4. Equilibrio finanziario e tecniche decisorie della Corte costituzionale Un breve excursus Le ragioni sottese a far prevalere la salvaguardia dell’equilibrio finanziario
4.1. Le sentenze che costano: aspetti problematici del rapporto tra sindacato di legittimità e art.
81 quarto comma Cost.
Nella prima fase della sua attività, la Corte costituzionale ha assecondato la logica espansiva dello Stato sociale: attraverso sentenze di accoglimento ‘secco’ o attraverso sentenze additive286, infatti, ha cercato di estendere via via le garanzie
283
Cosi.F. MODUGNO, Ancora sui controversi rapporti tra Corte costituzionale e potere legislativo, in Giur.
Cost, 1988, p. 18. Cfr. anche R. PINARDI, L’horror vacui nel giudizio sulle leggi, Milano, 2007; R. PINARDI, La Corte, i giudici ed il Legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità, Milano 1993.
284
L’espressione è di R. PINARDI, L’Horror vacui cit., p. 16 .
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Cfr. In tal senso, N. OCCHIOCUPO, op. cit..; F. MODUGNO op.cit.; R. PINARDI, op. cit..
286
Il dibattito in merito all’ammissibilità delle decisioni additive, in generale, creative di diritto, è stato piuttosto acceso. Da una parte, si è sviluppato l’orientamento dottrinale che avalla l’utilizzo di tale strumento decisorio da parte della Corte costituzionale, in quanto essa svolge un ruolo politico,
previdenziali ad una cerchie di lavoratori sempre più ampie, manifestando favore verso un livellamento dell’eguaglianza ‘verso l’alto’ e interpretando in modo
in senso ampio, di mediatrice dei conflitti sociali. Secondo questo orientamento, infatti, la Corte costituzionale si trova a svolgere “un ruolo di legislatore positivo parallelo e complementare a quello del
Parlamento”. In tal senso, può avvalersi per il raggiungimento dei suoi scopi, di strumenti duttili,
attraverso cui può essere manipolato il dato normativo al fine di evitare vuoti normativi. (Cfr. F. MODUGNO, Ancora su controversie cit., 1988. Sul ruolo politico della Corte, si rinvia a N. OCCHIOCUPO, op. già cit.).
Lo stesso V. CRISAFULLI sottolineava come le sentenze manipolative autoapplicative, sono nate dall’esigenza di colmare le lacune normative presenti nell’ordinamento giuridico. Tuttavia, è proprio questo Autore che ricorda come la norma espressa nella pronuncia additiva non è creata dal nulla, ma è esplicazione di principi , di norme già presenti nell’ordinamento costituzionale: secondo la sua celebre definizione, si tratta di creazione a “rime obbligate”, con la conseguenza che la Corte costituzionale pronuncia una sentenza additiva nei casi di scelta obbligata, mentre, dovrebbe arrestarsi di fronte ad una decisione che invade la sfera discrezionale del Legislatore. (Cfr. V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale ha vent’anni in N. OCCHIOCUPO (a cura di) op. cit.; Lezioni di diritto
costituzionale, II, Padova, 1984 p. 402 e ss., il quale dopo aver spiegato che le sentenze additive
dichiarano l’illegittimità costituzionale della omessa previsione di qualche cosa che avrebbe dovuto essere prevista dalla legge, ribadisce che : “ La Corte non crea essa, liberamente ( come farebbe il legislatore)
la norma, ma si limita a individuare quella – già implicata nel sistema, e magari addirittura ricavabile dalle stesse disposizioni costituzionali … - mediante la quale riempire immediatamente la lacuna che altrimenti resterebbe aperta nella disciplina della materia, così conferendo alla pronuncia adottata capacità autoapplicativa. Una legislazione, se proprio così vuol dirsi (ma descrittivamente) ‘a rime obbligate’, che… per ciò solo, vera legislazione non è” (p.
408).
Similmente, C. MORTATI (Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro comportamenti omissivi del
Legislatore, in Raccolta di scritti, III: problemi di diritto pubblico nell’attuale esperienza costituzionale repubblicana,
Milano, 1972, p. 928 e ss.) il quale distingueva tra omissioni legislative assolute (quando in presenza di un precetto costituzionale si riscontra la totale assenza di norme ordinarie indispensabili alla sua attuazione) e omissioni relative (quando la Costituzionale è attuata solo parzialmente, con conseguente lesione del principio di uguaglianza). Secondo l’Autore, la Corte Costituzionale nell’azione di adeguamento dell’ordinamento alla Costituzione, ha così non solo il diritto ma anche il dovere di intervenire laddove il legislatore non abbia dato attuazione ad un principio costituzionale e di formulare essa stessa, se necessario, la norma mancante.
