Com’è evidente e come si è fin qui cercato di mostrare, l’affermazione e
lo sviluppo del sistema di produzione capitalista conteneva in sé i germi
del proprio sovvertimento. Le gravi conseguenze sociali generate dal
brutale sfruttamento delle classi lavoratrici per le quali il lavoro era
diventato l’unica possibilità di sopravvivenza ed il loro organizzarsi in
forme collettive di contropotere, implicavano l’esigenza di interventi
volti ad attenuarne la portata potenzialmente sovvertiva.
Allo stesso tempo, tuttavia, l’intervento statale nei rapporti
economici e sociali contravveniva al principio liberale del necessario
astensionismo dello Stato e della remissione direttamente ai
comportamenti individuali del compito della costruzione dell’ordine
economico e sociale. La rottura dell’astrattezza del soggetto di diritto,
adesso fatto oggetto di complessi di norme differenziate a secondo della
sua collocazione nel sistema produttivo, denunciava la parzialità e
l’insufficienza di una società costruita intorno ad un principio di
uguaglianza meramente formale. Più in particolare, cominciava a
rendersi manifesta la contraddizione insita nella ricostruzione all’interno
dello schema contrattuale di una relazione che inevitabilmente sfugge e
scardina i postulati stessi del contratto; la contraddizione tra causa
(scambio patrimonialistico tra lavoro e retribuzione) ed oggetto
contrattuale (“la deduzione a termine oggettivo del regolamento
negoziale di un facere, di un’attività, di un comportamento, in cui è
immanente, come dato di rilevanza formale, la persona del
lavoratore”)
124; contraddizione in gran parte irresolubile, espressiva della
tensione immanente ad una relazione che strutturalmente tende alla
mercificazione della persona ricondotta a temine oggettivo di un rapporto
patrimoniale di scambio.
Nella misura in cui il lavoro si svincolava dall’ambito dei rapporti
prettamente personali per entrare a configurare relazioni di tipo
123
SIMITIS S., La giuridificazione dei rapporti di lavoro , DLRI, 1986, pp. 213 e ss. 124
GRANDI M., Persona e contratto di lavoro. riflessioni storico-critiche sul lavoro come oggetto del contratto di lavoro , ADL, 1999, p. 310. Sul punto, anche MARTÍN
propriamente patrimoniale, la molteplicità dei lavori poteva (e può)
essere rincondotta ad una medesima categoria astratta, così come i
prodotti del lavoro, ciascuno differenziato in ragione del proprio uso, si
trasfromano in merci comparabili dal punto di vista del proprio valore.
Allo stesso tempo, nella misura in cui la scissione tra lavoratore e lavoro
si rivela irrimediabilmente artificiale e strumentale alla mercificazione di
quest’ultimo, per poter continuare a fondarsi nel contratto, il rapporto di
lavoro dovrà piegarsi ad incorporare elementi di status
125.
Le contraddizioni così generate, se certamente comportarono la
necessità di sottomettere a profonda revisione molti dei postulati su cui si
era costruito il liberalismo ottocentesco, tuttavia, non furono tali da
implicare un vero e proprio sovvertimento del quadro giuridico di
riferimento. La portata potenzialmente eversiva di tali fenomeni fu,
infatti, abilmente contenuta dalla reazione del ceto borghese dominante –
a cui apparteneva anche il giurista -, orgogliosamente e tenacemente
ancorato alla propria tradizione giuridica, quella di matrice romano-
civilistica. Le pur non irrilevanti novità e contraddizioni apportate ai
principi liberali dal movimento dei novatori e dal nuovo ruolo assunto
dallo Stato nel rapporto con la società, nonché dallo sviluppo di efficaci
forme di organizzazione collettiva dei lavoratori, non influenzarono
significativamente il dibattito scientifico di fine ‘800.
La cultura giuridica dominante era, infatti, sostanzialmente
proclive a concepire le innovazioni legislative come un prodotto
residuale e transitorio, indotto dalle contingenze economiche e sociali, di
derivazione pubblicistica e perciò stesso speciale ed inaffidabile,
incapace di intaccare principi e fondamenti della “vera” ed “immutabile”
scienza privatistica; “pianeti intorno al sole, che gravitano intorno al
sapere antico dei giuristi senza avere la forza di oscurarlo”
126. In
sostanza, se la legislazione sociale poteva al più contribuire a
circoscrivere e controllare le conseguenze sociali più laceranti
dell’applicazione dei principi giuridici tradizionali
127, era solo facendo
ricorso a questi ultimi che si sarebbe potuto costruire giuridicamente il
rapporto di lavoro
128. Conseguentemente, la dottrina prevalente si
125 Scrive a tal proposito S
UPIOT A., Crítica del derecho del trabajo …, op. cit., p. 134: “El derecho del trabajo se ha alimentado de esta tensión entre la idea del contrato, que postula la autonomía de las partes, y la idea de la subordinación, que excluye esta autonomía”.
126
CAZZETTA G., Leggi sociali, cultura giuridica …, ,op. cit., p. 164 e ss. 127
“Las leyes sociales se insertaban en la lógica iusliberal en cuanto desviantes en vía excepcional de los principios radicalmente individualistas consagrados en el Código civil normal...Pueden ser a menudo (re)interpretadas como un deliberado intento de impedir o, cuanto menos – fracasada esta aspiración «máxima» de «impedir» -, «retardar» la consagración de los nuevos principios y valores del constitucionalismo social”. MONEREO PÉREZ J.L., Fundamentos doctrinales del …, op. cit. p. 105. 128 Mentre la legislazione sociale si dedicava a indagare e disciplinare gli effetti dell’industrializzazione e della generalizzazione della prestazione di lavoro per altri –