Altrettanto problematica è risultata in dottrina la definizione della
nozione di “specialità”, sempre riferita ai contratti e/o ai rapporti di
lavoro sottostanti. Si tratta di una nozione, quella di contratto c.d.
“speciali” alla quale in realtà non si dedicherà speciale attenzione in
dall’art. 2094 c.c. e ss. in ragione della presenza o assenza di requisiti o modalità della prestazione o del rapporto”.
387
A tal proposito, occorre sottolineare come in un contesto giuridico e normativo ancora caratterizzato dalla centralità del modello di lavoro a tempo pieno e durata indeterminata – infra nel testo -, il ricorso alla categoria dell’atipicità continua a possedere una certe valenza euristica. Diverso può essere il discorso, nel caso in cui la prevalenza di tale modello venga seriamente posta in discussione dalla crescente diffusione sociale di modalità contrattuali diverse. Il riferimento è in particolare alla situazione spagnola attuale in cui il ricorso a forme temporanee di impiego raggiunge il 31,94%, mentre il ricorso ad assunzioni a tempo parziale è fissato al 12,1%. Dati forniti dal Ministerio del Trabajo y Asuntos Sociales relativi al terzo trimestre del 2007, disponibili sul sito: www.mtas.es. In tale contesto, la categoria della atipicità si presenta come scarsamente efficace a rappresentare compiutamente la realtà del fenomeno, dovendosi intendere più che altro come una mera convenzione linguistica.
388
In tal senso, anche, SANTONI F., Rapporti speciali di lavoro , Giappichelli, Torino, 1993, p. 55; GRANDI M., La subordinazione tra esperienza e sistema dei rapporti di lavoro , in PEDRAZZOLI M. (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni, Il Mulino, Bolina, 1989, p. 79.
questo lavoro
389. Si spederanno qui solo poche parole soprattutto al fine
di chiarirne la relazione con il suo opposto: la normalità.
Si può iniziare affermando che la nozione di contratti c.d.
“speciali” sembra avere origini assai più remote rispetto a quelle di
atipicità e di flessibilità. Essa è stata elaborata, si crede, per giustificare
da un lato, l’estensione dell’ambito di applicazione del diritto del lavoro
a tipologie di lavoro di dubbia collocazione sistematica e dall’altro, per
dare legittimazione alle deviazioni dello statuto protettivo accordato ai
lavoratori ivi variamente ricondotti (dirigenti, sportivi professionisti,
lavoratori a domicilio o domestici, apprendisti, etc.)
390. Tale nozione
dunque si riconnette alla tendenza propria di un certo diritto del lavoro ad
espandere la propria influenza verso territori limitrofi al campo di
applicazione tradizionale che aveva preso a prototipo sociale di
riferimento per la costruzione dell’apparato di garanzie elaborato in via
eteronoma dallo Stato (o dell’autonomia collettiva) il lavoratore
industriale
391.
389
Per una esaustiva ricostruzione del dibattito si rinvia a SPEZIALE V., Il lavoro subordinato tra rapporti speciali, contratti “atipici” e possibili riforme , WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, n. 51/2007, disponibile sul sito internet: www.unict.it, ma già ID., La struttura del contratto di lavoro temporaneo, DLRI, 1998, pp. 307 e ss. Si veda pure LOY G., Riflessioni su specialità, tipo e sottotipo nel lavoro subordinato, in PEDRAZZOLI M.(a cura di), Lavoro subordinato e dintorni, Il Mulino Bologna, 1989, pp. 51 e ss. Per un riepilogo, anche, CATAUDELLA A., Spunti sulla tipologia dei rapporti di lavoro , DL, 1983, n. 1, pp. 77 e ss.
