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Lucia Zigliol

2. Un compito condiviso e il contributo del docente di filosofia.

Apprendere ad argomentare correttamente ed efficacemente è un obbiettivo formativo molto complesso e ambizioso, che probabilmente non può mai considerarsi definitivamente rag- giunto. Nonostante ciò, è un obbiettivo che la Scuola deve perseguire, e lo è, lo si è visto, per molte importanti ragioni che hanno a che fare con la formazione della nostra persona e con il vivere in comunità.

Proprio per la sua importanza e complessità, il compito di preparare gli studenti ad un cor- retto uso dell’argomentazione non può essere demandato ad un singolo docente, ma deve es- sere obbiettivo formativo comune di tutte le discipline. Anzitutto, l’argomentazione – nelle sue diverse modalità e finalità – è centrale in tutti gli ambiti del discorso (non solo quello umani- stico). In secondo luogo, la teoria dell’argomentazione, l’ambito di studio specificatamente volto alle problematiche del discorso argomentativo, ha una natura intrinsecamente interdisciplinare e include lo studio di principi e pratiche di diverse discipline (quali la logica, retorica, linguistica, filosofia, psicologia, sociologia, estetica, politica, teoria della comunicazione), senza essere pre- rogativa esclusiva di una di queste fra le altre.

Lo studio teorico e pratico dell’argomentazione non può pertanto ridursi all’apprendimento di alcuni principi e regole formali della logica e della linguistica (che pur determinano aspetti fondamentali dell’argomentare), ma necessita inevitabilmente di uno sguardo più ampio. Men- tre, infatti, la logica studia il singolo ragionamento isolato, preso nella sua astrazione, la teoria dell’argomentazione guarda alla concatenazione e allo scontro tra ragionamenti in una dimen- sione dialogica.7 Un’argomentazione è efficace se oltre ad essere vera e formalmente valida è

anche persuasiva per l’ascoltatore (e come i retori e i sofisti sapevano bene, il criterio di persua- sività non coincide necessariamente con quello di verità). Sono fattori importanti anche il con- testo della discussione, gli assunti impliciti o espliciti dei dialoganti, le loro conoscenze pregresse e, non da ultimo, gli scopi più o meno dichiarati del loro argomentare. Il successo di un’argo- mentazione dipende quindi anche da considerazioni di natura psicologica, storico-culturale, mo- rale e persino estetica; soprattutto, ed è questo l’aspetto che ci preme sottolineare in questa sede, dipende da questioni di natura filosofica.

Affinché un argomento funzioni e venga accettato come formalmente valido e contestual- mente efficacie, occorre anzitutto che ci sia un qualche accordo sulla natura della razionalità: occorre, ossia, individuare i criteri secondo i quali un argomento può essere accettato o meno da una comunità di parlanti. Una teoria dell’argomentazione presuppone pertanto sempre una teoria della razionalità. In letteratura ci si riferisce a questo intreccio di questioni come al net- work problem,8 ossia alla difficoltà di definire le nozioni di “argomento” o di “ragionamento” in

maniera indipendente l’una dall’altra e da tutta una rete di concetti ad essi connessi, come quelli di “conoscenza”, “pensiero”, “intelligenza”, “razionalità”, “inferenza”, “implicazione”.

Comprendere, inoltre, quando un argomento, oltre ad essere formalmente valido, è anche ritenuto vero significa presupporre una qualche teoria della verità, e preoccuparsi di ricostruire le conoscenze sulla questione che i partecipanti alla discussione condividono. Ecco allora che l’analisi di un argomento non è mai isolabile da questioni epistemiche di fondo (teoria della ra- zionalità e della verità in primis), dall’analisi del suo contenuto, ossia dall’oggetto del quale si sta discutendo, e dal sapere che si ha di quell’oggetto al momento della discussione.

7 F. D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Torino 2010. 8 R.H. Johnson, Reasoning, Argument and The Network Problem, «Protosociology», Vol. 13, 1999, pp. 14-28.

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Porsi domande del tipo “le premesse di questo argomento sono vere?”, “sono giustificate?”, “l’argomento risponde ai criteri di razionalità della comunità di riferimento?”, ecc. è evidente- mente un esercizio filosofico, che chiama in causa alcune delle questioni fondamentali della fi- losofia. È soprattutto un esercizio che, nell’esame di diverse forme di argomentazione, mette in discussione differenti modelli di razionalità, a conferma del fatto che per insegnare ad argomen- tare bene occorre in primo luogo chiarire che cosa sia un “buon” argomento e quindi riflettere sulle nostre concezioni di razionalità, conoscenza, pensiero e altro ancora.9 Ed è proprio in ra-

gione di tutte queste considerazioni sulla natura dell’argomentare che un ruolo fondamentale ci sembra spetti al docente di filosofia.

