Per questi stessi motivi, sostanziale insoddisfazione è stata espressa dalla
dottrina dominante anche per quelle ricostruzioni teoriche impegnate a
valorizzare l’elemento dell’organizzazione imprenditoriale quale
elemento preesistente al contratto e fonte reale dei poteri del datore di
lavoro. Questi ultimi, più che promanare dal contratto, venivano
interpretati quale espressione della più generale libertà di iniziativa
economica
276, ovvero pertinenti all’interesse organizzativo finale del
datore di lavoro- imprenditore
277, ovvero anche conseguenza della
proprietà dei mezzi di produzione e del risultato finale dell’attività
aziendale
278.
275
“Il ricondurre la situazione di dipendenza al momento contrattuale significa: stemperare il dato sociologico nella genesi storica del rapporto di lavoro subordinato, rendendo il relativo schema negoziale sostanzialmente neutrale rispetto alle fattispecie concrete di utilizzazione dello stesso; esaltare le capacità negoziali delle parti, lasciando intendere che lo stato di subordinazione è pur sempre riconducibile ad un momento volitivo ed è quindi frutto di una libera scelta contrattuale; mantenere una sostanziale scissione concettuale tra il momento costitutivo del vincolo obbligatorio e la realtà sociale dell’organizzazione produttiva, con la congerie di relazioni di gerarchia e di potere che vi è implicita; collocare su piani differenziati l’attività contrattuale interindividuale e l’azione collettiva”. FERRARO G., Ordinamento, ruolo del sindacato e dinamica contrattuale di tutela, Cedam, Padova, 1981, p. 240.
276
MAZZIOTTI F., Contenuto ed effetti del contratto di lavoro, Jovene, Napoli, 1974, pp. 78 e ss.
277
MANCINI F., La responsabilità contrattuale del …, op. cit. 278
ROMAGNOLI U., La prestazione di lavoro nel contratto di società, Milano 1987, p. 194.
Tali impostazioni se per certi versi prospettavano una
ricostruzione del rapporto di lavoro certamente più fedele alla realtà dei
rapporti di produzione (in un contesto giuridico ancora caratterizzato
dalla centralità delle norme codicistiche nella regolazione del lavoro
salariato e dalla libera recedibilità dal contratto), finivano
paradossalmente per “far godere di una certa impenetrabilità i poteri
dell’imprenditore”
279. Pur partendo dalla contrattualità del rapporto, esse,
in definitiva, costringono il ruolo del contratto alla funzione di strumento
per l’inserzione del lavoratore nell’impresa, relegando l’elemento della
subordinazione alla qualità di effetto dell’esercizio dei poteri
imprenditoriali. La conseguenza inevitabile, anche quando non voluta, è
quella di difuminarne i contorni (in evidente e pericolosa analogia con
quanto professato dall’ideologica corporativa)
280.
Queste sono almeno alcune delle ragioni (ideologiche?) che
hanno determinato la netta prevalenza delle soluzioni più propriamente
civilistiche nella ricostruzione della relazione giuridica tra datore e
prestatore di lavoro
281e forse è sempre per questo che, nell’intenso
dibattito che si è sviluppato successivamente - pur nell’ambito della
concezione privatistica e contrattualistica del rapporto di lavoro -, grande
seguito ha ottenuto l’intervento di chi, ribaltando le impostazioni sopra
richiamate, ha fornito una sistemazione della struttura complessiva del
rapporto di lavoro in termini strettamente contrattuali, senza per altro
trascurare il rilievo del profilo organizzativo dell’impresa, che anzi
finisce per essere ricondotto alla causa stessa del contratto di lavoro
subordinato
282.
279
LISO F., La mobilità del lavoratore…, op. cit., pp. 43 e ss. 280
Si vedano pure le considerazioni critiche di BUONCRISTIANO M., Profili della tutela civile contro i poteri privati, Cedam, Padova, 1986, pp. 204 e ss. che a tal proposito scrive: “la correlazione fra subordinazione e poteri del datore di lavoro come elementi, strutturali del «tipo», consente di individuare non solo la fonte – il contratto, appunto – delle posizioni di supremazia, ma anche la «misura» e la «disciplina» di esse”.
