Nonostante le critiche espresse dalla dottrina post-costituzionale alla
ricostruzione barassiana, non v’è dubbio che essa era espressione del
contesto culturale ed ideologico dominante a cavallo tra ‘800 e ‘900, un
contesto caratterizzato dai principi del liberalismo, impregnato di
giusnaturalismo razionalista prima e di positivismo normativo poi. E
l’opera di Barassi in esso si iscrive a pieno.
Il recupero delle reciproche posizioni delle parti al paradigma del
contratto di scambio ed agli schemi civilistici in generale, oltre ad un
omaggio alla tradizione romanistica, era per Barassi più che altro il
tentativo (forse ottuso, ma tenacemente perseguito) di preservare i
principi liberali da infiltrazioni di carattere sociologico e pubblicistico
che ne avrebbero compromesso la purezza. Autonomia privata
individuale e contratto costituivano per lui, in linea con la cultura
giuridica dominante, fondamentali strumenti di libertà e di
emancipazione del lavoratore-cittadino, gli unici in grado di garantirgli
quella autodeterminazione negata in principio dal sistema giuridico
dell’Ancien Regime. La formula del volontario incontro di volontà che
liberamente scelgono di incontrarsi sul mercato, scambiando lavoro per
salario indipendentemente dalla differenti posizioni di potere (economico
e sociale), assolveva una fondamentale funzione emancipatoria, quasi
catartica, di liberazione dai vincoli che opprimevano l’attività economica
nel precedente periodo corporativistico e mercantilistico e che negavano
alla radice uguaglianza e libertà dei singoli
175.
Il radicale rifiuto espresso da Barassi verso la logica
protezionistica dei novatori, che proponevano di calibrare la normativa
lavoristica sul dato della debolezza socio-econo mica del lavoratore, era
174
GIUGNI G., Diritto del Lavoro …, op. cit., pp. 3 e ss. ICHINO P., La rilevanza della volontà negoziale ai fini della qualificazione del contratto , Quad. RIDL, I, 1989, p. 35. 175
Per questo BARASSI L., Il contratto di lavoro …, op. cit. p. 10, scrive: “Non consideriamo l’uomo solamente un atomo, costituente l’aggregato sociale, ma anche una unità pensante e volente, avente una individualità propria e distinta”.
motivato, in primis, “dall’avversione per una tecnica di intervento che
avrebbe sanzionato in termini giuridici - quindi sempre ed in ogni caso –
l’irrilevanza della volontà del lavoratore subordinato e alla fine la sua
inferiorità non solo di fatto”
176. La subordinazione, infatti, per Barassi è il
modo tipico di essere della promessa contrattuale del prestatore di lavoro,
è fissata dal volere delle parti nel contratto, è dato tecnico, non socio-
economico
177. Essa costituisce al tempo stesso misura e limite dei poteri
di autorità dell’imprenditore e della situazione di assoggettamento del
lavoratore e, in questo senso, rappresenta una forma, seppur minima, di
garanzia per il lavoratore. È per questo che egli sostiene che la
dipendenza no n è un effetto del contratto - dal momento che le parti
rimangono ugualmente libere durante il rapporto quanto lo erano
all’inizio -, ma deriva quale “effetto della portata sociale delle loro
prestazioni
178. E forse, da Barassi, non ci si poteva aspettare molto di più.
È vero, certo, che si trattava di una finzione, più o meno
consapevolmente perpetrata in funzione della tutela e della promozione
di un particolare assetto dei rapporti privati e di stabilizzazione della
posizione egemonica della borghesia capitalista, così com’è vero che
Barassi scelse volutamente di ignorare le sollecitazioni di quanti già
avevano messo in luce il carattere mistificante e strumentale di tale
operazione. In ogni caso, l’appartenenza al ceto borghese e il sincero
attaccamento ai valori politici e giuridici dominanti lo spinsero verso la
difesa ad oltranza di quegli stessi valori. Come molti altri, il padre
fondatore del diritto del lavoro italiano non ha saputo resistere a quella
“tendenza innata … del pensiero scientifico, specialmente di quello
giuridico, ad inserire le figure di nuova formazione nella nicchia di
schemi concettuali noti e consolidati”
179, ovvero, come altri, ha tentato di
“nascondere, dietro il rassicurante appello alla linearità del processo
storico, la piena consapevolezza del carattere «epocale» della rottura
176
CASTELVETRI L.,Il Diritto del Lavoro delle origini…, op. cit. pp. 340 e ss. 177
Per l’evoluzione della nozione di dipendenza/subordinazione nel pensiero di Barassi tra prima e seconda edizione del Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, si rinvia a PEDRAZZOLI M., La parabola della subordinazione: …, op. cit. pp. 349 e ss.; MENGONI L., L’evoluzione del pensiero di Ludovico Barassi dalla prima alla seconda edizione del Contratto di lavoro, RTDPC, 2001, pp. 239 e ss.
178 B
ARASSI L., Il contratto di lavoro …, op. cit. p. 32. 179
SCOGNAMIGLIO R., Rapporto di lavoro e contratto, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi. L’omaggio dell’accademia a Mattia Persioani, I, Cedam, Padova, 2005, p. 769; GAROFALO M.G.,Il Diritto del Lavoro e la sua …, op. cit. p. 129, che, a proposito del richiamo alla tradizione romanistica parla di “copertura ideologica di un’operazione di politica del diritto: ambientare nell’ordinamento un nuovo tipo contrattuale che avesse ad oggetto il lavoro astratto (rectius: lo scambio tra questo e la retribuzione) e come funzioni quella di legittimare il potere dell’imprenditore capitalista sull’organizzazione di impresa e su coloro che in essa lavorano in una società di soggetti liberi ed uguali nonché quella di consentire al datore di lavoro, attraverso la libertà contrattuale, di rendere la quantità di lavoro esistente nell’organizzazione una variabile dipendente dalle proprie scelte organizzative e produttive”.