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1 2 – Contratto e organizzazione: l’impostazione di Mattia Persiani

Per questi stessi motivi, sostanziale insoddisfazione è stata espressa dalla

dottrina dominante anche per quelle ricostruzioni teoriche impegnate a

valorizzare l’elemento dell’organizzazione imprenditoriale quale

elemento preesistente al contratto e fonte reale dei poteri del datore di

lavoro. Questi ultimi, più che promanare dal contratto, venivano

interpretati quale espressione della più generale libertà di iniziativa

economica

276

, ovvero pertinenti all’interesse organizzativo finale del

datore di lavoro- imprenditore

277

, ovvero anche conseguenza della

proprietà dei mezzi di produzione e del risultato finale dell’attività

aziendale

278

.

275

“Il ricondurre la situazione di dipendenza al momento contrattuale significa: stemperare il dato sociologico nella genesi storica del rapporto di lavoro subordinato, rendendo il relativo schema negoziale sostanzialmente neutrale rispetto alle fattispecie concrete di utilizzazione dello stesso; esaltare le capacità negoziali delle parti, lasciando intendere che lo stato di subordinazione è pur sempre riconducibile ad un momento volitivo ed è quindi frutto di una libera scelta contrattuale; mantenere una sostanziale scissione concettuale tra il momento costitutivo del vincolo obbligatorio e la realtà sociale dell’organizzazione produttiva, con la congerie di relazioni di gerarchia e di potere che vi è implicita; collocare su piani differenziati l’attività contrattuale interindividuale e l’azione collettiva”. FERRARO G., Ordinamento, ruolo del sindacato e dinamica contrattuale di tutela, Cedam, Padova, 1981, p. 240.

276

MAZZIOTTI F., Contenuto ed effetti del contratto di lavoro, Jovene, Napoli, 1974, pp. 78 e ss.

277

MANCINI F., La responsabilità contrattuale del …, op. cit. 278

ROMAGNOLI U., La prestazione di lavoro nel contratto di società, Milano 1987, p. 194.

Tali impostazioni se per certi versi prospettavano una

ricostruzione del rapporto di lavoro certamente più fedele alla realtà dei

rapporti di produzione (in un contesto giuridico ancora caratterizzato

dalla centralità delle norme codicistiche nella regolazione del lavoro

salariato e dalla libera recedibilità dal contratto), finivano

paradossalmente per “far godere di una certa impenetrabilità i poteri

dell’imprenditore”

279

. Pur partendo dalla contrattualità del rapporto, esse,

in definitiva, costringono il ruolo del contratto alla funzione di strumento

per l’inserzione del lavoratore nell’impresa, relegando l’elemento della

subordinazione alla qualità di effetto dell’esercizio dei poteri

imprenditoriali. La conseguenza inevitabile, anche quando non voluta, è

quella di difuminarne i contorni (in evidente e pericolosa analogia con

quanto professato dall’ideologica corporativa)

280

.

Queste sono almeno alcune delle ragioni (ideologiche?) che

hanno determinato la netta prevalenza delle soluzioni più propriamente

civilistiche nella ricostruzione della relazione giuridica tra datore e

prestatore di lavoro

281

e forse è sempre per questo che, nell’intenso

dibattito che si è sviluppato successivamente - pur nell’ambito della

concezione privatistica e contrattualistica del rapporto di lavoro -, grande

seguito ha ottenuto l’intervento di chi, ribaltando le impostazioni sopra

richiamate, ha fornito una sistemazione della struttura complessiva del

rapporto di lavoro in termini strettamente contrattuali, senza per altro

trascurare il rilievo del profilo organizzativo dell’impresa, che anzi

finisce per essere ricondotto alla causa stessa del contratto di lavoro

subordinato

282

.

279

LISO F., La mobilità del lavoratore…, op. cit., pp. 43 e ss. 280

Si vedano pure le considerazioni critiche di BUONCRISTIANO M., Profili della tutela civile contro i poteri privati, Cedam, Padova, 1986, pp. 204 e ss. che a tal proposito scrive: “la correlazione fra subordinazione e poteri del datore di lavoro come elementi, strutturali del «tipo», consente di individuare non solo la fonte – il contratto, appunto – delle posizioni di supremazia, ma anche la «misura» e la «disciplina» di esse”.

