• Non ci sono risultati.

Riferimenti bibliografic

1. La crisi economica mondiale

Il 2008, e poi il 2009, sono stati anni di profonda crisi economica su sca- la globale. Lo spettro del 1929, l‟anno della Grande depressione, aleggia spesso nelle pagine del giornale. Gli economisti del Fondo monetario inter- nazionale spiegano che entrambe le crisi sono esplose al centro dell‟eco- nomia mondiale e, nate da una tempesta finanziaria, hanno avuto un impat- to globale. Secondo i calcoli indicizzati di Barry Eichengreen – economista a Berkeley – l‟odierna crisi mondiale sarebbe persino più severa della pre- cedente, la produzione industriale mondiale essendo scesa più in fretta di allora.

La gravità della crisi è tale che non pochi analisti si spingono a preco- nizzare il tramonto della seconda rivoluzione industriale – quella basata sullo sfruttamento dell‟energia fossile – e la fine dell‟era neoliberista, l‟era della deregulation avviata da Ronald Reagan e da Margaret Thatcher; e se

non anche la fine del capitalismo, non pochi sono coloro che ne denunciano le degenerazioni36.

Per il sociologo Zygmunt Bauman (2009), la catastrofe finanziaria che ha sconvolto i mercati non è un fatto occasionale, bensì l‟effetto insito nella natura stessa del meccanismo economico capitalistico, che offrirebbe il meglio di sé non nel risolvere i problemi, ma nel crearli.

Per l‟economista Daniel Cohen si impone quindi la necessità di avviare una riflessione di ordine morale sul capitalismo. Il caso della Francia è i- struttivo. Lo storico e sociologo Marc Lazar si chiede: “Ma che sta succe- dendo? Le manifestazioni contro la crisi sono imponenti: i casi di sequestri di dirigenti per mano di lavoratori esasperati si moltiplicano, e tutto questo avviene in larga misura con l‟approvazione dei francesi. […] I media parla- no di insurrezione, di rivolta, di deriva terroristica, di rigetto del capitali- smo, alimentando dibattiti a non finire. Come si spiega questo clima? Le ragioni sono innanzitutto congiunturali. La Francia è alle prese con un au- mento della disoccupazione e un calo del potere d‟acquisto che le misure varate dal governo non sono ancora riuscite ad arginare. Le disuguaglianze aumentano più che mai, e i francesi si preoccupano per il futuro dei loro fi- gli. La questione delle remunerazioni dei manager, da parte di aziende che licenziano dopo aver ricevuto denaro pubblico, continua ad alimentare le controversie esacerbando la percezione dell‟ingiustizia. Sono ormai in mol- ti a diffidare dell‟economia di mercato”37.

Il sociologo Luciano Gallino si interroga sulle conseguenze della disoc- cupazione a lungo termine, provocata dall‟entrata in crisi del sistema: “Tol- ta una minoranza che troverà abbastanza presto un lavoro decentemente re- tribuito, in linea con la qualifica professionale posseduta, nel 2010 e dopo la loro massa si dividerà in tre gruppi: quelli che per vivere dovranno accet- tare un lavoro mal pagato, al disotto delle loro qualifiche; i disoccupati di lunga durata, che dovranno aspettare anni prima di trovare un posto; infine quelli, soprattutto gli over 40, che un lavoro non lo troveranno mai più”. La disamina è impietosa: “La produttività [prima o poi] crescerà, ma insieme con essa aumenterà il numero di persone che dal punto di vista della produ- zione appaiono semplicemente superflue”. Dinanzi a un tale scenario, che

