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Daniele Silvestr

3. Il contributo dell’Illuminismo: il concetto di critica.

Nel pensiero occidentale, la riflessione su questo aspetto si è sviluppata nel momento in cui, in un periodo di trasformazioni profonde, la società aveva bisogno per l’appunto di membri che non si limitassero ad assicurare la continuazione delle strutture tradizionali. Questo periodo, per quanto sia maturato lentamente come tutti i processi storici, può essere identificato con l’Illu- minismo.

Nella cultura illuministica, il concetto di critica è, seconda solo all’idea di lume della ragione, da cui deriva, come contrassegno distintivo di questo movimento culturale e tutti i nostri discorsi di pedagogia spicciola sullo “spirito critico” come fine dell’educazione scolastica trovano qui le loro radici.

Per quanto l’idea di critica sia anteriore all’epoca dell’Illuminismo con esempi piuttosto in- teressanti già alla fine del ‘600 e che a loro volta si ricollegavano a idee rinascimentali12, è con la

figura di Kant, che arriva sulla scena verso la fine dell’epoca illuministica quasi a tirarne le somme, che questo concetto diventa centrale ed è proprio attraverso le sue opere che cerche- remo di trarre gli spunti necessari alla nostra riflessione.

Prima di affrontare però il pensiero del kantiano vorrei fare un veloce accenno alla voce Critique13 della Encyclopédie di Diderot e D’Alemebert, voce che è stata scritta da Jean-François

Marmontel. Lo scrittore francese nella voce Critique divide la funzione critica in due ambiti: nelle

10 Per un esame equilibrato di questo aspetto si veda Ademollo, Vegetti, 2016 p.187.

11 Sempre per riprendere lo schema AGIL di Talcott-Parsons, il primo quadrante di esso è quello relativo alla funzione Adaptation, adattamento.

12 Per una storia del concetto, cfr. Koselleck 1959 pp.114-170. 13 Marmontel 1751, trad.it. pp.215-219.

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scienze, sia storiche che naturali, e nelle arti liberali. Nelle prime la critica ha la funzione di emet- tere un giudizio di verità su delle affermazioni che si vogliono scientifiche e proprio per questo aspirano a esprimere delle verità. Nelle seconde, invece, essa serve a esprimere giudizi sul valore estetico di un’opera d’arte.

Già in questo esempio che appartiene alla fase centrale dell’Illuminismo troviamo i due si- gnificati di critica che sono stati lasciati in eredità all’epoche successive: il primo che è veicolato dalla nostra espressione “spirito critico” e il secondo che è invece espresso dall’uso contempo- raneo del termine “critica” applicato all’ambito artistico.

Ma passiamo ora a Kant.

Se pensiamo alla filosofia kantiana, l’idea di critica balza subito all’attenzione fin dal titolo delle sue tre opere principali che contiene sempre la parola Kritik. Ma cosa intende il filosofo tedesco con questo termine? Perché il suo progetto filosofico si definisce come una filosofia critica? Ascoltiamo quanto lui stesso dice nella Prefazione della Critica della ragion pura:

Frattanto, questa indifferenza [rispetto alla conoscenza filosofica ndr] che s'incontra proprio in mezzo al fiorire di tutte le scienze, e che tocca appunto quella, alle cui conoscenze, se fosse possibile averne, meno si vorrebbe rinunziare, è un fenomeno che merita attenzione e riflessione. Non è per certo effetto di leggerezza, ma del giudizio maturo dell'età moderna, che non vuole più oltre farsi tenere a bada da una parvenza di sapere, ed è un invito alla ragione di assumersi nuovamente il più grave dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sé, e di erigere un tribunale, che la garantisca nelle sue pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno fondamento, non arbitrariamente, ma secondo le sue eterne ed immutabili leggi; e questo tribunale non può essere se non la critica della ragion pura stessa.14

Per Kant, la critica è l’istituzione di un tribunale della ragione che sappia emettere un giudizio certo sull’affidabilità della ragione stessa nel suo uso puro, cioè non empirico, un giudizio che non sia arbitrario ma fondato sulle leggi che rendono possibile l’uso della ragione stessa, sulle condizioni di possibilità del suo funzionamento, leggi che Kant ritiene di poter stabilire mediante il metodo trascendentale.

Ritroviamo qui, in modo assai più articolato, quanto abbiamo già trovato nello scritto di Mar- montel: critica è emettere giudizi di verità o falsità e prima ancora di possibilità, giudizi che per Kant devono prima di tutto essere riflessivi, cioè essere emessi dalla ragione su se stessa mentre, per l’autore francese, questi giudizi erano rivolti solo a oggetti esterni.

