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Sul nocciolo duro dei diritti uman

4. Altre Polizie, altri abus

Genova e il G8

Genova, 21 luglio 2001, nel pomeriggio. Bruno, quindici anni, viene ar- restato con altri sei coetanei. La polizia li accusa di aver partecipato alla guerriglia urbana, di aver lanciato pietre, di avere aggredito gli agenti. Ma i filmati recuperati dalla magistratura smentiscono la versione delle forze dell‟ordine: si vedono i no-global seduti a terra a gambe incrociate – le braccia in alto in segno di pace – presi a manganellate e portati via di peso. Le immagini fanno il giro del mondo, diventano una sequenza-simbolo del G8 genovese. Immortalano un gruppo di uomini in divisa che si accanisco- no sul ragazzo. Uno degli aggressori gli vibra un calcio al volto. Passa

qualche minuto e la telecamera riesce ad inquadrare un occhio orribilmente tumefatto. Dopo il pestaggio i no-global vengono arrestati sulla base di un verbale falso. Una sorta di prova generale di quanto sarebbe accaduto qual- che ora più tardi alla scuola Diaz. A sette anni da questi fatti, il numero due della Digos ligure e i poliziotti della sua squadra vengono condannati a qualche anno di reclusione.

Genova, luglio 2001, caserma di Bolzaneto. Qui – nella caserma tra- sformata in centro di prima detenzione – i no-global vengono picchiati, u- miliati, sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, torturati. Ad affer- marlo non sono loro, né un manipolo di facinorosi, ma la Corte di Appello del tribunale di Genova che ha ribaltato la sentenza di primo grado, ricono- scendo tutti gli imputati colpevoli dei fatti loro addebitati: tra generali della polizia penitenziaria, guardie carcerarie, ufficiali dell‟Arma, agenti e fun- zionari di polizia, medici, in tutto quarantaquattro persone. Durante tre giorni e tre notti, per quella caserma passarono almeno duecentocinquanta persone. „Almeno‟, perché nemmeno i registri vennero tenuti come si con- viene. I fermati avrebbero dovuto restarvi giusto il tempo dell‟identifica- zione e di una breve visita medica, per poi essere trasferiti in altre strutture; invece dietro quelle sbarre ci rimasero per giorni, sottoposti ad umiliazioni di ogni genere. All‟indomani della sentenza, Giuliano Giuliani – papà di Carlo, il giovane manifestante morto a Piazza Alimonda il 20 luglio 2001– dichiara: “Ora ci aspettiamo una sentenza analoga per l‟assalto alla scuola Diaz. Una sentenza che faccia finalmente chiarezza su quella vergogna”.

Genova, 21 luglio 2001, alla scuola Diaz, sul far della sera. Diversi a- genti irrompono nell‟edificio. Ci trovano novantatre persone inermi – mani- festanti già fermati – e li massacrano di botte. Ottantadue i feriti, cinque dei quali in prognosi riservata. Al termine del processo di primo grado, tutti i vertici della polizia vengono assolti. Ma dopo nove anni la Corte di Appel- lo riscrive la storia, comminando quasi un secolo di carcere per i ventisei responsabili, compresi i funzionari che guidarono l‟operazione. Annota il cronista: “Dopo due giorni di frustrante guerriglia urbana – culminati con l‟uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda – la Polizia di Stato rispo- se con una drammatica prova di forza, tra manganellate, menzogne, false molotov e testimonianze truccate”. Alla lettura della sentenza Mark Covell – un giornalista inglese ridotto in fin di vita dagli agenti, un polmone sfon-

dato a calci, lì presente tra il pubblico – scoppia a piangere. Piange anche Lena Zuhlke, una ragazza tedesca che perse tutti i denti per le manganella- te178. Inseguendo la notizia in rete, trovo la testimonianza del giornalista britannico Mark Covell179:

Genova, 27 luglio 2001. Un polmone bucato, qualche costola in frantumi, un paio di denti in meno. Gli mancano un mucchio di pezzi a Mark Covell, trentatre anni, giornalista inglese, ma non il tradizio- nale humour della sua terra. Oggi può scherzare, ma l‟incubo iniziato sabato notte è finito solo mercoledì mattina, quando l‟avvocato […] gli ha comunicato che il suo arresto non era stato convalidato. Del resto sarebbe stato strano, visto che Mark a Genova non ha parteci- pato a nessuna manifestazione. Racconta questo e altro dalla sua stanza del reparto di chirurgia toracica dell‟ospedale San Martino [dove] gli hanno diagnosticato un pneumotorace. […] A lui, come a decine di altre persone di quel sabato cileno, una sola domanda: cosa è successo? Questo è il racconto che ieri pomeriggio Covell ha ripe- tuto in diretta ai microfoni della Bbc.