281 Sul punto anche C
AZZETTA G., Una storia spezzata…, op. cit., pp. 187 e ss. 282 P
ERSIANI M., Contratto di lavoro e .., op. cit. Per una critica alla ricostruzione di Persiani si rinvia a: LISO F., La mobilità del lavoratore …, op. cit. pp. 56 e ss. Più in generale, per una critica alle teorie “collaborative” – tese cioè ad imporre in capo al lavoratore un obbligo positivo di conformazione della prorpia prestazione alle esigenze organizzative dell’impresa, CARABELLI U., Lavoro subordinato e organizzazione: qualche riflessione sullo stato del dibattito alle soglie del nuovo secolo, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi …, op. cit., pp. 601 e ss. Secondo l’A. queste sono state il frutto di un momento storico determinato, caratterizzato dal progressivo riequilibrio dei poteri in azienda e dalla progressiva affermazione di comportamenti individuali e collettivi meno conflittuali e più collaborativi; come contropartita ad una sorta di compromesso produttivo ed occupazionale incentrato su politiche pubbliche redistributive dei redditi e tendeziale stabilità dei rapporti di lavoro.
Nonostante la critica di una certa commistione tra il piano
dell’organizzazione interindividuale di lavoro e quello distinto della
complessiva organizzazione aziendale e dell’incerta delimitazione della
rilevanza dell’interesse organizzativo dell’imprenditore ai fini della
determinazione del contenuto dell’obbligazione di lavoro operata da
Persiani
283, tale tesi supera, forse definitivamente, il dualismo
caratteristico delle teorie che tendevano a valorizzare il momento del
rapporto su quello del contratto e per questo trova ampio seguito in
ambito dottrinale
284.
Se dunque, la scelta contrattualista per l’inquadramento giuridico
della relazione tra datore e prestatore di lavoro, fu senz’altro influenzata
da ragioni culturali ed ideologiche storicamente determinate, è altrettanto
vero che essa rispondeva efficacemente alle esigenze di razionalità e
efficienza dell’organizzazione produttiva e al tempo stesso alla necessità
di una efficace circoscrizione dell’area del debito del lavoratore. La
subordinazione, intesa come tratto caratterizzante la fattispecie da un
punto di vista strettamente tecnico-giuridico, nel momento in cui viene
283
Si veda in proposito la critica di LISO F., La mobilità del lavoratore …, op. cit., pp. 50 e ss. il quale puntualizza come l’interesse organizzativo soddisfatto dal contratto di lavoro non può non essere quello corrispondente all’apporto di utilità realizzato dalla singola prestazione a beneficio della organizzazione produttiva e non certo quello al risultato finale del processo produttivo. “L’utilità che la singola prestazione deve arrecare (e quindi, l’interesse tipico che deve soddisfare) non si commisura al risultato produttivo globale, bensì consiste in quel risultato (parziale) che sommato o sommabile ad altri risultati (parziali), secondo il disegno organizzativo predeterminato dal detentore dell’iniziativa economica, dà luogo … ad altri risultati parziali o a quello finale della organizzazione produttiva …”. In questo senso, si afferma più avanti, “il coordinamento … il datore di lavoro non lo attende, ma lo esercita (ed è appunto il contratto di lavoro l’istituto attraverso il quale l’imprenditore acquisisce giuridicamente tale facoltà) e conseguentemente i rischi connessi a tale attività di coordinamento non possono essere riversati sulla controparte”. Si veda anche NAPOLI M., Contratto e rapporto di lavoro, oggi, in AA.VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, Giuffrè,
Milano, 1995, II, pp. 1111 e ss.
284
Scrive a tal proposito, PEDRAZZOLI M., Democrazia industriale e …, op. cit., p. 96: “Il diritto del lavoro individuale celebra così il suo apogeo, in nome di un contratto sempre più coerentemente plasmato ad immagine e somiglianza del fatto organizzativo, inteso come realizzazione dell’interesse del datore di lavoro al coordinamento del lavoro altrui in funzione del suo programma produttivo”. Avverte tuttavia PERULLI A., Potere direttivo, organizzazione, impresa, LD, 1989, p. 240 che: “Proprio la valorizzazione dell’elemento collaborativo nel corpus dell’obbligazione, infatti, se da un lato conferma l’influenza esercitata dall’organizzazione sul contenuto e sull’intensità della singola prestazione …, dall’altro lato visualizza ancora una volta l’esistenza di un’area posta tra comportamento dovuto e risultato complessivo dell’organizzazione produttiva ove è difficile distinguere (e qualificare) il risultato direttamente correlato al comportamento dovuto dal lavoratore da quello ulteriore (ed estraneo all’area del vincolo obbligatorio) riferibile ad una valutazione dell’interesse aziendale latu sensu . Con la conseguenza quindi di lasciare imprecisata la sfera debitoria del prestatore sotto il profilo della concreta aderenza della prestazione, via via specificata per mezzo del potere direttivo, alla realtà organizzativa necessariamente parziale dell’interesse datoriale al risultato atteso”.
