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Il contributo del pensiero critico-filosofico nell’agire formativo L’esperienza della Fi losofia nel Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione e Formazione

Giovanni D’Elia

La riflessione trae origine dall’esperienza vissuta concretamente nel corso di studi in Scienze dell’Educazione e della Formazione32 (L-19) e tenta di restituire il contributo che la riflessione

teoretica è capace di apportare ai processi formativi. La “legge Iori” del 2017 normalizza la figura dell’educatore professionale socio-pedagogico (oltre che del pedagogista) definendolo come «un professionista che svolge funzioni intellettuali con propria autonomia scientifica e respon- sabilità deontologica, con l’uso di strumenti conoscitivi specifici di tipo teorico e metodologico, per la progettazione, programmazione, intervento e valutazione degli esiti degli interventi edu- cativi e supervisione, indirizzati alla persona e ai gruppi, in vari contesti educativi e formativi, per tutto il corso della vita, nonché con attività didattica di ricerca e di sperimentazione».33

32 Esperienza vissuta come studente del corso. Laureato in Scienze dell’Educazione e della Formazione con una tesi in Filosofia teoretica e Metodologia della ricerca, afferisco all’unità di ricerca in Fenomenologia della Relazione comunicativa (responsabile scientifico prof.ssa Gabriella de Mita) del Centro interuniversitario di ricerca “Laboratorio di Gruppoanalisi ed Epistemologia” – Università degli studi di Bari, Genova e Verona.

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Ci si riferisce, dunque, alla capacità intellettuale dell’educatore professionale di saper coniu- gare il sapere teorico con l’aspetto metodologico attraverso la costruzione di un sapere pratico- progettuale come fondativo delle scienze dell’educazione. Ne consegue una competenza meto- dologica capace di leggere l’hic et nunc del processo formativo e che sia in grado di validarlo al di là di ogni standardizzazione e di ogni didatticismo. È in questa zona critica, ad alto tasso di possibilità, che si può intercettare il contributo critico-filosofico nella sfera pedagogica sia come atteggiamento conoscitivo capace di andare oltre ogni datità della relazione, sia come esercizio che permette di ritornare alle cose stesse mettendo al centro il soggetto e rileggendo l’espe- rienza formativa in senso eidetico.

1. Ri-pensare i processi formativi: una prospettiva fenomenologica.

Pensare al contributo della filosofia nell’agire formativo significa dare vigore all’humus cul- turale cui attinge la pratica educativa fondando una prassi che, nel suo rigore scientifico, tenga conto dell’umano insito in ogni persona e che sia capace, volta per volta, di fissare i fini, gli obiet- tivi e i valori di ogni processo educativo. La scientificità pedagogica passa dall’esigenza di senso, ovvero dalla capacità di andare oltre la spiegazione tecnica dei processi formativi per attribuire ad essi un senso ed un significato. La lettura fenomenologica, pertanto, va oltre la comprensione logico-razionale dei fatti educativi e cerca di giungere alla concretizzazione di un senso che derivi direttamente dall’esperienza vissuta cercando di guardare la realtà libera da pre-giudizi. Si tratta di far proprio quell’atteggiamento di sospensione del giudizio che attiene all’esercizio dell’Epo- chè fenomenologica di matrice husserliana. «Noi avremo, nell’atteggiamento fenomenologica- mente modificato, una scissione dell’Io: al di sopra dell’Io ingenuamente interessato al mondo si stabilirà un Io fenomenologico come spettatore disinteressato».34

È tale impostazione che permette di ripensare in chiave fenomenologica i processi formativi: guardare alla persona non soltanto come un fenomeno frutto di una percezione individuale, ma nel suo esserci negli Erlebnisse che attengono al Mondo-della-vita. Il pensiero teoretico con- sente, pertanto, di allenare lo sguardo pedagogico ad un movimento “dentro-fuori” che per- mette di accogliere le istanze dell’altro evitando di fungere da cointeressati e di proiettare il proprio mondo su quello dell’altro. «Noi produciamo in noi, appunto, un orientamento partico- lare e abituale agli interessi, adottiamo un certo atteggiamento professionale che implica un certo tempo professionale»:35 il tempo in cui si è capaci di stare nella relazione guardandola

continuamente da prospettive diverse, rimettendo in discussione i risultati raggiunti e ri-fondan- doli alla luce dell’intenzionalità del soggetto e dei contesti.

2. Intenzionalità e contesti formativi.

Parlare di intenzionalità nei contesti formativi significa dare origine ad un percorso che sia capace di rilevare le istanze educative collocandole nella specificità di un contesto in cui si rea- lizzano le relazioni.36 «L’intenzionalità nella sua forma originaria è un attuale mirare-a, un con-

seguire e, nel conseguimento, avere un avere».37 È una modalità con la quale la coscienza del

soggetto stabilisce una relazione con l’oggetto cui si sta riferendo: trascende sé stessa e coglie la realtà fenomenologicamente costituita. Il fine della fenomenologia è quello di dare voce all’uomo, ai suoi vissuti e ai suoi obiettivi di vita trascendendo qualsivoglia dogmatismo o logica precostituita. Ogni processo formativo che tenga conto del soggetto è capace di porre in atto una progettazione che si concretizza in un’esperienza orientata verso il soggetto stesso. Si tratta

34 Edmund Husserl, Meditazioni Cartesiane, tr. it. F. Costa, Bompiani, Milano 1970, p. 42.

35 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. E. Filippini, il Saggiatore, Milano 1961, p. 164.