È successo che sono diventato un human football, un pallone u- mano. Ero in mezzo alla strada, proprio davanti al cancello della scuola Diaz, quando sono arrivate le camionette. E ci sono rimasto intrappolato mentre i carabinieri chiudevano i due lati della via. Quando ho visto un gruppo venirmi addosso, ho mostrato la tessera da giornalista. […] Mi hanno colpito subito con i manganelli. Poi uno con lo scudo mi ha schiacciato contro il muro e l‟altro mi ha riempito di botte ai fianchi. […] Mi dicevano in inglese: you are black bloc, we kill black bloc. […] A quel punto sono caduto mezzo svenuto e ho visto che il furgone stava sfondando il cancello della scuola. Ero a terra e loro continuavano a prendermi a calci. Correva-

178 Adesso sono in tutto sessantacinque i rappresentanti delle forze dell‟ordine condannati in secondo grado per i fatti del G8 di Genova, tra i responsabili delle violenze nella caserma di Bolzaneto e quelli dell‟irruzione nell‟istituto scolastico. Sessantacinque „tutori dell‟ordine‟ condannati, vertici militari compresi: come derubricare questi fatti a episodi marginali o, al più, ascrivibili a singoli esaltati? Con riferimento a quei fatti, Bevilacqua (2008, p. 242) non ha usato perifrasi: «A Genova, nella caserma di Bolzaneto, e soprattutto nella scuola Diaz, alcuni reparti della polizia hanno scritto una pagina di infamia degna di una dittatura suda- mericana, pestando a sangue e umiliando centinaia di cittadini italiani e stranieri assoluta- mente inermi». Per una documentazione visiva piuttosto raccapricciante delle scene del blitz alla Diaz v., tra le altre, la pagina web http://www.youtube.com/watch?v=3WBuBrzoKhQ. 179 Alla pagina web http://www.repubblica.it/online/politica/gottotredici/inglese/inglese. html. L‟articolo è a firma di Marco Preve.

no da una parte e mi mollavano un calcio. È lì che sono diventato un pallone. […]

Pensavo che sarei morto e così ho fatto finta di esserlo. […] Un carabiniere è venuto a sentirmi la vena del collo e poi altri due mi hanno trascinato dentro la scuola, con gli altri. Menavano ancora. Mi ha salvato un medico o un infermiere, tra i primi arrivati che ha detto basta, basta, e allora tutto è finito. Devo ringraziare quel dottore, anzi lui e altri due del pronto soccorso. [Lo devo ringraziare] perché […] ero lì sulla barella e la polizia voleva portarmi all‟infermeria militare [di Bolzaneto]. Ma due dottori si sono opposti, uno in particolare, Paolo, e lo ringrazio davvero, forse sarei morto. […]

Ho detto al console che farò denuncia […] perché non è possibile che una cosa del genere accada in un paese che si dice democratico. Come hanno potuto accusarmi di essere un black bloc? […] Sono stato sempre chiuso al terzo piano della scuola, dove c‟era il News Dispatch. Da lì aggiornavo il nostro sito con le notizie che arrivava- no dalle piazze e dalle strade. Non pensavo andasse a finire così. Poi anche la testimonianza di Lena Zuhlke180:

Genova, 26 giugno 2004. Il suo volto insanguinato ha fatto il giro del mondo, sulla foto scattata mentre la portavano fuori dalla scuola Diaz in barella. Lena Zuhlke nel luglio 2001 aveva ventiquattro anni. Al San Martino le hanno curato alcune costole rotte e infilzate nel polmone. I pm genovesi, nel preparare il fascicolo dell‟inchiesta sui fatti di quel terribile blitz di polizia nella notte più lunga del G8, hanno appiccicato quella foto sulla copertina della cartellina. Tede- sca di Amburgo, adesso ventisettenne, è tornata a Genova, per la prima volta dal summit.

