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La garanzie dell’ effettività dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici: la perequazione

2. Il condizionamento dell’equilibrio finanziario sul contenuto delle decisioni della Corte costituzionali.

2.2. La garanzie dell’ effettività dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici: la perequazione

automatica del trattamenti.

Dall’art. 38 della Costituzione, però, non discende solo l’obbligo di garantire al lavoratore pensionato un trattamento pensionistico adeguato, ma anche l’obbligo in capo al legislatore di predisporre dei meccanismi volti a rendere effettivo nel tempo il livello di adeguatezza del trattamento previdenziale erogato237. Finalizzati a tale

scopo è innanzitutto il meccanismo della perequazione automatica, che consente un aggiornamento della prestazione economica in rapporto alle variazioni del costo della vita . Tale meccanismo, introdotto dapprima solo per il settore privato ( ai sensi dell’art. 19 della Legge n. 153 del 1969), è stato progressivamente esteso anche a quello pubblico ( legge n. 41 del 1978).

Per esigenze di contenimento della spesa pubblica e per contenere il crescente fenomeno inflazionistico, tale disciplina ha subito nel tempo numerose modifiche238.

Lo dimostra, per esempio, l’introduzione, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 438 del 1992 del blocco temporaneo della perequazione automatica stessa.

La disciplina attualmente vigente prevede che la perequazione automatica operi in base al solo adeguamento al costo della vita, con percentuale di variazione calcolata , con cadenza annuale, sul valore medio dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati, con riduzione percentuale di variazione differente a seconda delle fasce di importo di trattamenti ( 90% per le fasce di importo dei trattamenti compresi tra 3-5 volte il trattamento minimo Inps e pari al 75% per fasce di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo).

237

G. ALIBRANDI, . M. CINELLI, C.COLAPIETRO, p 271. Cfr. anche sentenza 497 del 1988 in cui la Corte costituzionale ha affermato che “la prestazione garantita dal precetto costituzionale postula i requisiti di

effettività tanto più che essa si ricollega alla tutela dei diritti fondamentali della persona sanciti all’art. 2 Cost”.; Cfr.

anche sent. 205 del 1995.

238

Con legge n. 160 del 1975, il Legislatore ha però limitato l’operatività di tale meccanismo solo ai trattamenti minimi, introducendo per le pensione di importo superiore al minimo un nuovo meccanismo ancorato a due differenti coefficienti: uno corrispondente alla differenza tra l’aumento percentuale della retribuzione degli operai dell’industria e la percentuale di aumento del costo della vita; l’altro, calcolato come quota fissa risultante tra l’ammontare del punto unico di contingenza e il numero dei punti accertati per i lavoratori dell’industria . Tale modifica legislativa ha comportato una progressiva contrazione delle prestazioni erogate e dall’altra un incremento sensibile dei trattamenti liquidati al minimo.

Successivamente, ai sensi dell’art. 21 della Legge n. 730 del 1983, è stato prevista l’indicizzazione in percentuale calcolata sull’intero trattamento, secondo quote decrescenti rispetto ai dati indici relativi al fasce di ammontare stabilite in relazione all’importo del trattamento minimo di pensione. Come è stato osservato, tale meccanismo garantiva dall’inflazione solo le quote più basse della pensione , mentre la restante parte era destinata a perdere progressivamente il suo originario potere d’acquisto in base a circostanze aleatorie quali l’intensità dell’inflazione e la durata della pensione (Cfr. F. MIANI CANEVARI, Costituzione e protezione sociale cit., p. 29).

Il fatto che si sia scelto di ancorare la perequazione automatica all’andamento dei prezzi e non alla dinamica retributiva, potrebbe comportare la riproposizione nel tempo del problema delle pensioni di annata239 a cui si potrà porre rimedio nel

tempo solo con interventi legislativi ad hoc.

L’evoluzione legislativa dell’istituto, ispirata alla razionalizzazione del sistema pensionistico, appare non sempre lineare e ciò si riflette anche sull’attività della Corte costituzionale che si è trovata più volte a dover decidere sulla ragionevolezza o meno di disposizioni legislative che introducevano trattamenti previdenziali diversi a fronte di situazioni giuridiche comparabili.

Basti pensare alla normativa in materia di perequazione automatica dei trattamenti previdenziali del personale soggetto a contrattazione .