36 Cfr. Gabriella de Mita, Fenomenologia della Relazione comunicativa, Milella, Lecce 2007 p. 34: «La relazione non si pone come valore aggiunto o tema aggiuntivo […], ma come elemento fondante la necessaria possibilità di veicolare il riconoscimento dell’io e dell’altro-da-me nella dimensione intersoggettiva e interpersonale».

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di muoversi all’interno di un telos condiviso che sappia valorizzare le prospettive riconoscendo dignità piena al soggetto coinvolto nel processo formativo. L’intenzionalità non è un processo a senso unico, bensì uno spazio di convergenza fra punti di vista distinti ma non distanti che, sulla base di un’attenta conoscenza e comprensione della realtà, conduce alla formazione di obiettivi chiari, graduali e verificabili. L’esercizio è quello di superare la sterilità di modelli precostituiti e di riuscire a cogliere le intenzionalità dei soggetti coinvolti nel processo educativo che si concre- tizzano nella relazione professionista-utente, docente-studente all’interno di un contesto defi- nito.

Ogni processo formativo teoreticamente fondato è il frutto del rilevamento delle intenzio- nalità degli Io che si relazionano (utente e educatore, docente e studente) e che si concretizzano in una relazione fondata su obiettivi condivisi all’intero di un contesto capace di accogliere fina- lità e traiettorie che mirino al riconoscimento del soggetto, all’accoglimento delle sue istanze e alla realizzazione di un progetto che valorizzi esperienze e vissuti. Il rilevamento delle intenzio- nalità degli Io implicati nel processo passa dalla necessità di saper guardare alla relazione, ovvero di riuscire a cogliere la presenza dell’altro come Rivelazione38 del suo essere originario. Seguendo

l’intuizione di Emmanuel Lèvinas, si evidenzia come la relazione si identifichi come asimmetrica ovvero come quello spazio-tempo in cui il soggetto, presentatosi come fenomeno, attende di essere riconosciuto e accolto dall’altro. La relazione non si costituisce ipso facto, non è un ma- nifestarsi ed un esistere meccanico ed incondizionato, è bensì frutto di un processo in cui il sog- getto coglie la presenza dell’altro perché si sente interpellato39 dalla sua richiesta.

3. Abitare la relazione: partire dal soggetto stesso.

L’atteggiamento fenomenologicamente fondato è un esercizio alla “sottrazione”, all’elimi- nazione di tutte quelle distorsioni che non consentono di cogliere e riconoscere l’umanità; è un esercizio che evita e allontana da quei riduzionismi che rischiano di oggettivare l’uomo. Abitare la relazione significa avere le capacità e le competenze di aiutare l’altro a intercettare gli oriz- zonti di senso utili alla costruzione di un progetto di vita intenzionalmente fondato. È necessario che il professionista faccia proprio quell’atteggiamento di sospensione del giudizio che attiene al tempo professionale in cui tutti gli interessi particolari vengono messi da parte accogliendo l’unicità, le istanze, il mondo dell’altro. È un esercizio continuo che si rinnova e si risignifica nel tempo e nello spazio della relazione e si declina nella specificità della forma del contesto. È un processo che richiama alla necessità di formazione continua del formatore stesso e che lo alleni a riconoscere, separare e distinguere il piano interpretativo personale evitando la sovrapposi- zione dei propri desiderata su quelli dell’utente.

Lasciandosi sollecitare da Lèvinas, il Volto diviene manifestazione concreta e corporea della presenza di qualcuno che è altro da me; così spiccatamente tangibile che restituisce nell’imme- diatezza l’impossibilità sensibile di poter sovrapporre il mio essere a quello dell’altro. «Noi chia- miamo volto il modo in cui si presenta l’Altro, che supera l’idea dell’Altro in me. Questo modo non consiste nell’assumere, di fronte al mio sguardo, la figura di un tema, nel mostrarsi come un insieme di qualità che formano un’immagine. Il volto d’Altri distrugge a ogni istante, e oltre- passa l’immagine plastica che mi lascia, l’idea a mia misura e a misura del suo ideatum – l’idea adeguata. Non si manifesta in base a queste qualità, ma kath’auto. Si esprime».40 Abitare la re-

lazione significa ripartire dal soggetto stesso nella costruzione di un progetto di vita condiviso che, sullo sfondo della storia di ciascun individuo, guardi al futuro valorizzando le esperienze vissute nel presente. La scoperta dell’altro diviene fenomeno stesso della realizzazione della re- lazione e si configura come possibilità reale di creare e costruire progetti che valorizzino la pro- fonda ricchezza dell’umanità.

38 Cfr. Emmanuel Lèvinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, tr. it. A. Dell’Asta, Jaka Book, Milano 1982, p. 64: «L’esperienza assoluta non è svelamento ma rivelazione».

39 Cfr. ivi, p. 41. 40 Ivi, p. 48.

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STATI GENERALI FILOSOFIA BAMBINI 2018