Dopo il G8 non ero mai tornata a Genova. Non avevo mai trovato la forza, anche se per me era più facile: dopo la repressione alla Diaz non mi hanno portato a Bolzaneto. Sono rimasta all‟ospedale, ero fe- rita. Non ho dovuto subire l‟altra più dura repressione della caserma, che ha creato in tutti i ragazzi gravi ripercussioni psicologiche. […] Avevo diverse costole rotte e due mi si erano infilzate nel polmone. Oggi non ho grandi problemi, a parte due costole che ancora non si sono pienamente riparate e alcuni problemi respiratori. […]

E alla domanda:“Ha fiducia nell‟Italia?”, così risponde:

Non nella vostra polizia. Quando vedo quegli agenti mi torna la paura, la diffidenza. Perché in quei giorni loro potevano fare tutto quello che volevano. Non mi fiderò mai più di loro. All‟estero le di- vise non mi fanno questo effetto. […] Ripeto: per fortuna ho scampa- to Bolzaneto. Ho parlato con chi c‟è stato e ho sentito racconti infer- nali.

In questa vergognosa „caccia‟ ai fantomatici black bloc, i duecento a- genti di polizia che hanno fatto irruzione nella scuola Diaz hanno anche trovato il modo di picchiare Dolores Errero, una pensionata di settantaquat- tro anni. Uno di loro – di cui si conosce nome e grado, ma che per ragioni di riservatezza vuole restare anonimo – preso dal rimorso racconta così co- sa è successo181:

Purtroppo è tutto vero. Anche di più. Ho ancora nel naso l‟odore di quelle ore, quello delle feci degli arrestati ai quali non veniva permesso di andare in bagno. Ma quella notte è cominciata una set- timana prima. Quando qui da noi a Bolzaneto sono arrivati un centi- naio di agenti del Gruppo operativo mobile della polizia penitenzia- ria. […]

Nella polizia c‟è ancora tanto fascismo, c‟è la sottocultura di tanti giovani facilmente influenzabili e di quelli di noi che quella sera hanno applaudito182. […]

Il pestaggio sistematico nella scuola […] è roba nostra. C‟è chi dice sia stata una rappresaglia, chi invece che da Roma fosse arrivato un ordine preciso: fare degli arresti a qualunque costo. L‟intervento lo hanno fatto i colleghi del Reparto Mobile di Roma. […] E a diri- gerlo c‟erano i vertici dello Sco e dirigenti dei Nocs, altro che la que-

181 Alla pagina web http://www.repubblica.it/online/politica/gottododici/pestaggi/pestaggi. html. Anche questo articolo è a firma di Marco Preve.

182 Pur essendo estrapolato da tutt‟altro contesto, il passo che riporto a seguire fornisce una possibile chiave di lettura – certo ideologica, ma non per questo necessariamente inattendi- bile – di quanto qui affermato dal poliziotto italiano. Alla domanda di Kauffmann (su Le

Matin, 18 novembre 1977): «Perché questa reazione da parte dei poliziotti?», così Foucault

(1977, 2009, p. 62): «Credo che questa reazione brutale faccia parte di ciò che si potrebbe chiamare, nel mestiere del poliziotto, il „bottino di piacere‟. Fargliela vedere a uno di sini- stra, soprattutto se è giovane – e ce n‟era più d‟uno tra noi – anche questo fa parte del sala- rio. D‟altronde, senza questo bottino la polizia non sarebbe sicura. È chiaro che in questo caso il governo ha ritenuto che i rapporti di forza fossero favorevoli. Anche per questa ra- gione ha reagito con violenza e ha dato alla sua azione una forma colorita e teatrale».

stura di Genova che è stata esautorata. È stata una follia. Sia per le vittime, che per la nostra immagine, che per i rischi di una sommossa popolare. Quella notte in questura c‟era chi bestemmiava perché se la notizia fosse arrivata alle orecchie dei ventimila in partenza alla stazione di Brignole, si rischiava un‟insurrezione. […]

