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Daniele Silvestr

2. Alcuni punti preliminari: un approccio aristotelico.

L’introduzione metodologica che troviamo nel Libro I dell’Etica Nicomachea di Aristotele mi sembra offrire un’importante indicazione per avviare la mia riflessione.5 Aristotele dice:

Non ci sfugga che c'è una differenza tra i ragionamenti che derivano dai principi e quelli che ad essi risalgono. […] Bisogna in effetti iniziare dalle cose note e le cose sono note in due sensi: le une lo sono a noi, le altre invece in assoluto. Senza dubbio allora bisogna che iniziamo da quelle note a noi. E perciò occorre che sia stato educato alla condotta onesta colui che intende seguire con profitto le lezioni su ciò che è bello e giusto e, in generale, sulla politica (poiché in essa principio è il fatto e se questo apparirà sufficientemente chiaro, non ci sarà nessun bisogno del perché).6

La filosofia dell’educazione è, secondo me, una parte della riflessione filosofica che rientra in quella dimensione della praxis nella quale, secondo Aristotele, si deve partire non dai principi, da ciò che è noto in sé, ma dai dati di fatto che sono ciò che è più noto a noi.

Parto quindi da un fatto secondo me incontestabile: l’educazione è una pratica imprescindi- bilmente legata a una dimensione sociale, intendendo con questa espressione non la semplice intersoggettività ma la globalità del gruppo sociale preso in considerazione.

Che la società presa in considerazione sia composta da pochi individui e poco articolata o che sia composta da un numero di membri molto elevato ed estremamente complessa, questo fatto non cambia.

5 Sfrutto le chiare riflessioni in merito di Marcello Zanatta in MARCELLO ZANATTA, Il metodo della ricerca nell'Etica Nicomachea e nell'Etica Eudemia, https://mondodomani.org/dialegesthai/mza01.htm (consultato il 29 agosto 2018). 6 Aristotele, Etica Nicomachea, 1095, 31-32 (trad. Lucia Caiani).

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In sociologia si è cercato spesso di definire quali sono le principali funzioni necessarie al fun- zionamento di un gruppo sociale e fra questi tentativi uno di quelli che ha avuto più seguito è lo schema sistemico AGIL, formulato dal sociologo americano Talcott-Parsons. In esso sono identi- ficate quattro funzioni, ognuna denominata con l’iniziale dell’espressione inglese che la indica: Adaptation, Goal attainment, Integration, Latency. In questo schema il quadrante della “La- tenza” (Latency) è quello che corrisponde alla funzione del mantenimento e della trasmissione dei valori culturali è uno schema che può essere applicato a qualunque soggetto collettivo, di qualunque dimensione e complessità esso sia.7

Possiamo dire che il sistema educativo, semplice o complesso, è l’equivalente della riprodu- zione del codice genetico per gli organismi biologici: per una specie come la nostra della cui natura è parte integrante la cultura, trasmettere alle generazioni successive il proprio patrimo- nio di pratiche e di idee è essenziale per la sopravvivenza del gruppo in quanto tale.

Vedremo successivamente come non sia sufficiente trasmettere fedelmente il patrimonio culturale di un gruppo sociale ma intanto il nostro punto di partenza è questo.

Un’ulteriore conferma da parte di Aristotele di questo orizzonte collettivo è data dal fatto che la trattazione dell’Etica Nicomachea viene definita dallo Stagirita “politica”, escludendo quindi l’idea stessa di una trattazione della praxis individuale distinta da quella della praxis col- lettiva.

Questo punto di partenza ha una conseguenza immediata per il nostro discorso sull’educa- zione: non può darsi un orizzonte educativo costituito esclusivamente dall’individuo, l’educa- zione non può mirare a “costruire individui” se con questo termine indichiamo un’unità auto- noma e collegata solo accidentalmente agli altri individui del gruppo, perché in questo caso la società contraddirebbe se stessa.