Questi giudizi che la ragione deve emettere su stessa (e presumibilmente, una volta delimi- tato il proprio raggio d’azione, anche su oggetti a essa esterni) richiedono l’acquisizione di una determinata maniera di pensare, obiettivo che costituisce il progetto stesso dell’Illuminismo e che Kant espone in uno scritto che, per quanto minore, rispetto alle più impegnative Critiche, è però giustamente famoso: parliamo ovviamente dell’articolo Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo, pubblicato nel 1784 sulla rivista Berliner Monatschrift. Il pensiero che è in via di rischiaramento ha per Kant caratteristiche precise che gli permettono a buon diritto di “sedere in tribunale” e la prima di queste caratteristiche è enunciata fin dalle prime parole del testo:

Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è

l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell’illuminismo.15

14 Kant, Critica della ragion pura 1781, trad.it. A XI-XII.

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Questo pensiero è dunque capace di pensare da solo, di essere autonomo nel proprio fun- zionamento senza lasciarsi ingabbiare, per paura o per pigrizia, dal nemico giurato dell’Illumini- smo e cioè dal pregiudizio. Questa parte è ben nota e ha costituito il fondamento per molti pro- getti educativi all’insegna dell’emancipazione intellettuale e sociale del soggetto.

Altrettanto ben nota, ma forse non altrettanto usata come principio pedagogico è quest’al- tra parte del testo:

È dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. […] Che invece un pubblico si rischiari da sé, è cosa più possibile; e anzi, se gli si lascia la libertà, è quasi inevitabile. […] A questo rischiaramento, invece, non occorre altro che la libertà; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi.16

Con questa affermazione, Kant vuole indicare la dimensione collettiva dell’acquisizione dell’autonomia del pensiero, obbiettivo che, se ricercato in modo solo individuale, sarebbe dif- ficilmente raggiungibile. Questo processo di rischiaramento è lento, difficile ma realizzabile se affrontato nel dialogo che si svolge nello spazio pubblico che il filosofo chiama “uso pubblico della ragione”. Questa dimensione sociale dell’uso della ragione e della sua autonomia è pro- fondamente innervata nella filosofia kantiana: basti pensare alle formulazioni dell’imperativo categorico e soprattutto alla terza di esse che lo studioso del pensiero kantiano Henry Allison ha qualificato come intersoggettiva.17

Il giudizio della ragione, per Kant, non è dunque opera di un giudice “monocratico” ma piut- tosto di un “collegio giudicante” ideale, di una giuria che collettivamente esamina pro e contro fino a pronunciarsi. In chiave educativa, il dialogo che si instaura all’interno di un processo for- mativo mi sembra una realizzazione importante di questa prospettiva kantiana.

Vorrei fare un’ultima annotazione: il modo con cui giudizio e autonomia del pensiero sono descritti nell’opera filosofica kantiana ci permette di tracciare un confine, secondo me netto, fra quest’idea di critica e il cosiddetto critical thinking importato dal mondo anglosassone e oggi così di moda anche da noi e che sembra riassumere per molti l’obiettivo dell’educazione stessa.18

Esso è senz’altro importante ma si può ridurre a una tecnica di verifica del proprio e dell’al- trui ragionamento che viene condotta sulla tenuta logica delle affermazioni, verifica fatta però in modo avalutativo. La nozione di critica che l’Illuminismo, e in modo particolare Kant, ci hanno lasciato in eredità ha un peso etico molto più ampio, è nozione filosofica in senso pieno e non solo (mi scusino i logici) logico-argomentativa. L’appiattimento della critica solo sul critical thin- king, oggi frequente, mi sembra pericoloso perché rischia di limitarsi a verificare la coerenza logica dell’affermazioni a partire dai principi di partenza ma rischia di lasciare quegli stessi prin- cipi non messi in discussione nella loro valenza etica più generale.

Giudizio e autonomia del pensiero che giudica rispetto a pre-giudizi sono quindi i lasciti che l’idea illuministica di critica ci consegna nella costruzione di un’idea di educazione e per la ricerca di strumenti adatti a educare i membri della nostra società a questi habitus.19

16 Ivi.

17 Allison 2011 p.239.

18 Anche qui si può citare il documento ministeriale sull’insegnamento della filosofia come esempio di questa infatua- zione.

19 La mia conclusione non è certo originale. Non è un caso che una delle più diffuse tassonomie per gli obiettivi edu- cativi, quella di Bloom, abbia come suo punto culminante la capacità di giudicare e valutare; cfr Bloom 1956, pp. 185- 200.

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