Quello accaduto alla scuola e poi continuato qui a Bolzaneto è stata una sospensione dei diritti, un vuoto della Costituzione. Ho provato a parlarne con dei colleghi e loro sai che rispondono? Che tanto non dobbiamo avere paura, perché siamo coperti. […] Il can- cello si apriva in continuazione, […] dai furgoni scendevano quei ra- gazzi e giù botte. Li hanno fatti stare in piedi contro i muri. Una vol- ta all‟interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno han- no pisciato addosso, altri colpi se non cantavano Faccetta nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom183 la stavano a guardare. Alle ragazze le minacciavano di stuprarle con i manganelli... insom- ma è inutile che ti racconto quello che ho già letto. […]

Di noi non c‟era tanta gente. Il grosso era ancora a Genova a pre- sidiare la zona rossa. Comunque c‟è stato chi ha approvato, chi inve- ce è intervenuto, come un ispettore che ha interrotto un pestaggio di- cendo „questa non è casa vostra‟. E c‟è stato chi come me ha fatto forse poco, e adesso ha vergogna. Se non ci fossero stati i Gom non credo che sarebbe accaduto quel macello. Il nostro comandante è un duro ma uno di quelli all‟antica, che hanno il culto dell‟onore e san- no educare gli uomini.

Fuori dai confini nazionali i fatti a margine del G8 di Genova non sono passati inosservati. La Corte europea dei diritti dell‟Uomo ha evidenziato come la polizia italiana abbia cercato per anni di nascondere la verità. An- che il Dipartimento di Stato americano ha pubblicamente criticato il com- portamento delle autorità italiane, con un rapporto che parlava esplicita- mente di azioni equivalenti ad abuso dei diritti umani184. Ma la cultura è qualcosa che ci determina, che ci rimane appiccicato addosso, un abito mentale che solo a fatica è possibile dismettere al fine di indossarne un al- tro. La cultura della violenza non fa eccezione. Così almeno – o purtrop- po… – ci mostra la cronaca che segue.

183 Reparto speciale istituito nel 1997 con a capo un ex generale del Sisde.

184 Salvo poi a desistere dalle critiche all‟alleato, come emerso dai cablogrammi di WikiLe- aks. Da questi documenti si apprende infatti che, su pressione del nostro ministero degli E- steri, l‟ambasciatore americano a Roma invitò il governo di Washington a far tacere le criti- che per non favorire l‟opposizione di centro-sinistra in Italia.

Roma 2010 e la contestazione degli studenti

In occasione del voto di fiducia al governo Berlusconi, e nel quadro del- la contestazione al ddl Gelmini sulla riforma dell‟università, nel dicembre 2010 gli studenti scendono in piazza a Roma. Alcuni di loro vengono fer- mati e poi rilasciati dopo l‟udienza di convalida del provvedimento. I loro sono racconti già sentiti, intollerabili in uno stato di diritto.

Alice, studentessa di Scienze Politiche, si accarezza l‟ematoma violaceo che le gonfia lo zigomo e la palpebra destra. Sorride: “Non è qui che ho preso le manganellate. Quelle me le hanno date alla testa e alla schiena. Pe- rò mi hanno spiegato che dopo un po‟ l‟ematoma scende… Sul pavimento del cellulare ci hanno legato i polsi con le stringhe di plastica e un poliziot- to ci ha detto che ci avrebbero fatto vedere cosa era successo a Bolzaneto… Abbiamo passato la notte […] dove fanno il foto segnalamento. Ci hanno messo in uno stanzone senza una sedia o una panca in cui hanno tenuto sempre aperte le finestre. Niente da mangiare, niente da bere. Finché non è arrivato un superiore che ha ordinato di non toccarci”.

Riccardo, studente fuori sede a Bologna, è accusato di aver selvaggia- mente resistito all‟arresto. Ma gli hanno dato dei punti in testa e ha il mi- gnolo fratturato. Giura di essere stato preso alle spalle da una carica in via del Corso. Già sull‟asfalto, rannicchiato in posizione fetale, implora di non colpirlo ancora: ma i poliziotti continuano ad accanirsi su di lui a manga- nellate. Il tribunale, per sua fortuna, acquisisce le immagini del video che documenta la barbarie che si è abbattuta su di lui185.