Inoltre, vi è chi, muovendo da tale distinzione giunge a sostenere che:
- se la norma omessa è costituzionalmente obbligatoria, è la stessa mancanza della norma a costituire un vizio di legittimità costituzionale;
- viceversa se la norma omessa non è costituzionalmente obbligatoria, si avranno omissioni di secondo grado (quando cioè il legislatore, nel disciplinare un certo istituto senza esservi costretto dall’obbligo di attuare un precetto costituzionale, omette di rispettare il principio di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost.). In tale caso, “la Corte non si troverà più nella situazione di dover scegliere
forzatamente tra l’impiego dell’additiva e la rinuncia ad eliminare l’incostituzionalità: la decisione di espungere dall’ordinamento l’intera norma viziata da incostituzionalità per omissione (relativa) non sarà più preclusa dalla sua obbligatorietà costituzionale”. Così, E.GROSSO, Sentenze costituzionali di spesa “che non costino”, Torino, 1991 a cui si rinvia anche per la ricostruzione del dibattito dottrinale in merito all’ammissibilità delle sentenze additive.
Dall’altra parte, invece, vi è chi, secondo invece una concezione più rigorosa sullo stesso ruolo giurisdizionale della Corte costituzionale, ha sostenuto che alla Corte non sarebbe consentito alcun intervento additivo: se la norma non fosse ricavabile dall’ordinamento giuridico, spetterebbe al solo legislatore introdurla; se, viceversa, la norma fosse comunque presente nell’ordinamento giuridico allora spetterebbe ai giudici comuni e non alla Corte costituzionale esplicarla. (Cfr. G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, p. 106 e ss.).
estensivo (ed espansivo) il dettato costituzionale.
In particolare, hanno gravato sul bilancio statale le diverse sentenze additive di prestazione, di cui la Corte costituzionale si è a tal fine servita (specie negli anni’70 con una ripresa a fine ‘80) e che, come noto, da una parte, determinano l’acquisto, a favore di determinate categorie di soggetti, di un diritto a contenuto patrimoniale o a prestazione di servizi dal cui godimento erano, per previsione legislativa, esplicitamente o tacitamente, escluse; dall’atra, fanno sorgere in capo al Legislatore un obbligo di dare o di facere, con gravi ripercussioni sulla situazione finanziaria dello Stato287.
Proprio la forte e grave incidenza sullo stato delle finanze pubbliche di tale sentenze, ha fatto sorgere in dottrina un dibattito circa il rapporto tra sindacato di costituzionalità e principio di copertura finanziaria prevista ai sensi dell’art. 81 , IV comma Cost., ipotizzando un assoggettamento della Corte a tale disposizione con conseguente configurabilità o di un divieto di emettere sentenze produttive di nuove o maggiori spese o dell’obbligo da parte del Giudice delle Leggi di indicare i mezzi per farvi fronte.288 Ipotesi, che, secondo una interpretazione del dettato costituzionale fornito a più voci dalla dottrina, si è esclusa289. Questo non significa
287
Così, L. ELIA, Le sentenze additive e la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale (ottobre 1981 –
luglio 1985), in Scritti in onore di V. Crisafulli, I Padova, 1985, p. 314 e ss. 288
Per la ricostruzione del dibattito si rinvia a AA.VV. Le sentenze della Corte costituzionale e l’art. 81 u.
c. della Costituzionale. Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta nei giorni 8 e 9 novembre 1991. Milano, 1993.
289
Avvalendosi di un argomentazione a contrario vi è chi, come M. LUCIANI ( Art. 81 della costituzione
e decisioni della Corte costituzionale in AA. VV. Le sentenze cit. p. 53 e ss.) arriva a confutare le diverse tesi
favorevoli al’estensione della disposizione costituzionale all’attività della Corte. L’autore passa in rassegna cinque argomentazioni:
- Secondo la tesi formulata da D. SORACE, tesa a dimostrare che l’art. 81 cost riguarderebbe anche l’attività della Corte, si è sostenuto che tale disposizione sia applicabile solo in riferimento alla legge in un’accezione tecnico formale, come legge parlamentare; solo con legge cioè sarebbe possibile scegliere i mezzi di copertura delle spese. Con la conseguenza che sarebbe preclusa alla Corte costituzionale adottare pronunce che alterino l’equilibrio legislativo (parlamentare) spese /entrate e dunque in grado di minare l’autonomia degli organi competenti (Parlamento – Governo) a decidere il reperimento e l’allocazione delle risorse finanziarie. M. LUCIANI, muovendo dall’ambiguità della disposizione (da cui si può dedurre “sia che la previsione delle nuove spese è riservata alla legge sia che solo alla
legge è imposto il dovere di indicare la copertura necessaria a far fronte a spese nuove o maggiori”), ritiene tale
argomentazione poco convincente in quanto si arriverebbe “all’inaccettabile conseguenza che, a parte la
legge, nessun altro atto, pur produttivo di diritto, potrebbe mai contenere previsioni normative comportanti spese obbligatorie” (dovendo essere dichiarato inammissibile, per esempio, anche la richiesta referendaria
volta a tal fine);
