Nonostante le denunce di una certa parzialità di tale diagnosi della crisi
del diritto del lavoro - intesa quasi esclusivamente quale crisi
dell’uniformità da esso imposta
336-, è indubbio che si trattava di una
organizzazioni cooperative di lavoratori. Si vedano, a titolo meramente esemplificativo, le leggi 27 febbraio 1985, n. 49 - Provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di occupazione - e 28 febbraio 1986, n. 44 - Concernente misure straordinarie per la promozione e lo sviluppo della imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno-). Sul punto SANTONI F., Modelli associativi e trasferimenti di aziende alle cooperative nella legislazione di sostegno all’occupazione, RIDL, 1987, I, pp. 489 e ss. Per il sistema francese, GARCÍA RUBIO M. A., Presunción de no laboralidad y promoción del trabajo independiente: la experiencia francesa, RL, 1995, n. 18, pp. 1 e ss. Che si tratti di una tendenza, quella all’incremento dell’utilizzo del lavoro autonomo, che, per un verso caratterizza il panorama mondiale e, per l’altro è tipica degli ultimi decenni, è evidenziato dai numerosi studi elaborati sia a livello nazionale, sia a livello comunitario. Tra questi ultimi si veda il Report, Economically dependent work/parasubordination: legal, social and economic aspects, Ottobre 2002, disponibile sul sito internet:www.ec.europa.eu/employment_social/labour_law/docs/parasubordination_rep ort_it.pdf.
336
L’uniformità attribuita al diritto del lavoro è stata fin da sempre più tendenziale che reale. Anche prima dell’esplodere della legislazione della flessibilità – su cui infra nel testo –, infatti, il diritto del lavoro si era evoluto attraverso un processo costante di elaborazione di discipline differenziate in ragione delle diverse caratteristiche del contesto sul quale era destinato ad intervenire. MONEREO PÉREZ J. L., Algunas reflexiones sobre la caracterización técnico jurídica del Derecho del trabajo, Civitas, Madrid, 1996, pp. 64 e ss. Oltre all’elaborazione di normative specifiche per tutta una serie di rapporti di lavoro variamente connotati da alcun elemento di specialità (per il sistema spagnolo si tratta dei rapporti regolati all’art. 2 ET; per il sistema italiano, si pensi alla disciplina in materia di lavoro a domicilio - l. 18 dicembre 1973, n. 877 -, di lavoro sportivo - l. 23 marzo 1981, n. 91-, di lavoro alle dipendenze delle P.A., del lavoro nelle piccole/grandi imprese, lavoro dirigenziale, etc.), la drammaticità dell’alternativa tra subordinazione ed autonomia era già stata stemperata, almeno in Italia, dall’introduzione – art. 409, n. 3 c.p.c. come riformato dalla l. 11 agosto 1973, n. 533 - della categoria (dottrinale) della parasubordinazione. In particolare, l’istituto della parasubordinazione è stato utilizzato fin da sempre come via di fuga – insieme ed in alternativa al lavoro nero – alle rigidità ed alle tutele proprie del lavoro subordinato. L’“invenzione” della categoria della parasubordinazione può essere dunque letta nella duplice prospettiva, fisiologica, di assicurare forme di tutela modellate sul lavoro subordinato a lavoratori, che pur prestando la propria attività in regime di autonomia,
percezione assolutamente dominante nel mondo imprenditoriale ed in
vasti settori della comunità scientifica. In tale contesto ed al di là dei
singoli interventi, per lo più settoriali ed occasionali, cui si dette luogo
soprattutto in materia di contenimento del costo del lavoro e di sostegno
alla riconversio ne, ristrutturazione, riorganizzazione industriale (CIG,
fiscalizzazione degli oneri sociali, incentivi all’occupazione giovanile,
strutture per la mobilità della manodopera, etc.)