Dopo innumerevoli modifiche legislative240, espressione per lo più di un costante

disimpegno politico nell’introduzione di meccanismi volti ad realizzare un automatico aggancio delle pensioni alla retribuzione, la Corte costituzionale afferma la necessità di introdurre meccanismi, in grado di garantire una costante adeguamento del trattamento previdenziale alla retribuzione da lavoro.241.

Tuttavia, già all’inizio degli anni’90, la Corte costituzionale, per non provocare vuoti normativi o per non gravare ulteriormente sull’erario, da una parte, a fronte della richiesta di pronunce di additive di prestazione da parte del giudice a quo, dichiara che “l’estensione alle pensioni del meccanismo di adeguamento periodico alle retribuzioni

rappresenta un ‘attività che è estranea al sindacato di costituzionalità e viceversa propria del legislatore”242 dall’altra, incomincia ad instaurare un rapporto dialettico con il

Legislatore , attraverso diverse sentenze monito affinchè quest’ultimo intervenisse per “ripristinare la legittimità costituzionale del tessuto normativo …intervento non ulteriormente

dilazionabile” e affermando che “la questione non potrà essere più riconsiderata ove non si provveda ad armonizzare e non già a segmentare nel tempo la linea diagrammatica che segna l’andamento dei trattamenti pensionistici”243.

Sempre in questo periodo, la Corte rimette la scelta sull’attuazione di meccanismi che consentano l’adeguamento delle pensioni, – anche diversi dalla perequazione

239

Come si era presentata a metà anni ’70 , creando disparità di trattamento in conseguenza dei differenti criteri di perequazioni previsti per i diversi importi di pensione e portando all’appiattimento delle pensioni più alte.

240

Cfr. Per la ricostruzione dell’evoluzione normativa dell’istituto, M. D’ONGHIA, op.cit.,p. 183 e ss.

241

Cfr. Corte cost., sent. 173 del 1986.

242

Cfr. Corte cost. , ord. n. 92 del 1991; sent. n. 337 del 1992; sent. n. 42 del 1993.

243

automatica, – alla discrezionalità del legislatore244, il quale deve operare, come

incisivamente affermato nella sent. 226 del 1993, “un bilanciamento tra le varie esigenze,

nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilità finanziarie”.

Ancor più significativa, a tal proposito, è la sentenza n. 99 del 1995245, con cui la

Corte si pronuncia sul differimento degli aumenti del trattamento pensionistico come previsto dall’art.11 della Legge n. 537 del 1993. In tal caso, la Corte costituzionale riteneva infondata la questione, sostenendo che è necessario “ tener

conto dell’esistenza del limite delle risorse disponibili, e che in sede di manovra finanziaria di fine anno spetta al Governo e al Parlamento introdurre modifiche alla legislazione di spesa, ove ciò sia necessario a salvaguardare l’equilibrio del bilancio dello stato e a perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria” e reputando legittimo il blocco temporaneo della

perequazione automatica delle pensioni in quanto fondato “nella più complessa manovra

correttiva degli andamenti della finanza pubblica”246.

Anche con riguardo a tale istituto, pertanto, è riscontrabile un differente atteggiamento da parte della Corte a secondo dei momenti storici di espansione o recessione economica: mentre in una prima fase sembra prevalere la tendenza ad una più rigorosa commisurazione delle pensioni all’andamento delle retribuzioni, in una seconda fase, a partire già dagli anni ’90, sembra prevalere, nella giurisprudenza costituzionale, la tendenza a subordinare la scelta dei meccanismi di perequazione automatica alla disponibilità delle risorse, in linea con le politiche di contenimento della spesa per le pensioni. Significativa, in tal senso, è il percorso giurisprudenziale della Corte costituzionale in tema di perequazione automatica dei trattamenti del personale di magistratura ed equiparati.

Basti pensare, innanzitutto, alla sentenza n. 501 di 1988 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1,3, I comma e 6 della Legge n. 141 del 1985 nella parte in cui non disponevano, a favore dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari nonché dei procuratori ed

244

Cfr. Corte cost. sent. n. 119 del 1992 in cui si afferma che il Legislatore deve effettuare “ un

ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti nell’attuazione graduale di quei principio, compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa”; sent. n. 42 del 1993; sent. n. 447 del 1993 con cui la