36 Tra questi, Bevilacqua (2008). 37 Articolo dell‟8 maggio 2009.

riguarda milioni di persone, la riforma degli ammortizzatori sociali per co- me li abbiamo finora conosciuti equivarrebbe a un inutile palliativo. Da qui la riesumazione di un‟idea che ha più di due secoli, proposta tra i primi da Thomas Paine (1797): un reddito base garantito, svincolato dal legame che oggi esiste tra salario e lavoro. Continua il sociologo: “Poiché il lavoro ten- de a scomparire, ma le persone con i loro bisogni no, occorre trovare il mo- do di distribuire un reddito anche a chi non lavora. Nella forma ideale il reddito base dovrebbe quindi consistere in una somma bastante per condur- re una vita decente, versata regolarmente dallo stato o da un ente locale al singolo individuo, senza che questo debba soddisfare alcuna condizione”38. Ma disoccupazione e povertà sono condizioni sociali oltremodo conti- gue. È ancora Luciano Gallino a soffermarsi sulla iniquità di “un sistema economico che spende trilioni di dollari l‟anno in pubblicità e marketing per convincere un miliardo e mezzo di persone a consumare beni in gran parte superflui [mentre] non trova i quattro o cinquecento miliardi annui che basterebbero per dimezzare la quota di coloro che sopravvivono con un dollaro al giorno (1,4 miliardi secondo le ultime stime), o in slums (oltre un miliardo), o non dispongono di servizi igienici (2,6 miliardi), o soffrono la fame (un miliardo, in aumento)”39.

Lo spettro di una povertà di massa è incombente. La giornalista Elena Polidori raccoglie l‟allarme delle istituzioni: “Veloce come un uragano, [la crisi economica] potrebbe spingere alla povertà estrema una valanga di per- sone, fino a novanta milioni in più quest‟anno. „Una catastrofe umana‟, di- ce la Banca mondiale. Il numero di esseri umani cronicamente affamati po- trebbe salire a oltre un miliardo di qui alla fine del 2009. Mario Draghi, go- vernatore di Bankitalia spiega che la recessione ha preso questa nuova, drammatica piega negli ultimi sei mesi. E se fino a ottobre interessava solo le nazioni ricche, ora sta dilagando nelle economie in via di sviluppo. Su questa fetta del globo, spesso già gravata di fame, malattie, disoccupazione, arretratezza, mortalità infantile, mancanza di istruzione, sta producendo un impatto che lo stesso Draghi non esita a definire grave”40.

38 Articolo del 16 settembre 2009. Per i fautori del reddito base garantito, anche il sistema ne beneficerebbe in termini di preservazione delle professionalità acquisite: la persona disoccu- pata potrebbe cercare un lavoro più a lungo, senza doverne accettare uno sotto remunerato. 39 Articolo del 3 giugno 2009.

La giornalista Francesca Caferri ritorna sul punto: “Nel mondo ci sono oggi più di un miliardo di persone affamate. L‟allarme arriva dalla Fao, che nel suo ultimo rapporto ha registrato un aumento del nove per cento. La cri- si economica ha dunque portato sotto la soglia della denutrizione un sesto della popolazione mondiale. Non senza colpa dei governi, più preoccupati evidentemente dei mercati finanziari: „I leader mondiali hanno reagito con determinazione alla crisi mobilitando miliardi di dollari in un lasso di tem- po molto breve. La stessa azione decisa è adesso necessaria per combattere fame e povertà‟, dice il direttore generale della Fao Jacques Diouf. Novità anche sul fronte della geografia della fame. La denutrizione colpisce ora soprattutto l‟Asia e le aree del Pacifico, dove gli affamati sono oltre seicen- toquaranta milioni. Ma non è un fenomeno sconosciuto nemmeno nei paesi sviluppati, dove quindici milioni di persone non hanno il cibo necessario al loro sostentamento”41.

Viste brevemente le riflessioni di alcuni studiosi, passo a considerare qualche accadimento. Nel dicembre 2008 la crisi economica viene indicata come una delle concause che in Grecia hanno fatto divampare le proteste di studenti e disoccupati a seguito dell‟uccisione del giovane Alexis Grigoro- poulos. Scrive Renato Caprile: “La notizia via sms [dell‟uccisione del ra- gazzo da parte di un poliziotto] ci mette un attimo a fare il giro di Atene. Tempo una decina di minuti ed è già l‟inferno. A centinaia si riversano nel- le strade armati di spranghe e molotov. Sembrava che non aspettassero altro per scatenare la loro rabbia per una crisi economica durissima e un governo di centrodestra la cui popolarità è ai minimi storici”42.

