Con l’aggravarsi delle condizioni finanziarie del Paese202, diventava sempre più
pressante la necessità di introdotte riforme tese ad una netta razionalizzazione del sistema pensionistico.
Due esigenze ispiravano le riforme degli anni ‘90: da una parte, la necessità di razionalizzare il sistema previdenziale pubblico, al fine di garantire il contenimento della spesa pensionistica e l’armonizzazione normativa tra i diversi regimi pensionistici; dall’altra, la necessità di diversificare i rischi endogeni ed esogeni a cui il sistema previdenziale pubblico era soggetto, puntando alla realizzazione di un modello previdenziale, non più monopilastro, ma a più pilastri, dando avvio alla previdenza complementare basata su schemi a capitalizzazione.
Tali obiettivi, fissati nella Legge delega n.421/92 (Riforma Amato), sono stati raggiunti attraverso l’emanazione dei due decreti attuativi: il D. Lgsl. n. 503 del 1992, e il D. Lgsl. n. 124 del 93.
Con il D.lgsl. n. 503 del 1992., il Governo andava a introdurre alcune importanti modifiche al sistema previdenziale pubblico, che pur manteneva l’impianto originale. Esso continuava, cioè, a essere retto sulla base della ripartizione dei costi e benefici tra generazioni diverse, mentre i trattamenti pensionistici continuavano ad essere calcolate con sistema retributivo.
L’obiettivo del contenimento della spesa pensionistica e’ stato realizzato, viceversa, attraverso, innanzitutto, l’introduzione di un diverso calcolo delle pensioni. Quest’ultime, infatti, erano (e sono) calcolate prendendo, a riferimento, non più gli ultimi cinque anni di retribuzione bensì gli ultimi 10 anni, per tutti i lavoratori con almeno 15 anni di retribuzione mentre, per i lavoratori neo-assunti , si guardava all’intera vita lavorativa.
In secondo luogo, si prevedeva un innalzamento graduale di cinque anni (1 anno ogni 18 mesi) dell’età pensionabile, giunto a compimento nel 2000: l’età pensionabile per gli uomini fissato originariamente a 60 anni veniva innalzato a 65, mentre l’età pensionabile per le donne , da 55 anni veniva fissata a 60 anni.
In terzo luogo, il meccanismo d’indicizzazione delle pensioni all’aumento della retribuzione veniva sostituito con il meccanismo di indicizzazione delle stesse al tasso di inflazione e ciò con efficacia retroattiva e dunque applicabile anche alle
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L’Italia raggiungeva nel 1991 un deficit del 10,5 %, e un debito 108,4 % del PIL, mentre la spesa pubblica pensionistica arrivava, nel 1992 al 12,8 % del PIL.
pensioni percepite dai lavoratori già collocati a riposo, al fine di realizzare, così, nel breve periodo, un risparmio sulla spesa pensionistica.
In quarto luogo, venivano inaspriti i requisiti di accesso alle pensioni di anzianità, erogabile, con il sistema delle ‘finestre’ solo ai lavoratori che avessero raggiunto un’età anagrafica di 57 anni con 35 anni di anzianità contributiva. Inoltre, il Governo intendeva rendere più omogenea la disciplina della pensione di anzianità dei diversi regimi, compreso il regime del pubblico impiego.
Per quanto riguarda, infine, la pensione di vecchiaia, il periodo contributivo minimo per accedervi veniva portato da 15 a 20 anni, tanto per i lavoratori dipendenti,quanto per i lavoratori autonomi..
Con il decreto legislativo n 124 del 1993 (oggi integralmente sostituito con il Decreto legislativo 252 del 2005) , il Governo introduceva una prima disciplina della previdenza complementare a capitalizzazione, nell’intento di dare avvio alla previdenza complementare, tenuto conto del fatto che, già da tempo, a fronte dei primi segnali di crisi del sistema pensionistico, si incominciavano a diffondere, in condizioni di ‘anomia’ e in assenza di una disciplina organica, forme di previdenza integrativa, a livello per lo più aziendale a cui avevano accesso, di fatto, i lavoratori quali dirigenti e funzionari che presentassero una più elevata capacità di guadagno. Si introduceva così una prima disciplina dei fondi chiusi o altrimenti detti negoziali e dei fondi aperti, il cui accesso veniva subordinato al godimento, da parte del lavoratore iscritto, di prestazioni previdenziali erogate dal sistema previdenziale obbligatorio.
Altra novità che si andava ad introdurre, riguardava la possibilità di devolvere il trattamento di fine rapporto, integralmente o in quota al fondo pensione (art. 8): da una parte ciò permetteva di godere di una pensione in grado di compensare le restrizioni di quella pubblica; dall’altra,però, si attuava una prima naturalizzazione del trattamento di fine rapporto. Nonostante anche le anche le agevolazioni fiscali introdotte nel tempo (Legge n. 47 del 2000), solo oggi si assiste all’avvio della previdenza complementare.
Come è stato notato203, con il decreto legislativo n. 124 del 1993, la previdenza complementare incominciava ad assumere un ruolo di supplenza rispetto alla previdenza pubblica, con un grande cambiamento rispetto al passato. Infatti, in precedenza, i fondi pensione rappresentavano una forma di valorizzazione
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dell’esperienza di aggregazione fra lavoratori, della solidarietà collettiva tra gli stessi ed espressione della più ampia libertà di iniziativa del singolo.