Corte rigetta la questione sollevata ‘appellandosi’, ancora una volta all’esercizio della discrezionalità del Legislatore il quale dovrà agire “tenendo conto delle esigenze fondamentali di politica economica e delle

risorse disponibili”. 245

Consultabile in Giur. it, 1995, I, 1 p. 530 e ss. non nota di A. GIORGIS, La Corte costituzionale

riserva al legislatore la tutela dei diritti che costano?. 246

avvocati dello Stato collocati a riposo anteriormente al 1à luglio 1983, in luogo degli aumenti previsti, la riliquidazione della pensione sulla base del trattamento economico derivante dall’applicazione degli artt. 3, 4, della legge n. 425 del 1984 con decorrenza dal 1° gennaio 1988. La Corte costituzionale ha constatato che tale legge “stabiliva rivalutazioni percentuali di pensione pregresse del tutto estranee ai criteri adottati per la

strutturazione dei nuovi trattamenti retributivi con conseguente vulvus degli artt. 3, 36 Cost.”.

Esaurita nel dicembre 1987, la funzione perequativa di tale Legge e non essendo stato previsto per il futuro alcun ulteriore adeguamento per le pensione dei magistrati ed equiparati, la Corte ha ravvisato la necessità di integrare il contenuto normativo di tale legge “limitatamente alla perequazione delle pensioni del personale di magistratura andato a riposo prima del 1983, con limitata decorrenza dal 1° gennaio 1988”.

Come è stato rilevato247, tale sentenza appare sotto il profilo processuale al quanto interessante: essa dichiara l’illegittimità sopravvenuta delle disposizioni impugnate e, al contempo, presenta un contenuto additivo.

Probabilmente, essa appariva allora il giusto ‘compromesso’ tra diverse esigenze da bilanciare: da una parte, la necessità di garantire l’adeguamento dei trattamenti pensionistici, dall’altra, l’esigenza di contenere gli oneri finanziari che da essa sarebbero scaturite. Aderendo al principio di gradualità nell’attuazione delle disposizioni costituzionali, infatti, la Corte ha evitato di dichiarare l’illegittimità costituzionale di leggi succedutosi in un decennio e ha fissato un limite temporale, ritenendo che dal 1° gennaio 1988, lo scostamento tra pensioni e stipendio dei magistrati fosse eccessivo a tal punto da non rendere più tollerabile una situazione che già non era conforme da tempo ai precetti costituzionali.

Nonostante ciò, tale sentenza ha sollevato diverse polemiche, proprio in relazione all’impatto di tale decisione sullo stato della finanza pubblica. Si era stimato, allora, un aggravio per le casse dello Stato di almeno 250-300 miliardi di vecchie lire (che sarebbero aumentati se lo stesso trattamento fosse stato esteso al personale del

247

Per una riflessione più accurata di tale decisione si rinvia a P. CARNEVALE, La pronuncia di

incostituzionalità “ad effetto parzialmente retroattivo” del regime della perequazione automatica per le pensioni dei magistrati: ancora una declaratoria di illegittimità costituzionale con efficacia “temporalmente circoscritta” in Giur. It, 1989, I, 1, p. 761 e ss.; S.BARTOLE, Ancora sulla delimitazione degli effetti temporali di decisioni di

accoglimento (in materia di pensioni di magistrati) in Giur. Cost., 1988, p. 2361 e ss.; G. D’ANTINO SETTEVENDEMMIE, Prodomi ed effetti in ordine alle pensione dei magistrati in Foro Amm., 1991, p. 653 e

ss.; C. COLAPIETRO, la giurisprudenza costituzionale nella crisi dello stato sociale già cit., p. 278 e ss.; M.

settore pubblico.)248

La Corte, probabilmente preoccupata di non aggravare ulteriormente la situazione finanziaria dell’erario ha successivamente modificato il suo orientamento. Con l’ord. n. 95 del 1991, infatti, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale in merito all’art. 2 della legge 19 febbraio 1981 con cui il giudice rimettente chiedeva una pronuncia additiva volta ad innestare nella normativa pensionistica un meccanismo di adeguamento periodico concepito per il personale in servizio; attività che, secondo la Corte, “ per la varietà delle scelte possibili e

la molteplicità delle implicazioni” era “certamente estranea al sindacato di costituzionalità e viceversa propria del legislatore”. Costretta a decidere nuovamente sulla stessa tematica,

la Corte cost., nella sent. n. 42 del 1993249, con cui ha dichiarato l’inammissibilità della questione, ha sottolineato che “il legislatore, nell’escludere dalla riliquidazione delle

pensioni l’applicabilità del meccanismo dia adeguamento, ha esercitato una discrezionalità sua propria volendo limitare gli effetti dello stesso all’ambito esclusivo del trattamento stipendiale per il quale era stato concepito. Esula dai limiti del controllo di legittimità costituzionale l’operazione additiva richiesta …e consistente in una mera trasposizione dell’istituto nel settore pensionistico”.