281 Sul punto anche C

AZZETTA G., Una storia spezzata…, op. cit., pp. 187 e ss. 282 P

ERSIANI M., Contratto di lavoro e .., op. cit. Per una critica alla ricostruzione di Persiani si rinvia a: LISO F., La mobilità del lavoratore …, op. cit. pp. 56 e ss. Più in generale, per una critica alle teorie “collaborative” – tese cioè ad imporre in capo al lavoratore un obbligo positivo di conformazione della prorpia prestazione alle esigenze organizzative dell’impresa, CARABELLI U., Lavoro subordinato e organizzazione: qualche riflessione sullo stato del dibattito alle soglie del nuovo secolo, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi …, op. cit., pp. 601 e ss. Secondo l’A. queste sono state il frutto di un momento storico determinato, caratterizzato dal progressivo riequilibrio dei poteri in azienda e dalla progressiva affermazione di comportamenti individuali e collettivi meno conflittuali e più collaborativi; come contropartita ad una sorta di compromesso produttivo ed occupazionale incentrato su politiche pubbliche redistributive dei redditi e tendeziale stabilità dei rapporti di lavoro.

Nonostante la critica di una certa commistione tra il piano

dell’organizzazione interindividuale di lavoro e quello distinto della

complessiva organizzazione aziendale e dell’incerta delimitazione della

rilevanza dell’interesse organizzativo dell’imprenditore ai fini della

determinazione del contenuto dell’obbligazione di lavoro operata da

Persiani

283

, tale tesi supera, forse definitivamente, il dualismo

caratteristico delle teorie che tendevano a valorizzare il momento del

rapporto su quello del contratto e per questo trova ampio seguito in

ambito dottrinale

284

.

Se dunque, la scelta contrattualista per l’inquadramento giuridico

della relazione tra datore e prestatore di lavoro, fu senz’altro influenzata

da ragioni culturali ed ideologiche storicamente determinate, è altrettanto

vero che essa rispondeva efficacemente alle esigenze di razionalità e

efficienza dell’organizzazione produttiva e al tempo stesso alla necessità

di una efficace circoscrizione dell’area del debito del lavoratore. La

subordinazione, intesa come tratto caratterizzante la fattispecie da un

punto di vista strettamente tecnico-giuridico, nel momento in cui viene

283

Si veda in proposito la critica di LISO F., La mobilità del lavoratore …, op. cit., pp. 50 e ss. il quale puntualizza come l’interesse organizzativo soddisfatto dal contratto di lavoro non può non essere quello corrispondente all’apporto di utilità realizzato dalla singola prestazione a beneficio della organizzazione produttiva e non certo quello al risultato finale del processo produttivo. “L’utilità che la singola prestazione deve arrecare (e quindi, l’interesse tipico che deve soddisfare) non si commisura al risultato produttivo globale, bensì consiste in quel risultato (parziale) che sommato o sommabile ad altri risultati (parziali), secondo il disegno organizzativo predeterminato dal detentore dell’iniziativa economica, dà luogo … ad altri risultati parziali o a quello finale della organizzazione produttiva …”. In questo senso, si afferma più avanti, “il coordinamento … il datore di lavoro non lo attende, ma lo esercita (ed è appunto il contratto di lavoro l’istituto attraverso il quale l’imprenditore acquisisce giuridicamente tale facoltà) e conseguentemente i rischi connessi a tale attività di coordinamento non possono essere riversati sulla controparte”. Si veda anche NAPOLI M., Contratto e rapporto di lavoro, oggi, in AA.VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, Giuffrè,

Milano, 1995, II, pp. 1111 e ss.

284

Scrive a tal proposito, PEDRAZZOLI M., Democrazia industriale e …, op. cit., p. 96: “Il diritto del lavoro individuale celebra così il suo apogeo, in nome di un contratto sempre più coerentemente plasmato ad immagine e somiglianza del fatto organizzativo, inteso come realizzazione dell’interesse del datore di lavoro al coordinamento del lavoro altrui in funzione del suo programma produttivo”. Avverte tuttavia PERULLI A., Potere direttivo, organizzazione, impresa, LD, 1989, p. 240 che: “Proprio la valorizzazione dell’elemento collaborativo nel corpus dell’obbligazione, infatti, se da un lato conferma l’influenza esercitata dall’organizzazione sul contenuto e sull’intensità della singola prestazione …, dall’altro lato visualizza ancora una volta l’esistenza di un’area posta tra comportamento dovuto e risultato complessivo dell’organizzazione produttiva ove è difficile distinguere (e qualificare) il risultato direttamente correlato al comportamento dovuto dal lavoratore da quello ulteriore (ed estraneo all’area del vincolo obbligatorio) riferibile ad una valutazione dell’interesse aziendale latu sensu . Con la conseguenza quindi di lasciare imprecisata la sfera debitoria del prestatore sotto il profilo della concreta aderenza della prestazione, via via specificata per mezzo del potere direttivo, alla realtà organizzativa necessariamente parziale dell’interesse datoriale al risultato atteso”.