390 Si tratta di una tendenza espansiva già presente nel Codice civile, che da un lato, identifica nel lavoro nell’impresa il modello tipico e socialmente prevalente ed unifica al suo interno tutti i lavoratori indipendentemente dalla categoria professionale di appartenenza (art. 2095 c.c.), mentre dall’altro, identifica ulteriori modelli contrattuali (contratto a termine – art. 2097 c.c., ora abrogato – il lavoro a cottimo – art. 2100 c.c. – il lavoro con partecipazione agli utili – art. 2102 c.c. – il lavoro in prova – art. 2096 c.c.) ed in molti casi prevede espressamente l’estensione della disciplina del modello tipico, pur nei limiti della compatibilità con la specialità del rapporto (lavoro a domicilio - art. 2128 c.c. -, tirocinio – art. 2134 c.c. Senza contare poi l’estensione (art. 2239 c.c.) ai rapporti di lavoro non inerenti l’esercizio di un’impresa della disciplina prevista per il lavoro nell’impresa (così ad esempio in materia di lavoro domestico – art. 2240 c.c.). In tale senso, GRANDI M., La subordinazione tra esperienza…, op. cit. pp. 83 e ss. In questo modo, scrive l’A., “il codice civile realizza il duplice obiettivo della generalizzazione e dell’articolazione tipologica del modello assunto come struttura privilegiata del rapporto”.
391
Per il sistema spagnolo, HUERTAS BARTOLOMÉ T.,LÓPEZ LÓPEZ J., La ampliación de las fronteras del Derecho del Trabajo espanol tras la Ley del Estatuto de los Trabajadores, CRL, 1992, n. 1, pp. 76 e ss. a cui si rinvia anche per una ricostruzione in chiave storico-critica della nozione di specialità. A tal proposito, è d’obbligo menzionare la recente riforma dello Estatuto de los Trabajadores spagnolo operata con la legge 18 novembre 2005, n. 22 (sviluppato a livello regolamentare dal RD 1331/2006), la quale, intervenendo sull’art. 2, comma 1 ET (Relaciones Laborales de carácter especial), ha incluso nella lista dei rapporti di lavoro qualificati come speciali dallo stesso Legislatore un nuovo insieme di lavoratori. Si tratta degli avvocati che prestano servizio in forma subordinata presso uno studio legale, costituito in forma individuale o associata. La novità appare significativa dal momento che si colloca su di
Il problema, in questo caso, consiste nella difficoltà di rintracciare
in dottrina una nozione di specialità universalmente condivisa
392. Questa
viene, infatti, alternativamente ricollegata alla diversità del regolamento
legale (specialità della disciplina applicabile), alla modificazione
strutturale rispetto alla fattispecie tipica (specialità della struttura),
ovvero alla specialità della ratio collegata all’assetto di interessi protetti
(specialità degli interessi)
393. Data l’ambiguità del termine e la
sostanziale irrilevanza di una presa di posizione sul punto ai fini della
presente ricerca, si preferisce non affrontare direttamente la questione
394.
Un’ultima pausa di chiarimento riguarda infine la nozione di
tipo/sotto-tipo contrattuale. Il dibattito sul tema è controverso e tuttora
aperto, ricco di implicazioni teoriche e ricostruttive, ma tutto sommato
un piano di discontinuità con quella tendenza all’espansione delle frontiere del diritto del lavoro che ha legittimato la costruzione della categoria dei rapporti di lavoro speciali e sembra invece inserirsi nella tendenza più recente alla progressiva contrazione di quelle stesse frontiere. La legge n. 22/2005 infatti fonda la specialità del rapporto di lavoro dell’avvocato sul mero fatto che si tratta di lavoratori altamente qualificati che prestano la propria attività in favore di datore di lavoro qualificato dall’essere uno studio legale. Da ciò ne dovrebbe conseguire, secondo la ratio della legge, una minore esigenza di protezione e, dunque, l’assoggettamento ad un regime giuridico diverso e deteriore rispetto a quello proprio del regime generale del lavoro subordinato. Per una critica a tale normativa, si rinvia alle considerazioni di PRADO LAGUNA J.L., Algunas notas sobre la creación de una nueva relación laboral de carácter especial: la de los abogados que prestan servicios en despachos de abogados, RDS, 2005, n. 32, pp. 121 e ss. che avanza dubbi di legittimità costituzionale come conseguenza della possibile violazione del principio di uguaglianza e non discriminazione contenuto nell’art. 14 CE. Anche in considerazione dello speciale meccanismo di “regolarizzazione” previsto per il caso di mancata contribuzione al sistema di Sicurezza Sociale, il dubbio è quello che la riforma sia stata emanata allo scopo di concedere una sorta “amnistia” sul piano contributivo a studi legali inadempimenti.