intesa come “modo di essere della prestazione di lavoro”, e dunque
diviene elemento calcolabile e giuridicamente delimitabile, evita di
tradursi in “uno status personale del lavoratore”
285.
In ogni caso, la contrapposizione tra teorie contrattualiste e teorie
latu sensu a-contrattualiste nella definizione dogmatica del rapporto di
lavoro, lungi dall’implicare la necessità di una scelta tra le une e le altre,
ha rappresentato, com’è stato giustamente osservato
286, un utile momento
di integrazione della complessa realtà del lavoro subordinato.
Sottolineando aspetti e momenti diversi dello stesso, da un lato è servita
ad una rappresentazione da punti di vista distinti ed a tutto tondo delle
caratteristiche complesse del lavoro subordinato nelle moderne società
capitalistiche, dall’altro tale contrapposizione di vedute è stata anche la
conseguenza dell’ambivalenza del ruolo assunto dal contratto nella storia
degli ordinamenti giuridici moderni e della stessa normativa lavoristica
che si compone di una strumentazione che a volte rimane strettamente
legata alla matrice civilistica, mentre altre volte se ne distanzia
elaborando principi e meccanismi propri. L’ambivalenza di uno schema,
quello del contratto, che per sopravvivere quale schema giuridico di
riferimento per l’inquadramento del fenomeno del lavoro subordinato, è
stato costretto a convivere e ad incorporare con la nozione di status
287.
Il problema semmai è stato quello di aver voluto operare una ri-
privatizzazione non avulsa da impostazioni spesso altrettanto
ideologizzate ed ideologizzanti quanto quelle da cui si cercava di
sfuggire; è stato quello di “assolutizzare un assunto di sapore
giusrazionalista: quello concernente la necessaria valenza antifascista
della disciplina del contratto che pretenda di essere costruita attorno ai
principi ricavati dal diritto romano”
288, che ha portato a sottovalutare le
285
MENGONI L., Diritto civile …, op. cit., pp. 6 e ss. 286
DE LUCA TAMAJO R., La norma inderogabile …, op. cit., pp. 107 e ss. 287
SUPIOT A., Crítica del derecho del trabajo..., op. cit., passim. 288
SOMMA A, Il diritto fascista dei contratti …, op. cit., p. 641. Pungente è a tal proposito la critica di ROMAGNOLI U., Un'arca di Noè per il diritto del lavoro , Lezione inaugurale al corso italo-latino-americano per esperti di problemi del lavoro patrocinato dall'Oil, disponibile sul sito internet www.eguaglianzaeliberta.it, (ma anche ID., Una coppia insidiata da luoghi comuni, Intervento al convegno organizzato per i 20 anni dalla fondazione della Rivista Lavoro e Diritto, dal titolo Dimensione individuale e collettiva nel diritto del lavoro, Bologna, 23-25 settembre 2006) che scrive: “Indispettisce infatti che la dislocazione scientifico-culturale del diritto del lavoro dipenda fondamentalmente dalla vischiosità di un’organizzazione accademica del sapere che innalza steccati dove dovrebbero erigersi ponti di collegamento, nonché dall’opportunismo carrieristico che consiglia a quanti desiderano entrare nei ruoli universitari di desistere dall’opporsi alla monocultura di una giusprivatistica affamata di cattedre. Spiace, del pari, dire che il fascismo giuridico è stato il solo momento in cui si sia tentato di cambiare il corso delle cose. Non c’è riuscito, e anzi ha peggiorato la situazione. Sta di fatto però che ha comunque incentivato il diritto del lavoro a scavalcare la collinetta che precludeva la visibilità di cosa ci fosse al di là di un contratto a prestazioni corrispettive che comporta la cessione di un tempo di vita,