Anche Angelo, studente di Lingue, ha la testa bendata e tre punti di su- tura sulla ferita aperta dallo sfollagente che lo ha abbattuto davanti alla sa- racinesca di un negozio di via del Corso cui aveva bussato, implorando di aprire, per sfuggire alla carica. “Ricordo questo poliziotto corpulento con la maschera antigas che continuava a darmele. Ricordo anche che mi hanno sputato. In piazza non ho fatto niente. Non ho tirato neanche una carta”.

185 Video postato alla pagina web http://www.youtube.com/watch?v=mV-3AAXFV_8. Al- tre scene di ordinaria violenza da parte della polizia capitolina sono visibili alla pagina web http://www.youtube.com/watch?v=ZupSIQBuwzA&NR=1&feature=fvwp.

Ma il foglio di giornale esce dai confini nazionali dando conto anche di altri abusi di potere, riconducibili ad altre polizie, ad altri sedicenti „tutori dell‟ordine‟.

La polizia di Grasse: il caso di Daniele Franceschi

25 agosto 2010, carcere di Grasse, Francia. Daniele Franceschi, trentasei anni, lamenta un forte dolore. Il medico dello stabilimento penale gli prati- ca un elettrocardiogramma e un esame del sangue, ma invece di tenerlo in infermeria, lo rispedisce in cella. A sera, di ritorno dal turno in cucina, il compagno di prigionia lo scopre cadavere. L‟ipotesi, sempre più consisten- te, è che Daniele Franceschi sia stato ucciso dall‟indifferenza dei suoi car- cerieri. Omissione di soccorso e colpa professionale sono i titoli di reato che presto la magistratura francese potrebbe contestare al medico e al diret- tore della Maison d‟Arret di Grasse. Daniele è l‟ottantaseiesima morte so- spetta dall‟inizio dell‟anno nelle prigioni francesi.

La polizia di New York

Quando il South Bronx era ancora una giungla, agli agenti di polizia del 41° distretto era affidato uno dei quartieri più violenti. Loro lo hanno boni- ficato, ma con quali espedienti? Un‟inchiesta di Eyewitness news – il tele- giornale locale della rete Abc – ha scoperto che gli agenti hanno fatto (e continuano a fare) più arresti del necessario, per rispettare un „sistema di quote‟ imposto dai capi. “Sono stufo, non voglio più arrestare innocenti”, ha confessato in tv Adil Polanco, un agente del 41° distretto della polizia di New York ora sotto inchiesta, spiegando alla Abc il meccanismo delle „quote‟: “Ognuno di noi deve operare ogni giorno un arresto e consegnare venti citazioni: non abbiamo altra scelta”. Il punto è che per stare al passo, per raggiungere la „quota‟, gli agenti finiscono con l‟arrestare cittadini – per lo più di colore – che non c‟entrano nulla, che non hanno commesso al- cun crimine.

Da tempo c‟era il sospetto che la polizia avesse introdotto un sistema del genere in modo da valorizzare il suo ruolo e ottenere più finanziamenti. I dirigenti negano, ma la rete televisiva mette in onda una registrazione car- pita negli uffici del 41° distretto. Si sente uno dei comandanti ammonire gli agenti: “Se il rapporto uno-venti vi rompe le palle186, la settimana prossima

passeremo a uno-venticinque o addirittura a uno-trentacinque. E se non vi sta bene, potete andare a consegnare le pizze a domicilio”. Hanno osservato Ricci e Salierno (1971, p. 43): «Quelli che abitano in un quartiere malfama- to, ossia in un quartiere affamato, sono periodicamente arrestati e incrimi- nati per semplice sospetto di tutti i furti e rapine successi nella zona. C‟è gente che sta scontando due anni per capacità di furto – [una sorta di] arre- sto preventivo – cioè non hanno commesso nessun furto, ma sono stati ar- restati perché lo potrebbero fare un giorno o l‟altro».

Nel South Bronx il crimine si è drasticamente ridotto, ma i rappresen- tanti delle organizzazioni afro-americane protestano. Perché si è voluto ba- rattare una certa tranquillità sociale in cambio di qualche deroga alla tutela dei diritti individuali. Per lo più dei cittadini di colore, in ogni caso delle classi sociali più deprivate.