi, rese necessarie proprio dalla riduzione del trattamento pubblico” ed infine lamentava altresì l’irragionevole incidenza che tale

disciplina comportava su diritti già maturato.

La Corte rigettava la questione in quanto infondata. Nei diversi passaggi argomentativi della motivazione, la Corte riconosceva espressamente l’esistenza di un nesso funzionale tra le due forme previdenziali. Ed infatti, ripercorrendo le tappe dell’evoluzione normativa del sistema previdenziale complessivamente inteso la Corte confermava la scelta del Legislatore di creare “un collegamento funzionale tra

previdenza obbligatoria e previdenza complementare, collocando quest'ultima nel sistema dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione” e ciò “al fine di assicurare funzionalità ed equilibrio all'intero sistema pensionistico, in corrispondenza dell'obiettivo perseguito dal legislatore di coniugare l'entità della spesa pensionistica, da ricondurre a parametri sostenibili, con un più adeguato livello di copertura previdenziale”, (come d’altronde esplicitamente stabilito nella

Legge n. 421 del 1992 e come confermato oggi nel Decreto legislativo n. 252 del 2005).

Richiamando altresì la giurisprudenza costituzionale in materia di contributi di di solidarietà, il Giudice delle leggi aggiungeva che, pertanto, “la tutela dell'interesse

individuale dei lavoratori ad usufruire di forme di previdenza complementare non [va] disgiunta, in misura proporzionata, da un dovere specifico di cura dell'interesse pubblico a integrare le prestazioni previdenziali, altrimenti inadeguate, spettanti ai soggetti economicamente più deboli”401 .

In tale prospettiva, la disposizione censurata risulta essere conforme al dettato costituzionale in quanto diretta ad evitare scostamenti tra la disciplina dei fondi integrativi e della previdenza obbligatoria e l’incidenza negativa che una diversa

401

Cfr. in particolare Corte costi., sent. n. 421 del 1995; n. 292 del 1997; n. 178 del 2000. Tale orientamento è altresì confermato dalla sent. n. 121 del 2002. Si rinvia a F. MIANI CANEVARI,

Costituzione cit, p. 186 e ss. e a M. PERSIANI, Giurisprudenza costituzionale e diritto della previdenza sociale, in

AMBROSO, FALCUCCI (a cura di), Lavoro. La giurisprudenza costituzionale, 1998-2005, vol. XI, Saggi, 2006, p. 16 e ss..

Nella sentenza n. 393 del 2000, la Corte affermava altresì che “alla luce anche dei chiarimenti addotti dalla

giurisprudenza costituzionale, è da ritenere, dunque, che la disposizione denunciata si collochi nel delineato disegno normativo, quale coerente espressione, essa stessa, del ricordato legame funzionale. E ciò, con l'intento, per un verso, di accomunare sotto la medesima disciplina fondi integrativi e aggiuntivi, quale che sia la loro fonte istitutiva (legale o contrattuale, obbligatoria o facoltativa) ed il settore interessato (dipendenti pubblici o privati), sì da conferire omogeneità al complessivo ambito della previdenza complementare, e, per altro verso, di precisare e generalizzare, per quanto potesse occorrere, il divieto di conseguire il relativo trattamento a prescindere dalle regole vigenti per l'assicurazione generale obbligatoria…”

disciplina avrebbe avuto “sul gettito della contribuzione al sistema obbligatorio di base,

e…sull’ onere insostenibile a carico dei fondi integrativi…, tenuti a sopportare, per un più lungo periodo, l'obbligo di erogazione del trattamento di integrazione rispetto a quello dell'assicurazione generale. E ciò a tacere della ben più gravosa eventualità dell'assunzione, da parte dei medesimi, di detto onere in via definitiva, nelle ipotesi in cui a fronte di prestazioni integrative destinate ad assolvere anche una funzione sostitutiva…si fosse determinata l'impossibilità per l'iscritto di accedere, per difetto del requisito di contribuzione, al trattamento del regime obbligatorio”.

Seguendo tale impostazione , la Corte escludeva così la violazione dell’art 39 Cost. in quanto il dettato costituzionale non esclude la configurabilità, nei confronti dell’autonomia collettiva, di limiti legali, specie se, come nel caso in esame, “sussista

l'esigenza di salvaguardia di superiori interessi generali … E ciò tanto più se la cura e la regolamentazione di tali interessi costituiscano attuazione di precetti costituzionali”.