Nel febbraio 2009 le agitazioni sociali provocate dalla crisi minacciano anche la Cina. L‟articolo è di Federico Rampini: “Per effetto della reces- sione globale, in Cina hanno già perso il lavoro più di venti milioni di lavo- ratori immigrati dell‟interno, quelli che dalle campagne si erano trasferiti a lavorare nelle zone urbane industrializzate. Lo ha annunciato ieri lo stesso governo di Pechino nella prima giornata di ripresa dell‟attività dopo la set- timana di festa nazionale per il capodanno lunare. […] Se si aggiungono coloro che erano già disoccupati […] si arriva a un totale di ventisette mi- lioni di disoccupati solo per le zone rurali. […] I licenziamenti collettivi

41 Articolo del 15 ottobre 2009, che riprende sostanzialmente alcune considerazioni di Aldo Schiavone, apparse sul giornale il 7 aprile 2009.

avvengono senza regole: migliaia di padroncini originari di Hong Kong e Taiwan hanno fatto bancarotta e sono spariti senza lasciare traccia, hanno chiuso le fabbriche defraudando gli operai di molte mensilità di salari arre- trati. Una volta senza lavoro, quegli operai venuti dalle campagne non han- no indennità di disoccupazione né assistenza sanitaria, i loro figli non han- no diritto all‟istruzione gratuita. Sono cittadini di serie B che non hanno più nulla da perdere, un serbatoio esclusivo di instabilità sociale”43.

Un mese dopo è la volta dell‟Ulster: “È ancora alla Grande Crisi che bi- sogna guardare, dopo i disordini dei mesi scorsi in Grecia, in Bulgaria,nei paesi Baltici, per spiegarsi il ritorno del terrorismo irlandese, i tre morti ammazzati […] degli ultimi tre giorni?”44.

Ad aprile, l‟Inghilterra. Il fondo è di Enrico Franceschini: “„Queste sono le nostre strade!‟, grida uno. „Queste sono le nostre banche!‟, si sgola un altro. „Questa è la nostra rivoluzione!‟, proclama un terzo. Calano il fazzo- letto sul volto, e parte l‟attacco alla City di Londra, cuore del capitalismo: un bombardamento di ortaggi, uova e proiettili di vernice fa ondeggiare i cordoni della polizia davanti alla Banca d‟Inghilterra, permettendo a un drappello di giovani vestiti di nero, forse anarchici, forse black bloc, di pe- netrare su Threadneedle street, dove subito una scarica di mattoni sfonda una vetrata all‟ingresso della Royal Bank of Scotland, la banca con venti miliardi di sterline di debiti, salvata dalla nazionalizzazione e diventata il simbolo dei bonus milionari ai banchieri, degli sprechi, della cultura del ri- schio. […] Stamattina si replica: i no-global ritornano nella City all‟alba, per un‟altra dimostrazione di rabbia. „Il capitalismo non funziona‟, senten- zia uno dei loro striscioni. „È un sistema ingiusto, crudele, antipopolare‟, ripetono i giovani che per un giorno hanno provato a conquistarne il cuore. Neanche loro, tuttavia, sembrano sapere bene con cosa sostituirlo”45.

E quindi, la Francia. Ce lo documenta Anias Ginori: “„La chiamano in vari modi, ma le dico io cos‟è. È una rivolta. Questa è una rivolta popolare non coordinata, spontanea. E molto pericolosa‟. […] L‟economista Jean Paul Fitoussi battezza così gli ultimi incidenti in Francia e il malcontento che sta esplodendo in altre parti d‟Europa. […] Nel giorno del G20, il pre- sidente dell‟Osservatorio per le congiunture economiche pronuncia un giu- dizio severo, e aggiunge anche un allarme: „Le fondamenta della democra-