392
Si è parlato appunto di “eccedenza di significati” della nozione di specialità “che la rende inutilizzabile dal punto di vista concettuale e sistematico”. GHEZZI G., ROMAGNOLI U., Il rapporto di lavoro , Zanichelli, Bologna, 1999, p. 25; ovvero di insufficienza del termine a fini descrittivi e qualificatori. HUERTAS BARTOLOMÉ T., LÓPEZ LÓPEZ J., La ampliación de las fronteras del ..., op. cit., p. 77.
393
La nozione di specialità viene ricollegata ad una pluralità di ragioni. In alcuni casi si fa riferimento alla disciplina applicabile, nel senso che sarebbero speciali i contratti dotati di una disciplina distinta e particolare rispetto a quella prevista per il contratto standard (GHERA E., Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2002, pp. 477 e ss.); altre volte si parla di specialità in ragione dell’esistenza di una deviazione funzionale della finalità tipica del rapporto di lavoro subordinato come nel caso dei contratti c.d. formativi (SANTONI R., Rapporti speciali di …, op. cit. p. 20; GHEZZI G.,ROMAGNOLI U., Il rapporto di lavoro, Zanichelli, Bologna, 1999, p. 25) ovvero della particolare posizione occupata dal lavoratore (lavoro sportivo, domestico, artistico, portierato, etc.). Altre volte, infine, la specialità viene riconnessa alla speciale emergenza di interessi pubblici preminenti connessi alle caratteristiche del contesto nel quale il lavoro viene prestato (lavoro aeronautico, marittimo, portuale, etc.).
394
È stato, d’altra parte, già evidenziato come dietro all’elaborazione della categoria della specialità, si agitano motivazioni ed esigenze di ordine meramente classificatorio. MAZZOTTA O., Diritto del lavoro , Giuffrè, Milano, 2002, p. 112.
irrilevante nel contesto di questo lavoro, soprattutto se si aderisce alla
impostazione di quanti hanno già messo in evidenza che, nel contesto del
diritto del lavoro, la distinzione per tipi e sottotipi (al pari di quella basata
sulla normalità/specialità) delle varie tipologie contrattuali assolve ad una
funzione eminentemente classificatoria e dunque descrittiva
395. Si
concorda dunque con quanti ritengono che l’articolazione del tipo di
lavoro subordinato consista essenzialmente in una mera diversificazione
all’interno dell’ambito del lavoro subordinato, di modalità distinte di
acquisizione del lavoro da parte delle imprese, ciascuna per altro
accompagnata da una disciplina specifica. Per questo motivo, si è deciso
di continuare ad utilizzare i termini tipo/sotto-tipo sia pure in questo
significato per così dire non tecnico, come equivalenti a “modello”,
“figura”, “fattispecie” contrattuale.
II. 2. – Il ruolo assegnato alla contrattazione collettiva in relazione
con l’autonomia privata individuale.
Al di là dei problemi di ordine concettuale sopra accennati, e riprendendo
il filo del discorso iniziato in precedenza, appare importante sottolineare
il ruolo assegnato alla mediazione sindacale nel processo di progressiva
flessibilizzazione del diritto del lavoro.