Viceversa, la disciplina introdotta con tale Decreto (in particolare, sulla gestione del fondo, sul controllo del medesimo demandato alla Commissione di vigilanza), ha fatto sorgere, come si vedrò, dubbi circa il fondamento costituzionale della previdenza complementare che non si presenta più come forma di risparmio ai fini previdenziali da incentivare e tutelare ai sensi dell’art. 47 Cost. e art. 38 V comma, ma incomincia ad essere incardinata nello schema previdenziale pubblico e dunque a partecipare alla stessa funzione che ai sensi dell’art. 38 II comma la Costituzione riconosce alla previdenza pubblica.
L’opera di razionalizzazione del sistema pensionistico avviata nel 1992 è stata completata con la riforma Dini del 1995 introdotta con Legge n. 335 del 1995. Si tratta di una riforma sicuramente più strutturata e innovativa, anche per il metodo attraverso cui si giunti alla sua definizione.
Dini, infatti, ha fatto precedere all’emanazione di tale decreto, una fase di concertazione con le parti sociali e i sindacati rappresentativi dei lavoratori, dando seguito, in fase di emanazione, alle richieste da loro avanzate. Tanto che, in data 8 maggio 1995, veniva siglato un accordo formale tra sindacati dei lavoratori e Governo che, in riferimento alle riforme del sistema pubblico, muoveva verso tre direzioni: l’introduzione di un diverso metodo di calcolo delle prestazioni; l’introduzione di un diverso regime per la pensione di anzianità ed infine misure volte a favorire la gestione separata dell’assistenza dalla previdenza sociale.
Ed infatti, il primo cambiamento introdotto dalla Legge n. 335 dl 1995 è rappresentato dal passaggio del calcolo delle pensioni dal sistema retributivo a quello contributivo sia per le pensioni dei dipendenti pubblici e privati, sia per i lavoratori autonomi, operando cosi una prima effettiva armonizzazione tra la disciplina dei diversi regimi.
Con tale sistema, cioè, i contributi pagati dai singoli lavoratori sono ‘virtualmente’ accumulati in un conto individuale. Essi vengono poi rivalutati secondo la crescita media del PIL degli ultimi 5 anni e successivamente moltiplicati per un coefficiente di trasformazione che varia secondo l’ età anagrafica del pensionato, tale da conseguire il massimo rendimento al raggiungimento della massima età pensionabile (65 anni ).
La Legge Dini, poi, prevedeva l’obbligo di rivedere i coefficienti di trasformazione ogni 10 anni, al fine di consentire l’adeguamento di tale montante ai cambiamenti economici e demografici nel frattempo intervenuti.
L’altro principio che sembra aver ispirato la riforma Dini è quello della gradualità. Al fine di tutelare i diritti acquisiti o le posizioni giuridiche in itinere, veniva previsto che:
- per i lavoratori che avessero maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni, la pensione veniva calcolata con il sistema retributivo,secondo quanto previsto dalla precedente riforma;
- per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a 18 anni, la pensione veniva calcolata con sistema misto : per le somme maturate prima del 1995, si applicava il sistema retributivo, mentre per quelle maturate successivamente il sistema contributivo;
- infine per i neoassunti dopo il 1996, si sarebbe applicato unicamente il sistema contributivo.
Un’altra novità introdotta, riguardava l’età pensionabile: si abbandonava la diversificazione per generi, prevedendo un'unica età pensionabile flessibile (dai 57 ai 65 anni di età uguale tanto per gli uomini, quanto per le donne).
L’altro cambiamento è rappresentato dall’unificazione di tutti i tipi di pensione ( di vecchiaia, di anzianità e di vecchiaia anticipata), in un unico trattamento previdenziale.
La pensione di anzianità veniva assorbita nella pensione di vecchiaia calcolata su base contributiva, mentre rimaneva autonomamente disciplinata in via transitoria attraverso la previsione di quattro ‘finestre’ d’uscita, prevedendo però che, il trattamento previdenziale potesse essere erogato al lavoratore dopo 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica.
La riforma Dini, ha garantito così una effettiva razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico, attraverso la previsione di meccanismi volti a ridurre l’iniquità intra e inter-generazionale e una disciplina che tendenva a contenere la frammentazione normativa dei diversi regimi previdenziali.
Con le modifiche successive,specie con la riforma Prodi, introdotta con la Legge n. 449 del 1997, vennero introdotte ulteriori misure di razionalizzazione del sistema previdenziale del settore pubblico ( con riguardo in special modo all’istituto della pensione di anzianitò); i contributi posti a carico dei lavoratori autonomi sono stati elevati; ed è state sostese le forme di indicizzazione delle pensioni più elevate.
Viceversa, per quanto riguarda la previdenza complementare, non si sono registrati cambiamenti significativi rispetto alla riforma Amato del 1992 se non sotto il profilo dell’utilizzo del trattamento di fine rapporto ai fini previdenziali e delle agevolazioni fiscali per l’accesso alla previdenza complementare previste con decreto legislativo n. 47 del 2000.