• Non ci sono risultati.

Il quadro normativo fino agli anni ’90.

La prima fase, che va dall’immediato dopo guerra fino agli anni ’80 del secolo scorso, è caratterizzata da una forte espansione del sistema previdenziale.

Infatti, in tale periodo, la politica pensionistica è stata condotta , come osservato da una parte della dottrina193, sulla base di tre direttrici tese a :

- garantire una graduale estensione della copertura previdenziale a tutte le categorie di lavoratori, compresi i lavoratori autonomi194;

- creare una rete di protezione di base attraverso l’introduzione dell’istituto

193

Cfr. M. FERRARA, Le politiche sociali, Bologna, 2001.

194

Cfr. Legge n. 1047 del 1957 che ha esteso la copertura previdenziale ai lavoratori autonomi agricoli (coltivatori diretti, mezzadri e coloni); legge n. 463 del 1959 (che ha esteso la copertura previdenziale agli artigiani); legge n. 613 del 1966 (che ha esteso la copertura previdenziale ai commercianti)

dell’integrazione al minimo per le prestazioni previdenziali di importo inferiore ad una soglia prestabilita ex lege (Legge n. 218 del 1952) a cui ha fatto seguito l’introduzione della disciplina della pensione sociale, come strumento assistenziale (legge n. 153 del 1969);

- aumentare l’importo delle prestazioni previdenziali e rendere meno rigorose le condizioni di accesso ai diversi regimi previdenziali.

Con riguardo specifico alle condizioni di erogazione della pensione di vecchiaia, istituita, come noto, obbligatoriamente nel 1919, i requisiti di erogazione erano il raggiungimento di una determinata età anagrafica (55 anni per le donne, 60 per gli uomini) e di anzianità contributiva (15 anni). La pensione era calcolata con metodo contributivo, metodo che coesisteva con il sistema di gestione a capitalizzazione (e cioè, il lavoratore godeva di un trattamento pensionistico finanziato solo con i propri contributi).

Il primo intervento legislativo in materia pensionistica che va ad alterare la fisionomia di tale istituto è rappresentato dalla creazione, con D.lgs. lgt. n. 177 del 1945, di un fondo d’integrazione per le assicurazioni sociali, finanziato tramite contributi aggiuntivi sulle retribuzioni, con lo scopo di garantire livelli di adeguatezza delle pensioni più basse. Si trattava di un fondo retto sul sistema a ripartizione e introdotto per fronteggiare l’alto livello inflazionistico creatosi in conseguenza del II conflitto mondiale e, dunque, a garanzia del livello di adeguatezza dei singoli trattamenti previdenziali.

Tuttavia, solo nel 1969, il sistema previdenziale ha subito una sostanziale riforma. Infatti, secondo una parte della dottrina195, la fisionomia del sistema pensionistico

italiano (caratterizzato in particolar modo da requisiti legati alla corrispettività tra le prestazioni), sembrava rispecchiare l’assetto mutualistico-assicurativo passato. Un tale sistema non appariva in armonia con i principi sanciti a livello costituzionale (art, 2, 3, e 38 Cost.) sulle politiche di sicurezza sociale: come si è già avuto modo di osservare, dal dettato costituzionale emergeva la dimensione prettamente pubblicistica dell’istituto pensionistico, in quanto strumento di solidarietà sociale, finalizzato a garantire la liberazione dell’uomo dal bisogno.

Così, con legge n. 153 del 1969, il Legislatore, con l’intento di incrementare il livello delle prestazioni previdenziali, introduceva il diverso sistema di calcolo delle pensioni di tipo retributivo, in ragione del quale il quantum del trattamento

195

pensionistico veniva determinato sulla base delle retribuzioni degli ultimi cinque anni di attività lavorativa. Introduceva altresì un diverso sistema di gestione: si passava dal sistema a capitalizzazione a quello a ripartizione, schema questo che andava a realizzare una solidarietà tra le diverse generazioni.

Il risultato ottenuto con questa prima riforma strutturale del sistema, fu altamente vantaggioso per i lavoratori, favoriti, per di più da un contesto economico e demografico positivo: da una parte, il boom economico che l’Italia stava attraversando creava le garanzie per il rapido accesso nel mercato del lavoro da parte di giovani lavoratori; dall’altra, l’andamento demografico di allora garantiva la sostenibilità nel tempo di un sistema pensionistico a ripartizione, ritenuto, in quelle condizioni, più equo socialmente e più solido finanziariamente.