Nel complesso di una legislazione che cercava modelli di
regolazione dello sfruttamento del lavoro più attenti alle reali dinamiche
economiche e produttive, un ruolo fondamentale venne infatti assegnato
alla contrattazione collettiva. E così, a fronte poi di un quantum di
flessibilità già concesso ex lege all’autonomia individuale delle parti
negoziali, si prevedevano dosi aggiuntive di flessibilità autorizzata, cioè
condizionata alla previa emanazione non solo di provvedimenti di
autorizzazione della Pubblica Amministrazione, ma anche alla previa
regolamentazione qualitativa e determinazione quantitativa (e dunque
all’applicazione) del contratto collettivo. In questo senso, il contratto
collettivo al pari dei provvedimenti amministrativi, veniva abilitato a
svolgere la funzione di rimozione di limiti all’autonomia individuale del
395
È stato già efficacemente argomentato, infatti, che mentre nel diritto civile la classificazione per tipi e sottotipi è funzionale alla individuazione della disciplina applicabile, anche ai fini dell’integrazione di quanto disposto dall’autonomia privata individuale delle parti negoziali là dove carente, nel diritto del lavoro, “la discussione teorica in precedenza descritta (“tipo”, “sottotipo”, “generale”, “speciale”) non ha grande rilievo pratico e tutto si riduce a mere esigenze qualificatorie, prive di profili applicativi concreti”. SPEZIALE V., Il lavoro subordinato tra rapporti speciali …, op, cit. p. 23.
datore di lavoro, imposti da disposizione di legge altrimenti
inderogabili
396.
Il presupposto da cui si partiva era quello di considerare la
contrattazione collettiva quale forma privilegiata per una
regolamentazione più flessibile ed elastica del mercato del lavoro, in
quanto tale, capace di realizzare l’equilibrio preferibile tra nuove
esigenze di flessibilità delle imprese e tradizionali bisogni di protezione
dei lavoratori. Il contratto collettivo finiva per costituire lo strumento
utilizzato dal Legislatore per dare legittimazione sociale ai
“compromessi, di volta in volta concretamente possibili, tra i movimenti
reali del mercato e le esigenze reali dei lavoratori rappresentati”
397;
costituiva il presupposto per accedere a strumenti di flessibilità altrimenti
preclusi alle parti individuali; svolgeva la funzione di verificare in
concreto il quantum di flessibilità tollerabile dal sistema e, con ciò, di
razionalizzare ed indirizzare le scelte imprenditoriali verso criteri di
economicità nella gestione delle imprese e di funzionalità dei processi
produttivi
398.
L’obbiettivo della realizzazione di un sistema razionale di
diversificazione delle porte d’accesso al mercato del lavoro che fosse
maggiormente attento alle esigenze delle imprese non implicava, dunque,
il conseguente abbandono tout court della più tradizionale prospettiva
garantista
399. A differenza del passato, tuttavia, il punto di equilibrio
396 Parla a tal proposito di “legislazione delegante” definita come comprensiva, tra l’altro, di “quelle norme che legittimano la contrattazione collettiva ad introdurre deroghe alla normativa inderogabile di legge in considerazione di particolari esigenze congiunturali o ambientali” in funzione del “processo di graduale smantellamento di taluni vincoli normativi che costituiscono l’ossatura dell’impostazione garantista del diritto del lavoro”, FERRARO G., Fonti autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, DLRI, 1986, pp. 667 e ss. e ora in ID, Autonomia e poteri nel diritto del lavoro , Cedam, Padova, 1992, pp. 74 e ss.
397
TURSI A., L’autonomia collettiva tra promozione e regolazione, LD, 1997, p. 586. 398
DE LUCA TAMAJO R., Garantismo legislativo e mediazion e politico-sindacale: prospettive per gli anni ’80, in DE LUCA TAMAJO R., CESSARI A. (a cura di), Dal garantismo al controllo, Giuffrè, Milano, 1982, p. 51.
