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Lucia Zigliol

3. Questioni meta-filosofiche.

Prima di entrare nel merito della didattica e fornire qualche suggerimento di lavoro, è op- portuno affrontare alcune questioni meta-filosofiche che si presentano al docente di filosofia nel momento in cui si pone l’obbiettivo di insegnare ai propri studenti ad argomentare:

1) Lo studio e l’esercizio della pratica dell’argomentazione può essere oggetto di appren- dimento a sé, eventualmente propedeutico alla disciplina, o è parte integrante del fare filosofia?

2) Lo studio della filosofia è di per sé sufficiente a formare abilità di ragionamento e argo- mentative?

Entrambe queste domande implicano questioni molto complesse sulla natura del far filoso- fia e della didattica della filosofia, sulle quali non c’è l’accordo della comunità filosofica. Le pos- sibili risposte possono essere molto diverse tra loro a seconda della concezione di filosofia che si assume e da quali si ritengono essere gli obbiettivi prioritari del suo insegnamento. È tuttavia essenziale che il docente se le ponga e chiarisca la propria posizione in merito, qualunque essa sia, affinché possa progettare consapevolmente la propria attività didattica. In nessun caso l’ob- biettivo formativo di promuovere competenze argomentative verrà meno, ma potrà cambiare, anche notevolmente, la modalità con cui si imposta il lavoro.

Vediamo ora le questioni più da vicino.

1) Lo studio e l’esercizio della pratica dell’argomentazione può essere oggetto di appren- dimento a sé, eventualmente propedeutico alla disciplina, o è parte integrante del fare filosofia?

La domanda nasconde in sé almeno due grandi questioni: la prima è se vi sia un aspetto “tecnico” del procedere argomentativo proprio della filosofia che sia isolabile dal singolo conte- sto d’uso e dal suo contenuto e analizzabile di per sé; la seconda è se lo studio delle regole del ragionamento corretto possa (o debba) servire da propedeutica allo studio della filosofia.

Non si tratta naturalmente di questioni di poco conto o facilmente accantonabili. Il rischio evidente nel voler individuare un insieme di tecniche apprendibili in astratto, addirittura prima di entrare nel vivo delle questioni, è quello di ridurre la disciplina alla mera applicazione di pro- cedure e quindi snaturare la complessità del lavoro filosofico. Questa è la critica spesso rivolta a

13 Per un confronto tra due esempi di analisi dello stesso testo, una linguistica e l’altra logico-argomentativa o prettamente filosofica, e delle loro diverse finalità formative si veda lo studio di Pietro Alotto, Analisi linguistica o

Analisi logico-argomentativa. Ancora sulla traccia B della prima prova dell’Esame di stato, 29 ottobre 2018, URL =

https://medium.com/@pietro.alotto/analisi-linguistica-o-analisi-logico-argomentativa-798213ed0a3f?fbclid=IwAR3- V-DNCUIk06PYjGEWQ4xvjZ9CZ_-5_abcwTfMh660RpP2We3bnsxaxrQ.

14 Si aprirebbe qui l’annosa questione del perché in Italia solo alcuni studenti abbiano il privilegio di studiare filosofia e non tutti, posto che lo sviluppo di un pensiero critico e di capacità argomentative sia obbiettivo formativo della Scuola tutta e condizione imprescindibile di una cittadinanza consapevole e partecipata.

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tutti coloro che, richiamandosi a Kant e al suo celebre monito che non si possa insegnare la filosofia ma solo a filosofare, insistono sulla necessità di riflettere e lavorare con gli studenti sull’esercizio filosofico, sui suoi metodi e sulle sue procedure, più che sui singoli contenuti. In realtà, sottolineare l’importanza di far apprendere un modus operandi piuttosto che un insieme di teorie non dovrebbe venir inteso a discapito o in conflitto con l’insegnamento dei contenuti della disciplina. Del resto, non lo era nemmeno per Kant che, pur riconoscendo un lato tecnico della ragione, un insieme di capacità prerequisito essenziale al ragionare filosofico, non inten- deva affatto ridurre la filosofia ad applicazione tecnicistica di procedure, rischio in cui a suo av- viso cadeva invece la filosofia scolastica.15 La filosofia in quanto scienza deve orientare le proprie

abilità e tecniche, quindi l’aspetto metodologico, alla realizzazione del suo fine ultimo, che è quello di esercitare una ragione libera e autonoma nella chiarificazione e definizione delle pro- prie conoscenze. In questo senso, la filosofia si muove sempre nell’intreccio di forma e conte- nuto, impiegando e finalizzando la rigorosità metodologica e discorsiva alla ricerca del vero in- torno a un concetto. Porsi come obbiettivo didattico, fra gli altri, quello di esplicitare caratteri- stiche, potenzialità e limiti degli strumenti e delle metodologie argomentative proprie della filo- sofia non significa quindi dimenticare che non è possibile apprendere a filosofare prima di fare filosofia; significa semmai riconoscere e apprezzare appieno la specificità del procedere filoso- fico e farne oggetto dichiarato di studio e riflessione.