Tuttavia, ha accompagnato il dispositivo con una valutazione o con un ‘monito ultimativo’250, in merito alla ‘costituzionalità provvisoria’ di tale scelta legislativa, prevedendo che nel medio periodo tale scelta non sarebbe apparsa più ragionevole e in tal caso, la mancata previsione di qualsiasi meccanismo di raccordo tra variazione retributiva e computo delle pensioni avrebbe potuto determinare l’esigenza di un riesame della questione di legittimità costituzionale, alla luce delle motivazione svolte nella sentenza n. 501 del 1988.

Lo stesso atteggiamento è stato mantenuto dalla corte cost. con la sent. n. 409 del 1995 con cui nuovamente la Corte affermava che “spetta al legislatore ragionevolmente

soddisfare nel tempo detta esigenza, escludendo, peraltro, che questo comporti, inderogabilmente, un costante e periodico allineamento delle pensioni al corrispondente trattamento di attività di servizio”

aggiungendo, con la solita ‘formula’ della costituzionalità provvisoria che “il problema

può porsi solo per l’avvenire nel caso di variazioni significative della proporzionalità, nel più ampio

248

Così, M. D’ONGHIA, op. cit., p. 198).

249

così come nelle precedenti decisioni n. 265 del 1991 e 125 del 1992.

250

Per una riflessione sulla tecnica di decisione, R. PINARDI, Discrezionalità legislativa ed efficacia

temporale delle dichiarazioni di incostituzionalità: la sent. 125 del 1992 come decisione di incostituzionalità accertata ma non dichiarata, in Giur, cost, 1992, p. 1083 e ss.; A. ANZON, Questioni sulla misura dei

trattamenti pensionistici e varietà di tecniche di decisione, in Giur. Cost., 1993, p. 310 e ss.; C. COLAPIETRO,

contesto della generale politica economica e avuto riguardo soprattutto delle risorse disponibili”.

Ancor oggi, questo sembra essere l’orientamento prevalente. Ci si vuole riferire, per esempio, all’ordinanza n. 531 del 2002 con cui la Corte riconosce la manifesta infondatezza, in riferimento agli art. 3, 36 e 38 cost., della questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 2, comma 1, l. 8 agosto 1991 n. 265, nella parte in cui, escludendo espressamente l'applicabilità del meccanismo di adeguamento stipendiale di cui all'art. 2 L. 19 febbraio 1981 n. 27 ai trattamenti pensionistici dei magistrati, non consentirebbe il costante allineamento delle pensioni al trattamento dell'attività di servizio. Ancora una volta, la Corte costituzionale afferma che spetta “alla discrezionalità del legislatore determinarne le

modalità di attuazione [di tale adeguamento], nel bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili”

Od infine, alla ordinanza n. 202 del 2006, con cui la Corte costituzionale , dopo aver affermato che “tale determinazione deve conseguire al bilanciamento del complesso dei

valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa” aggiunge, da una parte, che “lo scostamento tra trattamenti pensionistici maturati in tempi diversi è giustificato dal diverso trattamento economico di cui i lavoratori hanno goduto durante il rapporto di servizio e che era vigente nei diversi momenti in cui i relativi trattamenti pensionistici sono maturati” dando così

rilevanza, nell’attuazione graduale dei precetti costituzionali, anche al ‘fattore tempo’; dall’altra, che la scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore deve essere tale da assicurare la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona .

Volendo trarre le fila di tale analisi, si può certamente affermare che anche in tema di perequazione automatica la Corte segue ‘lo schema’ tracciato costantemente nel tempo per arrivare poi, a prendere le distanze da quelle motivazioni stereotipate tipiche degli anni’90 e a cercare dei limiti alla discrezionalità del legislatore.