399 Si è parlato a tal proposito di passaggio da un sistema di garantismo individuale ad uno di controllo collettivo. Si veda sul punto il volume CESSARI A.,DE LUCA TAMAJO
R. (a cura di), Dal garantismo al controllo, Giuffrè, Milano, 1982. Scrive a tal proposito MONTUSCHI L., Il contratto di lavoro fra pregiudizio e orgoglio giuslavoristico, LD, 1993, p. 25 “Le caute aperture e deroghe alle regole più rigide (in senso garantistico) da parte del legislatore degli anni ’80, non hanno mai revocato in dubbio sino ad oggi, né scalfito la linea storica «dirigistica» ormai consolidata, caratterizzata dal costante prevalere sull’autonomia individuale delle fonti esterne eteronome. Tutt’al più, si è passati da una forma di «protezione forte», d’ordine pubblico-privato, imposta per legge, ad una regolazione flessibile e modulata, filtrata dalla mediazione sindacale, escluso comunque qualsiasi intervento o partecipazione diretta del singolo prestatore di lavoro”. Esemplare è anche il caso della flessibilità autorizzata attraverso la normativa promozionale degli accordi aziendali sulla riduzione degli orari e del salario per
cessava di essere predeterminato rigidamente dal Legislatore e veniva
affidato ad una mediazione sindacale fortemente “sponsorizzata” dalla
legge. Alla contrattazione collettiva veniva affidato insomma il compito
dell’esercizio di funzioni eminentemente pubbliche, o meglio, gli accordi
collettivi finivano per venir funzionalizzati ad un risultato di interesse
pubblico (difesa e incremento dei livelli occupazionali, mediazione tra
flessibilità e garantismo nel mercato del lavoro e regolamentazione dello
stesso), creando non pochi problemi di ordine ricostruttivo e sistematico
in un sistema privo di regole in materia di selezione e legittimazione
democratica degli agenti sociali abilitati e caratterizzato da un’efficacia
soggettiva limitata del contratto collettivo
400.
Il rifiuto di una strategia di flessibilizzazione che seguisse le
ricette elaborate dalle correnti più propriamente neo-liberali, comportò
dunque l’adozione di un modello di flessibilità contrattata con le
organizzazioni sindacali chiamate direttamente in causa nella
determinazione quantitativa e qualitativa delle dosi di flessibilità da
immettere nel sistema. La rinuncia ad un intervento regolativo diretto da
parte della legge nell’ampliamento delle possibilità del ricorso all’istituto
del contratto a termine me ntre per un verso, evidenziava la crescente
inadeguatezza della tradizionale tecnica normativa per norme legali
generali ed astratte rispetto alla soddisfazione delle esigenze di
flessibilità provenienti dal mondo imprenditoriale, per l’altro esprimeva
la consapevolezza che il rinvio alla contrattazione collettiva avrebbe
permesso una preferibile mediazione ed un più ponderato
contemperamento delle contrapposte esigenze di lavoratori ed imprese,
affidato a strumenti e procedure assai più flessibili e malleabili di quelle
consentite dalla disciplina legale. Lo scambio avveniva insomma tra
concessione di limiti meno predeterminati ai poteri imprenditoriali ed una
maggiore “implicazione” sindacale sul punto di incidenza della norma
imperativa. E in questo senso, l’intervento sindacale fu non solo
auspicato ma positivamente promosso dalla Legislazione in materia. Il
datore di lavoro infatti, onde poter beneficiare delle dosi aggiuntive di
flessibilità autorizzata dalla contrattazione collettiva, veniva costretto a
negoziare, e dunque ad applicare in azienda, il contratto collettivo di
autorizzazione. In un sistema quale quello italiano caratterizzato da
un’efficacia limitata del contratto collettivo, l’effetto (almeno potenziale)
di sponsorizzazione dell’autonomia collettiva era evidente.
A questo proposito si dedicherà il paragrafo che segue
all'esemplificazione di alcuni presupposti specialmente significativi nella
prospettiva della c.d. flessibilità contrattata.
difendere o incrementare i livelli occupazionali (contratti collettivi di solidarietà difensivi o espansivi, l. 19 dicembre 1984, n. 863, artt. 1 e 2).
400
Sul punto, D’ANTONA M., Occupazione flessibile …, op. cit. p. 1175 e ss.; PROSPERETTI G., L’autonomia privata tra inderogabilità e flessibilità delle tutele, MGL, 1993, n. 6, pp. 594 e ss.