Ma che cosa definisce il procedere argomentativo della filosofia e quali aspetti possono eventualmente venir astratti dal contenuto? Vi è sicuramente un aspetto formale dell’argomen- tare che riguarda la validità delle inferenze del ragionamento. Di essa si occupa la logica, che nata in seno alla filosofia se ne è progressivamente distaccata sino a divenire una vera e propria disciplina a sé stante. Allo stesso modo, oggetto di studio a sé stante può essere il ragionamento scorretto: le fallacie logiche vengono esaminate, classificate, e studiate a prescindere dallo spe- cifico contesto d’uso.16 Avere alcune nozioni basilari di logica, delle regole del discorso e delle

principali fallacie logiche è sicuramente un prerequisito importante per avvicinarsi all’esame di questioni complesse, non solo filosofiche. Generalmente si dà per scontato che l’alunno giunto al suo terzo anno di scuola – quando incontrerà filosofia se frequenta un liceo – abbia già matu- rato un bagaglio minimo di questi prerequisiti. Se così non fosse, lavorare alla costruzione di questo bagaglio per il docente di filosofia sarebbe indispensabile.

Occorre tuttavia riconoscere che, quand’anche raggiunta, la padronanza delle regole formali del ragionamento corretto non garantisce di per sé la capacità di sapere argomentare efficace- mente e appropriatamente, né di saper riconoscere un “buon” argomento da uno “cattivo” ri- guardo ad una questione specifica.

Quando ci si impegna nell’argomentazione di una tesi si ambisce a qualcosa in più della cor- rettezza logico-formale del ragionamento. Nel momento in cui un filosofo produce un argo- mento, generalmente lo fa con l’ambizione di avvicinarsi alla verità su quella questione e, possi- bilmente, di persuadere colui che ascolta o legge a seguirlo in questo cammino di ricerca e sco- perta. Lo studio della logica e delle fallacie del discorso sono strumenti indispensabili per co- struire un argomento formalmente corretto ed evitare i più comuni errori del ragionamento, ma non sono sufficienti a sviluppare un discorso significativo e pregnante in merito ad un qualsiasi tema di discussione. Per questo occorre una certa conoscenza del tema, almeno nei suoi aspetti fondamentali, e la consapevolezza degli assunti e dei presupposti necessari per comprendere la questione.

Non si può argomentare filosoficamente, ad esempio, a favore o contro la pena di morte senza aver chiarito il concetto di “pena” nelle sue varie dimensioni (giuridica, morale, storico- culturale, ecc.), quali fini si propone di raggiungere la pena e sulla base di quale nozione di uomo

15 Sulla complessità dell’impostazione kantiana spesso travisata da chi si rifà alla sua distinzione tra filosofia e filosofare, ha richiamato l’attenzione L. Illetterati nell’Introduzione al volume a sua cura Insegnare filosofia, Utet,

2007, pp. IX-XXVII. Si veda anche, nello stesso volume, il contributo di G. Micheli, L’insegnamento della filosofia

secondo Kant, in Insegnare filosofia, cit., pp. 136-159.

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e di società. Senza un adeguato chiarimento di tutti questi e probabilmente altri aspetti della questione, l’argomentazione si abbasserebbe a semplice esternazione di preferenze immotivate e non pienamente comprensibili.

Tornando quindi alla domanda se sia possibile fare della teoria dell’argomentazione un og- getto di studio a sé, magari propedeutico alla filosofia, la mia risposta è: solo in parte. Lo è per le caratteristiche formali che definiscono la correttezza o meno di un’inferenza (esame delle leggi logiche e delle principali fallacie argomentative); non lo è e non lo può essere per quanto riguarda la verità o plausibilità delle tesi sostenute, l’esame dei presupposti più o meni impliciti e delle implicazioni, e la valutazione della persuasività dell’argomento all’interno del dibattito sulla questione. Per tutti questi aspetti, l’esame e l’esercitazione dell’argomentazione filosofica non può ridursi all’apprendimento di qualche tecnica o procedura formale isolata dallo studio della disciplina, ma si presenta come un momento costitutivo del fare filosofia.

2) Lo studio della filosofia è di per sé sufficiente a formare abilità di ragionamento e argo- mentative?