Tutto ciò creava i presupposti per un sistema fortemente garantista. Sempre negli anni ’60, venne introdotta la pensione di anzianità, ‘un’anomalia’ tipica del sistema italiano, in quanto erogata sulla base del raggiungimento dell’anzianità contributiva (35 anni), prescindendo dall’età anagrafica, che ha continuato a sovrapporsi all’istituto della pensione di vecchiaia e di cui, negli anni’70 e ’80, molti lavoratori196

hanno potuto godere (maturando, in ragione del loro rapido inserimento nella realtà lavorativa, prima l’anzianità contributiva richiesta per accedere a tale trattamento previdenziale).

Tutto ciò comportò la creazione di un sistema previdenziale “costoso, estremamente

frammentato lungo le linee occupazionali con molti schemi differenti per le varie categorie”197, in un

contesto sociale, economico e politico che stava velocemente mutando.

La convivenza nel sistema previdenziale della pensione di anzianità e di vecchiaia, il più frequente accesso alla pensione di anzianità, la commistione tra previdenza e assistenza, l’abuso di pensioni di invalidità riconosciute come cumulabili con altri redditi, in un contesto in cui il trend demografico incominciava a non essere poi così favorevole e il livello dell’inflazione continuava a crescere, sono fattori che contribuirono a causare la crisi degli enti previdenziali: “diminuivano i contribuenti,

mentre aumentavano i pensionati e per di più con ricche pensioni retributive da erogare per un periodo più lungo”198.

196

Tenuto conto che, specie per il pubblico impiego erano previsti requisiti ancor più bassi, tanto d originare il fenomeno delle baby pensioni. Tale prestazione previdenziale era erogata sulla base del raggiungimento di un’anzianità contributiva pari a 20 anni.

197

Così M. FERRARA, op. cit.,p.78.

198

Cfr. G. CIOCCA, Il sistema pensionistico nell’evoluzione del welfare, in P.OLIVELLI (a cura di), A

Tutto ciò favorì il diffondersi, tra l’altro, di logiche assistenzialistiche; dissolvendosi così “…la capacità creativa che aveva fatto sorgere l’Italia nel dopoguerra e che

aveva motivato le iniziative solidaristiche del passato: i cittadini si stavano trasformando in assistiti e lo Stato sociale in Stato assistenziale”199.

Per tali motivi , già negli anni ’80, le riforme previdenziali incominciarono ad essere oggetto di un acceso dibattito politico: si trattava di individuare interventi volti a ristabilire, in un momento di crisi di cui si stavano già avvertendo i primi segnali200, la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico italiano.

A causa anche dell’elevata frammentazione del sistema partitico italiano e a causa dell’instaurarsi di governi deboli, in tale decennio, si creò una situazione di stallo decisionale, non approdando così ad alcuna riforma strutturale del sistema previdenziale201. Anzi, venne approvata la legge n. 233 del 1990, probabilmente

l’ultimo provvedimento in senso espansivo del sistema previdenziale con cui si estendeva il metodo retributivo per il calcolo delle pensioni anche al settore dei lavoratori autonomi, senza però provvedere a modificare il prelievo contributivo che continuava ad essere inferiore rispetto a quello previsto per i lavoratori dipendenti.

Tuttavia, in tale periodo si arrivò a percepire la necessità e l’urgenza di riforme previdenziali: si trattava di razionalizzare il sistema pensionistico pubblico e di attuare , attraverso l’avvio della previdenza complementare, una diversificazione dei rischi che, nel medio-lungo periodo, avrebbero compromesso l’equità e la solidarietà intergenerazionale posta a fondamento del sistema di sicurezza sociale.

anticipato anche dal fatto che incominciavano a crearsi i presupposti per poter godere delle prime forme di previdenza aggiuntiva, integrativa a base aziendale o professionale . Inoltre, l’indennità di anzianità calcolata, prima della modifica intervenuta con legge n. 297 del 1982, moltiplicando l’ultima retribuzione per gli anni di servizio, ai sensi dell’art. 2120 cc garantiva “una ricca liquidazione”.

199

Cfr. G. CIOCCA, op. cit. p. 270.

200

Come ricorda M. FERRARA, op. cit., p. 81 e ss. le cause di tale crisi sono svariate: la debole crescita economica; un trend demografico poco favorevole; un aumento della spesa pubblica non bilanciato da un equivalente aumento delle entrate; la frammentazione normativa del sistema pensionistico; l’elevato livello delle prestazioni a fronte di requisiti contributivi troppo poco stringenti in una prospettiva comparata; l’assoluta inconsistenza dei pilastri complementari a capitalizzazione.

201

Con esclusione della approvazione della Legge n. 222 del 1984 al fine di porre un freno all’erogazioni delle pensioni di invalidità e della Legge n. 88 del 1989 che mirava a separare la previdenza dall’assistenza , riformando la struttura interna dell’Inps.

Outline

Documenti correlati