La filosofia può e deve contribuire all’apprendimento di teorie e pratiche dell’argomenta- zione non solo in ragione della sua naturale vocazione a interrogarsi su questioni fondamentali inerenti al pensiero, al linguaggio e alla conoscenza, bensì in virtù anche del suo stesso modus operandi. La filosofia fa dell’argomentazione rigorosa, della “scrittura non creativa” (per ripren- dere qui il titolo di un bel libro di Santambrogio),10 se non l’unico mezzo, certamente uno dei

mezzi privilegiati del proprio operare. Pur nella molteplicità delle concezioni di filosofia che con- vivono all’interno della disciplina e dei diversissimi stili di scrittura che ne danno voce, è infatti proprio il procedere argomentativo volto alla chiarificazione, definizione, problematizzazione di un pensiero o di un concetto ciò che caratterizza la disciplina e ne fonda il suo statuto scientifico. Affermando ciò non si vuole sostenere che la filosofia sia riducibile ad una teoria e pratica dell’argomentare – questa non è né l’origine del bisogno della filosofia, né il fine che orienta il suo lavoro –, quanto riconoscere l’importanza che il procedere argomentativo, nella sua speci- ficità per ogni autore e contesto, svolge nel definire e sorreggere il discorso filosofico. Appren- dere a filosofare implica, tra le altre cose, imparare a comprendere, prima, e a produrre, poi, un giudizio ragionato su una questione: il che significa acquisire una certa consapevolezza delle principali regole che reggono un discorso, ma anche dei molti possibili fattori che possono de- terminare l’accettabilità o meno di una tesi (pregiudizi, assunzioni implicite o esplicite, teorie di riferimento, conoscenze, ecc.).

La capacità di saper discriminare, valutare, ed opportunamente impiegare nella loro diver- sità tutti questi elementi che costruiscono un discorso viene tradizionalmente definita con la formula, spesso abusata e poche volte chiarita, di pensiero critico.11 Ora è proprio questa “criti-

cità” di pensiero quanto ci si aspetta che la Scuola formi accanto alle specifiche competenze disciplinari. Si veda al riguardo un altro passaggio del Documento di lavoro per la preparazione delle tracce della prima prova elaborato dalla Commissione del Miur per la riforma dell’Esame di Stato:

Quanto alla produzione dell’elaborato scritto, saranno oggetto di valutazione gli aspetti formali ed espres- sivi e la capacità di sviluppare un discorso critico. I primi si riferiscono in particolar modo all’organizzazione testuale (quindi alla coerenza e coesione, all’articolazione e alla pianificazione degli argomenti), alla cor- rettezza ortografica, morfosintattica e al corretto uso della punteggiatura, oltre che alla ricchezza e pa- dronanza lessicale. Per quanto riguarda il contenuto vanno considerate la componente ideativa e inter- pretativa, l’utilizzo di conoscenze relative all’argomento affrontato, la pertinenza delle argomentazioni e la capacità di esprimere e motivare giudizi critici e valutazioni personali» (corsivo mio).12

9 Sul legame tra teoria dell’argomentazione e teoria della razionalità e sulla funzione anche critica esercitata dalla prima rispetto alle possibili forme di razionalità adottabili hanno insistito Paola Cantù e Italo Testa in Teorie

dell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo, Mondadori, Milano 2006, pp. XVII-XVIII. 10 M. Santambrogio, Manuale di scrittura non creativa, Laterza 2006.

11 Per una ricostruzione della storia del termine ‘Critical Thinking’ e delle diverse implicazioni filosofiche dei suoi vari significati si veda: D. Hitchcock, "Critical Thinking", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall 2018 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = https://plato.stanford.edu/archives/fall2018/entries/critical-thinking/.

12 Miur, Documento di lavoro, cit., URL = http://www.miur.gov.it/documents/20182/0/documento+di+lavoro.pdf/ 051e56ce-1e57-471d-8c9f-9175e43b8c0c.

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In queste poche righe viene ribadita l’impossibilità di ridurre la competenza argomentativa al rispetto di aspetti tecnici e formali del discorso. Per apprendere a leggere, ascoltare, pensare e argomentare criticamente serve sì una buona padronanza lessicale e competenza ortografica e grammaticale, ma a tutto ciò si deve aggiungere la conoscenza delle principali regole logiche e delle strutture argomentative, il possesso di alcune pratiche retoriche che regolano la persua- sività e l’efficacia di un discorso, e la capacità di saper valutare la pertinenza e l’appropriatezza degli argomenti incontrati. Aspetti, questi, per i quali il contributo del docente di filosofia è fon- damentale e si pone ad integrazione, non in competizione, con quello del docente di lettere.13

Se si accetta e magari auspica che lo studio e la pratica dell’argomentazione abbia come obbiettivo formativo non solo la capacità di produrre un discorso linguisticamente e logicamente corretto, ma anche di saperlo comprendere e valutare criticamente, allora la filosofia è diretta- mente chiamata in causa a collaborare al raggiungimento di questo importante obbiettivo. Si tratta ora di capire come possa il docente di filosofia nello svolgimento della sua attività didattica – laddove presente14 – contribuire alla formazione di queste competenze.