337, l’aspirazione era
insomma quella di mettere mano ad una profonda opera di
razionalizzazione - nelle forme, nelle tecniche, nei contenuti di
regolazione - dei rapporti di lavoro, al fine precipuo di pervenire ad un
più funzionale e coerente contemperamento tra esigenze di socialità e di
protezione dei lavoratori e necessità di maggiore efficienza complessiva
del sistema giuridico e socio-economico
338. La complessivizzazione del
panorama economico e produttivo (ma anche sociale e culturale),
l’emersione di nuovi problemi ovvero la necessità di adattare le strutture
giuridiche e normative esistenti al mutato contesto economico e
produttivo, reclamavano dunque la pronta elaborazione di risposte
efficaci e differenziate; risposte sostanzialmente improntate
hanno bisogno di un certo grado di protezione eteronoma in ragione essenzialmente dell’elevato grado di dipendenza tecnico-funzionale (ed economica) della propria prestazione dal contesto organizzativo nel quale si inseriscono funzionalmente. Ovvero, può essere interpretata come uno degli strumenti utilizzati per circoscrivere il campo di applicazione del diritto del lavoro e, dunque, sottrarre alle tutele lavoristiche gruppi determinati di prestatori di lavoro pur strutturalmente ad esse riconducibili. Sul punto, SANTORO PASSARELLI F., Il lavoro parasubordinato , F.Angeli, Milano, 1979; RUIZ
CASTILLO M. M., Delimitación subjetiva del derecho del trabajo. Un interrogante específico: el trabajo “parasubordinado”, RL, 1991, n. 20-21 (monográfico), pp. 135 e ss.; CRUZ VILLALÓN J., Descentralización productiva y sistema de relaciones laborales, RTSS, 1994, n. 13. ICHINO P., L’anima laburista della legge Biagi. Subordinazione e “dipendenza” nella definizione della fattispecie di riferimento del diritto del lavoro, Relazione presentata al Convegno “Nuovi lavori e tutele” Centro Nazionale di Studi “Domenico Napoletano”, Napoli, 28-29 gennaio 2005. Più in generale, sull’elevato grado di frammentazione che ha caratterizzato fin da sempre la legislazione in materia di lavoro, GAETA L.,In tema di frammentazione della subordinazione: a proposito di un paio di sfasature e di un viaggio nel passato , in D’ANTONA M. (a cura di), Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro. Italia e Spagna, ESI, Napoli, 1992, spec. pp. 126 e ss.; ID.,Lavoro a distanza e subordinazione, ESI, Napoli, 1993, il quale attribuisce alle aspirazioni totalizzanti di completezza del sistema la “colpa” di una unitarietà di fatto inesistente. Analogamente, RUSCIANO M.,Universalità v. specialità degli statuti giuridici del lavoro dipendente, LD, 1992, pp. 417 e ss. Con ciò non si intende negare la nuova dimensione qualitativa della frammentazione sociale e giuridica della forme del lavoro, bensì più semplicemente mettere sull’avviso contro semplificazioni pericolose.
337
Si rinvia sul punto a DE LUCA TAMAJO R., VENTURA L., Il diritto del lavoro nell’emergenza, (la legislazione degli anni 1977-1978), Jovene, Napoli, 1079; AA.VV., Il diritto del lavoro dopo l’«emergenza», Giuffrè, Milano, 1988.
338
Si veda, in particolare, a tal proposito, la relazione di Gino Giugni al Congresso Nazionale di Diritto del Lavoro citato, pubblicata anche nella rivista DLRI, 1982, pp. 373 e ss.
all’introduzione di forme e di strumenti di regolazione del lavoro più
elastici e flessibili.
Senza entrare nel merito del dibattito sull’origine della crisi
economica
339- obiettivo che esula chiaramente dalle possibilità e dalle
finalità di questo lavoro – ciò che qui si intende sottolineare è che il
generale consenso sociale circa l’eccessiva rigidità/uniformità del sistema
di diritto del lavoro (determinata anche e soprattutto in conseguenza dello
sviluppo di un complesso – disorganico – di norme modellate a
riferimento di un modello di economia e di lavoro in via di generale e
definitivo superamento), portò ad individuare nella “flessibilità” la
principale via di soluzione ai problemi sociali e giuridici generati o più
probabilmente acuiti dalla difficile situazione economica
340. Intesa in
termini fatalmente restrittivi come contrazione del sistema delle garanzie
derivanti dal diritto del lavoro, la flessibilità diventa insomma, a partire
da questo momento, una sorta di “formula magica”
341attraverso la quale
pervenire ad una regolazione giuridica del lavoro più moderna, razionale
ed effic iente.
Nel momento stesso in cui si consolida questa acquisizione, si
finisce tuttavia ed inevitabilmente per operare una sorta di inversione
logica del discorso. La flessibilità viene vieppiù percepita non solo e non
tanto quale “male necessario”
342, funzionale alla risoluzione dei problemi
derivanti dalla crisi di legittimazione del diritto del lavoro; sorta di
contropartita indispensabile ad invertire gli effetti sociali ed economici
negativi derivanti dalla crisi economica e, dunque, evoluzione necessaria
al recupero dell’efficienza del sistema. La colpevolizzazione del diritto
del lavoro finisce per presentare il contenimento dell’effetto espansivo
delle garanzie sul piano individuale (ma anche su quello collettivo) non
solo e non tanto quale condizione di necessità, quanto piuttosto quale
condizione di giustizia
343. La prospettiva viene dunque in un certo senso
rovesciata e si incomincia a presentare la contrazione delle tutele
339 Per un’interessante interpretazione delle cause della crisi economica mondiale si veda, ANISI D., Creadores de escasez. Del bienestar al miedo, Alianza Editorial, Madrid, 1995, pp. 67 e ss.
340
DEL REY GUANTER S., Desregulación, juridificación y flexibilidad en el Derecho del Trabajo, RL, 1989, n. 10, pp. 7 e ss.
341
RODRÍGUEZ-PIÑERO M., Flexibilidad: ¿Un debate interesante o un debate interesado?, RL, 1987, n. 3, pp. 1 e ss.
342
CARUSO B., La flessibilità e il diritto del lavoro italiano, in Studi in onore di Giorgio Ghezzi, Cedam, Padova, 2005, I, p. 509.
343
In tal senso, GONZÁLEZ ORTEGA S., La difícil coyuntura del Derecho del Trabajo, RL, 1987, n. 8, pp. 22 e ss. “La disminución del garantismo pasa así de la concesión a la exigencia, de lo posible a lo insoslayable y (...) de lo transitorio a lo permanente”.