Escludeva altresì anche la violazione dell’art. 41 della Cost. in quanto “la lamentata

compressione dell'autonomia organizzativa e gestionale dei fondi null'altro sarebbe che un effetto riflesso della sostituzione della fonte eteronoma a quella di matrice collettiva”; tenuto conto, tra

l’altro che, anche l'autonomia negoziale e la libertà di iniziativa privata devono comunque cedere di fronte a interessi di ordine superiore, economici e sociali, che assumono rilevanza costituzionale.

Da questo punto di vista, dunque, manifesta tutta la sua attualità la lettura del testo costituzionale offerta da V. SIMI sul modello di sicurezza sociale retto su

‘cerchi concentrici di solidarietà’, in grado di incidere ciascuno, in modo più o meno marcato, con modalità diverse, sui livelli di adeguatezza delle prestazioni previdenziali, secondo una logica sussidiaria di attuazione delle politiche sociali e di integrazione (e non di separazione) dell’azione pubblica con quella privata.

3.1.2. Aspetti problematici.

L’impostazione avallata dalla Corte costituzionale sull’esistenza di un nesso di funzionalità tra previdenza pubblica e previdenza complementare, se da un lato è fortemente convincente, in ragione anche del concetto di ‘cittadinanza attiva’ che l’affermazione nel testo costituzionale del principio di sussidiarietà evoca (art. 2 , art. 118 Cost.), dall’altra, non ha mancato di suscitare qualche perplessità.

Infatti, guardando all’evoluzione legislativa del sistema previdenziale nel suo complesso, si possono scorgere senza dubbio alcune incoerenze rispetto a quanto da sempre avallato dalla Corte costituzionale.

Innanzitutto, il principio della libertà di adesione alla previdenza complementare sembrerebbe mal conciliarsi con questa impostazione.

Se la previdenza complementare deve essere considerata funzionale alla previdenza di base, in ragione della natura inviolabile dell’interesse che, ai sensi dell’art. 38 II comma Cost., concorre a soddisfare, essa deve essere resa obbligatoria.

In mancanza, si va incontro ad un rischio a mio giudizio pericoloso: si rischia cioè di cadere in una logica privatistica del rapporto previdenziale, snaturandolo nel suo nucleo inviolabile, compromettendo - in questo caso,sì, senza possibilità di ritorno - il fondamento dello Stato sociale; sminuendo il significato del vincolo sociale che ci ricorda il perché di ogni comunità organizzata; tradendo, infine, quella carica solidaristica (intra e intergenerazionale) su cui necessariamente è retto il sistema previdenziale sociale.

Come affermato in precedenza, concordo con chi402 considera l’assetto attuale del

sistema previdenziale ancora transitorio:il meccanismo del consenso tacito richiesto ai lavoratori ai fini della devoluzione del Tfr ai fondi pensione rappresenta una via italiana, una via di ‘quasi obbligatorietà’ alla funzionalizzazione della previdenza complementare alla previdenza pubblica che ha una sua ratio solo ora, in questo momento di decollo del ‘nuovo sistema’, e in questo momento di crisi finanziaria; ma che rischia di trasformarsi in una ‘trappola’ (e oserei dire in una misura di dubbia costituzionalità proprio alla luce dell’art. 38 II comma Cost.) del sistema stesso, in quanto alimenterebbe ancor più la distinzione tra lavoratori che scelgono di aderire a fondi pensioni e lavoratori che, specie in presenza di retribuzione bassa o di carriere discontinue, non aderiscono a tali fondi.

A tal fine, probabilmente , ha ragione chi sostiene che le forme di incentivazione alla previdenza complementare previste (sotto forma di detrazioni dell’imponibile) non sono sufficienti proprio per quei soggetti che “ già inquadrati nelle aliquote più basse

del sistema fiscale, vantano ben poco reddito da portare in detrazione” e chi, al contempo

suggerisce l’introduzione di normative di sostegno alla regolarità dei flussi contributivi, sotto forma di fiscalizzazione dei relativi oneri403.

402 Cfr. M CINELLI, Il diritto della previdenza sociale cit.; P. PASSALACQUA, La previdenza complementare nel prisma della sussidiarietà tra disegno costituzione e intervento del legislatore ordinario (d. lgs n. 252 del 2005), in

V. BALDINI (a cura di), Sussidiarietà e diritti, 2007, p. 133 e ss.; G. ZAMPINI, La previdenza

complementare nella giurisprudenza: un anuova rassegna critica tra vecchie e nuove riforme, in ADL, 2006, p. 313

e ss.; G. PROIA, Tutela previdenziale pubblica, consenso del soggetto protetto e previdenza complementare(note in

margine a un recente convegno), ADL, 2000, p. 115 e ss. 403 In particolare, G. ZAMPINI, op. cit., p. 313 e ss.

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