Paradigmatica, in tal senso, è la sentenza di rigetto n. 30 del 2004, in tema di perequazione automatica dei trattamenti pensionistici nel settore del pubblico impiego. La Corte costituzionale, infatti:

- in primo luogo, fissa il principio secondo cui “l’azione di integrazione anche

economica tramite interventi a carico della finanza pubblica appare tanto più necessaria in presenza di un significativo allungamento della vita dei cittadini, e del conseguente prolungamento del periodo nel quale è anzitutto il trattamento pensionistico ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa al pensionato e ai suoi familiari”. A tal fine ritiene importante che siano individuate le

rapporto ai mutamenti del potere di acquisto;

- in secondo luogo, si ‘rimette’ alla discrezionalità del legislatore 251che, in assenza

di un principio costituzionale che assicuri l’adeguamento costante delle pensioni al successivo trattamento economico dell’attività di servizio corrispondente, dovrà introdurre un meccanismo in grado di garantire tale adeguamento, “sulla base di un

“ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti,… compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa”;

-infine, individua il limite alla discrezionalità ragionevole del Legislatore: la scelta operata dal legislatore è ragionevole nella misura in cui assicura comunque “le esigenze

minime di protezione della persona” ed altresì sottolinea, lanciando un monito

251 Come costantemente fatto anche nelle decisioni dell’ultimo decennio. Tra tante si vedano, Corte cost.: ord. 254 del 2001 con cui la Corte dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in merito all’art. 1 comma 2 l. 2 ottobre 1997 n. 334, nella parte in cui, riconoscendo l'indennità di posizione in favore dei generali di divisione e di corpo d'armata e gradi corrispondenti delle Forze armate, prevede che la stessa non produca effetti ai fini della determinazione dell'indennità ausiliaria. Secondo quanto affermato dalla Corte, da un lato, l'indennità di posizione e l'indennità ausiliaria hanno finalità diverse, onde non è irragionevole una differente disciplina normativa;dall'altro, la lamentata disparità - non avendo carattere macroscopico ed irragionevole - non esula dall'ambito della discrezionalità legislativa in tema di meccanismi di perequazione; ord. 256 del 2001 con cui viene dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 59, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, nella parte in cui, per l'anno 1998, esclude dalla perequazione automatica i trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo Inps, considerato che “rientra infatti nella discrezionalità del legislatore stabilire la

misura e le variazioni dei trattamenti di quiescenza, bilanciando l'interesse dei beneficiari con le esigenze finanziarie dello Stato”; ord. 439 del 2001 con cui ha dichiarato la manifesta infondatezza, in riferimento agli art.

97 e 3 cost., della questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 46 d.lg. 12 maggio 1995 n. 198, che esclude i sottufficiali dell'Arma dei carabinieri non più in servizio alla data dell'1 settembre 1995 dal beneficio dell'inquadramento nel ruolo degli ispettori, “in quanto non è manifestamente

irragionevole nè palesemente arbitrario - stante la discrezionalità legislativa in materia - che il beneficio in questione sia collegato alla persistenza in servizio dei destinatari ad una certa data, non necessariamente retroattiva, tenendo altresì conto dell'interesse dell'amministrazione per il suo buon andamento e dei limiti di ordine finanziario”; ord. n.

241 del 2002 con cui la Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 36 comma 1 e 97 cost., in merito all'art. 8 comma 5 l. reg. Lazio 12 settembre 1994 n. 39, il quale avrebbe mantenuto (o non eliminato) le sperequazioni normative e retributive esistenti tra il personale dipendente della Regione, in danno in particolare degli ex dipendenti dell'Idisu (Istituto per il diritto allo studio universitario). La Corte ha infatti, ribadito che, ferma la discrezionalità spettante al legislatore nella scelta dei meccanismi di perequazione, semprechè sia fatta salva la adeguatezza dei mezzi volti ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa dei lavoratori, non può ritenersi irragionevole o palesemente arbitraria la scelta di graduare nel tempo la concessione e la retroattività di benefici economico - retributivi e, anzi, proprio la richiesta estensione della retroattività degli effetti economici determinerebbe una situazione incostituzionale, di sfondamento notevolissimo della copertura finanziaria, non rimediabile con i normali assestamenti di bilancio.

‘affievolito’, rispetto alle decisioni degli anni ‘90, come il verificarsi di irragionevoli scostamenti dell’entità delle pensioni rispetto alle effettive variazioni del potere d’acquisto della moneta, sarebbe indicativo della inidoneità del meccanismo in concreto prescelto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa, nel rispetto dei principi e dei diritti sanciti dagli artt.36 e 38 della Costituzione252.

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