Quindi “sistemi educativi” (per quanto detto sopra le virgolette sono d’obbligo) che mirano a formare, per esempio, il perfetto homo oeconomicus sono, a mio giudizio, pressoché un ossi- moro.8 E non molto differente sarebbe un “sistema educativo” che sia improntato a una qualche

forma estrema di individualismo dei diritti.

L’educazione è un’azione che è compiuta da un gruppo sociale al fine di darsi continuità: ovviamente questa continuità c’è se ci sono individui che costituiscono il gruppo sociale ma la loro educazione è finalizzata alla loro armonizzazione con il fine collettivo.9

Questo fine che mira alla collettività si realizza attraverso l’obiettivo intermedio di educare individui che siano integrati nella collettività e che nella loro individualità esprimono attraverso l’agire, la praxis appunto, i valori della società a cui appartengono. Il phronimos e il polites si identificano e unico è il processo educativo che li forma.

Una volta stabilito questo come punto di partenza non possono essere trascurati i limiti di questa visione se essa viene presa unilateralmente. Questi limiti possono essere riassunti col concetto di conformismo.

Ogni gruppo sociale tende all’omeostasi e quindi la novità rispetto alla tradizione viene sem- pre vista con sospetto e addirittura repressa come una potenziale minaccia.

7 Parsons 1951, pp.45-137.

8 Per una critica del paradigma dell’homo oeconomicus già nel primo sorgere di esso all’epoca della rivoluzione indu- striale, si possono leggere i §§182-187 dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel in cui si evidenziano l’elevazione a legge universale del bisogno particolare con la conseguente conflittualità fra gli individui.

9 Differente è il caso, che non è però qui in questione, di un percorso di auto-educazione compiuto da un individuo per se stesso. Qui il fine può essere prettamente individuale anche se, ovviamente, anche un percorso di questo tipo non si crea certo ex nihilo.

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Come Aristotele ci è servito da guida per quanto riguarda il metodo e il punto di partenza per la nostra riflessione, così egli può servirci da esempio di come un approccio a queste tema- tiche unilateralmente comunitario rischia di tradursi in un’accettazione acritica di tutti gli usi e costumi che dalla comunità sono professati e praticati.

Per quanto l’etica aristotelica non si limiti a una pura e semplice giustificazione data ai valori correnti della polis del suo tempo, è vero che più che ricercare prescrizioni a partire dalle quali valutare usi e costumi dell’Atene del suo tempo, egli parte piuttosto dalla descrizione di questi ultimi per fornirne una giustificazione mediante principi; esempio tipico di questo approccio è senz’altro la giustificazione della schiavitù dei non-Greci.10

Se l’educazione non vuole dunque essere soltanto un apparato ideologico in senso deteriore mirante cioè alla continuazione del gruppo intesa solo come totale continuità col passato si deve integrare in essa anche l’equivalente di quello che negli organismi biologici è dato dagli errori di copiatura del DNA, quindi un principio di variabilità che permetta alla cultura del gruppo di evol- versi, funzione che si rivela necessaria – questo termine non va inteso in senso teleologico – per la sopravvivenza in un ambiente che non è sempre uguale a se stesso ma impone all’organismo sempre nuove sfide.

È infatti un dato di fatto, altrettanto indubitabile dell’orizzonte comunitario dell’educazione, quello della fine certa, per estinzione o per marginalizzazione, delle culture che non sanno mo- dificare se stesse.11 Quindi il sistema educativo deve offrire ai membri del gruppo sociale non

solo integrazione culturale ma anche gli strumenti necessari a rendere dinamica questa integra- zione per evitare il rischio di un piatto conformismo che sulla lunga distanza avrebbe effetti de- leteri per la società stessa.

Dobbiamo quindi cercare questo fattore da includere nella nostra prospettiva sull’educa- zione che fornisca al sistema educativo lo spazio della necessaria variabilità che garantisce la capacità adattativa del gruppo sociale di cui quel sistema è l’espressione.