Non necessariamente. Dipende, evidentemente, da come la filosofia viene insegnata e ap- presa. Non si tratta dell’annosa questione “storia della filosofia vs. filosofia per problemi”, quanto piuttosto se la filosofia venga insegnata bene o male. Occorre guardare, ossia, a se l’in- segnamento della filosofia sia fatto in funzione della promozione negli studenti di un pensare autonomo e razionale: di un pensare il quanto più possibile libero da condizionamenti (di carat- tere storico, culturale, linguistico, psicologico, ecc.) irriflessi e non tematizzati, e rigoroso nel suo procedere e inferire. Si potrebbe obbiettare che un insegnamento che non ambisca a promuo- vere un processo di pensiero autonomo e razionale non sia in realtà propriamente nemmeno un insegnamento filosofico; certamente sarebbe quantomeno un cattivo modo di fare filosofia. Non è sufficiente apprendere cosa hanno detto “i filosofi” riguardo ad una certa questione per poter dire di aver appreso a filosofare, né tantomeno per poter dire di aver compreso la specifi- cità del discorso filosofico rispetto ad altre tipologie di discorso.

Se l’insegnamento della filosofia viene fatto al meglio, qualsiasi sia la scelta dei contenuti affrontati e delle specifiche metodologie didattiche adottate, il docente non si limiterà a tra- smettere qualche nozione o formula astratta a proposito del pensiero di Platone o di Cartesio o del dibattito meta-etico o epistemologico, ma lavorerà affinché lo studente si impadronisca di quelle tesi cogliendone la complessità e le criticità, riflettendo sui loro presupposti e le loro im- plicazioni e giunga a saper riformulare con parole proprie quel pensiero, magari esprimendone uno proprio in merito. Il pensare filosofico esige che si proceda scientificamente, con rigore e metodo, che si apportino ragioni a favore o contro una tesi e che si sappiano individuare, lad- dove presenti, debolezze nelle tesi avversarie; esige che si definiscano i concetti usati, che si sottoponga a critica e discussione qualsiasi argomento, anche i propri; e richiede, soprattutto, che tutto ciò venga fatto non per amore di dibattito, ma con l’obbiettivo di migliorare la nostra conoscenza e comprensione di una data questione.

Per apprendere un contenuto filosofico, spiegava ad esempio Hegel, è necessario ripensare quel contenuto: saper cogliere quanto in esso vi è di vero e di universale e quanto in esso vi è di contingente, soggettivamente o storicamente determinato. Per fare ciò non si può prescindere da certe competenze proprie del filosofare, da una sua specifica professionalità.17 Di questa pro-

fessionalità del lavorio filosofico fanno senz’altro parte anche tutta la serie di abilità e compe- tenze argomentative menzionate sopra.

Per rispondere quindi alla seconda domanda, lo studio della filosofia – se fatto adeguata- mente – può e deve costituire un momento di formazione, promozione, ed esercitazione, tra le altre cose, dell’argomentazione. Ogni studio serio di un pensiero altrui è comprensione e appro- priazione della struttura logico-argomentativa che sorregge e giustifica quel pensiero. Il docente

17 G.W.F. Hegel, Sämtliche Werke, Bd. 21, Nürnberger Schriften, a cura di J. Hoffmeister, Meiner, Lipsia 1938; trad. it. parziale in La scuola e l’educazione. Discorsi e relazioni (Norimberga 1808-1816), a cura di L. Sichirollo e A. Burgio, Franco Angeli, Milano 1985.

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di filosofia dovrebbe quindi lavorare per promuovere negli studenti la capacità di valutare e ri- proporre autonomamente il procedere argomentativo proprio della filosofia: quello svolgi- mento del discorso che tenta – non senza possibili inciampi e fallimenti – di sviluppare un ragio- namento in maniera rigorosa, logicamente salda e senza dare nulla per scontato, ma chiarendo eventuali presupposti impliciti e possibili implicazioni di ogni tesi. Presupposti che non sempre il singolo autore rispetta – com’è noto a chi si occupa di teoria dell’argomentazione, le ragioni della persuasione non coincidono esattamente con quelle di un corretto argomentare –, ma che lo studioso (e lo studente) deve conoscere se vuole poter anzitutto comprendere e poi giudicare le argomentazioni incontrate in un testo, e ancor di più se vuole partecipare alla discussione esprimendo il proprio pensiero in questione.

Naturalmente il docente di filosofia potrà scegliere di lavorare sull’argomentazione in ma- niera implicita, lasciando che lo studente maturi queste competenze attraverso lo studio della disciplina; oppure potrà decidere di rendere esplicito questo obbiettivo formativo facendo della teoria dell’argomentazione e delle sue principali regole un oggetto di studio e riflessione. L’opi- nione personale di chi scrive è che quest’ultima opzione risulti particolarmente proficua a ren- dere gli alunni consapevoli dei diversi elementi in gioco quando si decide di avanzare un argo- mento o di valutarne uno altrui. Si pone però allora la questione di come realizzare questo ob- biettivo formativo.