- secondo un altro orientamento, il termine legge richiamato all’art. 81, sarebbe da intendersi come qualsiasi atto produttivo di diritto, con la conseguenza che la Corte, pur potendo emettere sentenze costose, dovrebbe indicarne la copertura finanziaria . Un atale tesi, secondo M. Lucani non tiene conto del permanere di una irriducibile diversità tra legge e sentenza;
però, che la Corte costituzionale debba essere insensibile al problema della razionalizzazione delle risorse finanziarie disponibili. Da questo punto di vista, è fortemente condivisibile il pensiero di G.ZAGREBELSKY, secondo il quale: l’art. 81 Cost.“ non si applica alla Corte in quanto regola di competenza, dalla quale possa derivare una deminutio dei suoi poteri quanto siano in gioco conseguenze incidenti sul bilancio. Ma, poiché essa
esprime un principio…di diritto costituzionale, ad essa, come a qualsiasi altra norma della Costituzione, deve essere dato il dovuto rilievo nel momento in cui la Corte fa uso dei propri
- secondo invece un terzo orientamento tesi, l’art. 81 fisserebbe un principio generale di equilibrio finanziario operante anche per la Corte costituzionale, dando così, secondo l’autore “per denonstratum
il demonstrandum”;
- vi è chi poi sostiene che lo spending power sia riservato agli organi politici, democraticamente legittimati (con esclusione dunque della Corte costituzionale che non godrebbe di legittimazione democratica). Secondo l’Autore, la carenza di legittimazione democratica della Corte dovrebbe essere evocata sempre, con la conseguenza che la stessa funzione di garanzia neutrale della Costituzione verrebbe paralizzata;
- infine, secondo altri, la Corte non potrebbe emettere sentenze che producono “l’effetto di far costare
una legge” più di quanto il legislatore stesso non abbia previsto, dato che l’art. 81 impone con
chiarezza al legislatore l’obbligo di copertura finanziaria delle spese. Così facendo “ qualsiasi fatto economico che provocasse un’alterazione verso il basso dei costi delle entrate rederebber costituzionalmente illegittime le leggi di spesa che a queste fanno riferimento per la propria copertura.
Secondo M. LUCIANI, dunque, per contenere gli effetti delle sentenze costose, alla Corte non resterebbe che fare ricorso al suo ‘arsenario’, agli strumenti processuali e alle tecniche decisorie in grado di limitare i costi delle proprie decisioni. L’art. 81 è dunque inapplicabile alla Corte, sia perché gli si imporrebbero così facendo dei limiti che andrebbero a d inficiare il suo ruolo di “incerare i principi e le esigenze dello stato sociale offrendo ai diritti sociali una piena protezione di livello costituzionale” sia perché si finirebbe per collocare sullo stesso piano il giudice costituzionale e il legislatore.
In modo non dissimile A. PIZZORUSSO, Comunicazione, in op. cit. secondo cui se tale disposizione fosse realmente operante per la Corte costituzionale, ne risulterebbe un corrispondente limite all’azionabilità dei diritti costituzionali.
V. ONIDA, Giudizio di costituzionalità delle leggi e responsabilità finanziaria del parlamento, in AA.VV., op. cit., p. 25 e ss. che, pur richiamando le diverse tecniche decisorie alternative alle sentenze che
costano, ipotizza, per fronteggiare le conseguenze finanziarie di tali decisioni, un potere-dovere da parte del Parlamento e del Governo, di provvedere in modo che l’allocazione delle risorse decisa tenga conto del sopravvenire di fabbisogni di spesa, che siano prodotte da legittime decisioni di altri attori del sistema ( tra cui, la Corte costituzionale).
A conclusioni non così univoche, giunge F. DONATI, Tutela dei principi costituzionali e rispetto delle
decisioni di bilancio AA.VV., op. cit., p. 309 e ss. il quale esalta il ruolo dela Corte costituzionale nel
bilanciamento dei valori in gioco alla luce del criterio di ragionevolezza e difende l’attività creatrice della Corte, puntando il dito verso un legislatore che troppo spesso legifera per eccezioni o per casi singoli secondo valutazioni di comodo.
Infine, A. ANZON, Nuove tecniche di decisioni di questioni di costituzionalità e attuazione dell’art. 81 quarto
comma cost, in AA.VV., op. cit., p. 247 e ss. che, rifacendosi a quanto sostenuto da G. ZAGREBELSKY ritiene non esistere una soluzione unica, valida in tutti casi. Secondo tale autore, si deve guardare alla fattispecie concretamente poste all’esame della Corte a fronte della quale la Corte dispone di una varietà di strumenti da utilizzare e richiama la necessità che la Corte motivi “adeguatamente di
volta in volta, la scelta del tipo di decisione affinché la sua giurisprudenza ..abbia un grado sufficiente di prevedibilità”.
poteri…- L’’art. 81 u.c. Cost., in breve, non si applica alla Corte come norma di competenza che disponga qualcosa circa l’an dei suoi poteri, ma certamente è rilevante rispetto al modo del loro esercizio cioè al quomodo. In questo senso, sarebbe forse errato dire che esso si applica alla Corte costituzionale, ma è certo corretto dire che si riferisce (anche) ai contenuti delle decisioni della corte costituzionale.”290. Tale articolo, dunque, è espressione di un principio generale che, come già anticipato, ha condizionato nel tempo l’atteggiamento della Corte costituzionale.