intesa come “modo di essere della prestazione di lavoro”, e dunque

diviene elemento calcolabile e giuridicamente delimitabile, evita di

tradursi in “uno status personale del lavoratore”

285

.

In ogni caso, la contrapposizione tra teorie contrattualiste e teorie

latu sensu a-contrattualiste nella definizione dogmatica del rapporto di

lavoro, lungi dall’implicare la necessità di una scelta tra le une e le altre,

ha rappresentato, com’è stato giustamente osservato

286

, un utile momento

di integrazione della complessa realtà del lavoro subordinato.

Sottolineando aspetti e momenti diversi dello stesso, da un lato è servita

ad una rappresentazione da punti di vista distinti ed a tutto tondo delle

caratteristiche complesse del lavoro subordinato nelle moderne società

capitalistiche, dall’altro tale contrapposizione di vedute è stata anche la

conseguenza dell’ambivalenza del ruolo assunto dal contratto nella storia

degli ordinamenti giuridici moderni e della stessa normativa lavoristica

che si compone di una strumentazione che a volte rimane strettamente

legata alla matrice civilistica, mentre altre volte se ne distanzia

elaborando principi e meccanismi propri. L’ambivalenza di uno schema,

quello del contratto, che per sopravvivere quale schema giuridico di

riferimento per l’inquadramento del fenomeno del lavoro subordinato, è

stato costretto a convivere e ad incorporare con la nozione di status

287

.

Il problema semmai è stato quello di aver voluto operare una ri-

privatizzazione non avulsa da impostazioni spesso altrettanto

ideologizzate ed ideologizzanti quanto quelle da cui si cercava di

sfuggire; è stato quello di “assolutizzare un assunto di sapore

giusrazionalista: quello concernente la necessaria valenza antifascista

della disciplina del contratto che pretenda di essere costruita attorno ai

principi ricavati dal diritto romano”

288

, che ha portato a sottovalutare le

285

MENGONI L., Diritto civile …, op. cit., pp. 6 e ss. 286

DE LUCA TAMAJO R., La norma inderogabile …, op. cit., pp. 107 e ss. 287

SUPIOT A., Crítica del derecho del trabajo..., op. cit., passim. 288

SOMMA A, Il diritto fascista dei contratti …, op. cit., p. 641. Pungente è a tal proposito la critica di ROMAGNOLI U., Un'arca di Noè per il diritto del lavoro , Lezione inaugurale al corso italo-latino-americano per esperti di problemi del lavoro patrocinato dall'Oil, disponibile sul sito internet www.eguaglianzaeliberta.it, (ma anche ID., Una coppia insidiata da luoghi comuni, Intervento al convegno organizzato per i 20 anni dalla fondazione della Rivista Lavoro e Diritto, dal titolo Dimensione individuale e collettiva nel diritto del lavoro, Bologna, 23-25 settembre 2006) che scrive: “Indispettisce infatti che la dislocazione scientifico-culturale del diritto del lavoro dipenda fondamentalmente dalla vischiosità di un’organizzazione accademica del sapere che innalza steccati dove dovrebbero erigersi ponti di collegamento, nonché dall’opportunismo carrieristico che consiglia a quanti desiderano entrare nei ruoli universitari di desistere dall’opporsi alla monocultura di una giusprivatistica affamata di cattedre. Spiace, del pari, dire che il fascismo giuridico è stato il solo momento in cui si sia tentato di cambiare il corso delle cose. Non c’è riuscito, e anzi ha peggiorato la situazione. Sta di fatto però che ha comunque incentivato il diritto del lavoro a scavalcare la collinetta che precludeva la visibilità di cosa ci fosse al di là di un contratto a prestazioni corrispettive che comporta la cessione di un tempo di vita,

possibili derive altrettanto autoritarie dell’esaltazione incondizionata

dalla contrattualità del rapporto di lavoro.

VI. 2. – Accenni all’analogo sviluppo dottrinale in materia di diritto

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