43 Articolo del 3 febbraio 2009.

44 Articolo dell‟11 marzo 2009, a firma Sandro Viola. 45 Articolo del 2 aprile 2009.

zia sono in pericolo. […] La gente ha capito di essere stata raggirata. È questa la dimensione forte, pregnante della protesta. Gli incidenti di oggi in alcune imprese sono manifestazioni di rivolta spontanea. Per tre decenni è stato raccontato un sistema come verità assoluta. Improvvisamente, ci si accorge che era una bugia altrettanto assoluta. È comprensibile lo choc e la rivolta nella popolazione. […] Non dobbiamo guardare solo ai rimedi eco- nomici e finanziari immediati. Quello che si deve valutare con estrema at- tenzione è se vi siano elementi nuovi che vadano verso un ripensamento permanente della gestione degli affari politici, economici e sociali. Soltanto così si potrà uscire dalla crisi‟”46.

Insomma uno tsunami, un‟onda gigantesca che rischia di travolgere, in- differentemente, economie in via di sviluppo e maturi sistemi capitalistici. Nel settembre 2009 lo ribadisce a chiare lettere anche il presidente Barack Obama nel suo primo discorso all‟Onu: “Il mondo si sta ancora riprenden- do dalla peggiore crisi economica che mai sia intervenuta dai tempi della Grande depressione. A Pittsburgh lavoreremo con le più grandi economie del mondo per delineare una traiettoria per la crescita, affinché sia bilancia- ta e sostenuta”47.

Eppure, devo ammetterlo, ho monitorato le notizie sulla crisi con un qual certo deferente distacco: e ciò per almeno due buone ragioni. La pri- ma: non essendo un economista, molte questioni prese in esame dagli anali- sti, specie le più tecniche, continuavano (e continuano) a resistere alla mia comprensione: „tagli ai tassi di interesse‟, „pompaggio di liquidità nel si-

46 Anche questo articolo è del 2 aprile 2009.

47 Rileggo (e correggo) questo capitolo domenica 25 ottobre 2009. Alle mie spalle la televi- sione – sintonizzata su Report, programma di Raitre – dà voce al profondo malessere di di- pendenti e piccoli imprenditori in Italia. Qualcuno definisce la situazione „mostruosa‟: „cri- si‟, „disoccupazione‟, „povertà‟ sono termini che ricorrono di continuo. Un parroco racconta di un padre di famiglia che in ginocchio gli implorava di dargli una mano. A fine gennaio 2010 – aprendo i lavori del World Economic Forum a Davos – sarà la volta del presidente francese Nicolas Sarkozy: “Il presidente francese ha fatto un „contropelo‟ alla platea dei vip del capitalismo, con una vigorosa denuncia delle perversioni del mercato. Nella grande re- cessione dell‟ultimo biennio, ha esordito Sarkozy, „senza l‟intervento degli stati sarebbe crollato tutto. Questo è un fatto, non c‟entrano le ideologie. Se non ne tiriamo le conseguen- ze siamo degli irresponsabili. Un‟intera visione del mondo è fallita‟” (articolo del 28 genna- io 2010, a firma Federico Rampini).

stema‟, „crisi dei mutui subprime‟, „stagflazione‟48, rimangono per me og- getti più o meno misteriosi.

La seconda ragione che mi ha tenuto a debita distanza da questa tipolo- gia di notizie è che l‟economia – giocandosi anche sul medio-lungo periodo – lascia campo aperto alla più spregiudicata ideologizzazione, in quanto mancante di immediato e tangibile riscontro empirico. Detto banalmente, quella che gli uni definiscono „una ottima misura finanziaria‟ può essere bollata come „inconsistente‟ dagli altri. E così per un provvedimento votato in Parlamento, per una riforma annunciata in tv, per un dato del Pil, per un trend di settore, per un indice di disoccupazione, per una comparazione tra finanze pubbliche49.

Ciò che mi preme sottolineare, giunti a questo punto, è soltanto il nesso tra economia, sperequazione sociale, crisi del sistema mondo e diritti uma- ni. Almeno due le questioni in ballo. La prima è concepibile anche solo in ottica nazionale. In condizioni di difficoltà economica si finisce con l‟esse- re fragili, vulnerabili, e pertanto il disoccupato vede di fatto contrarsi l‟ambito di tutela dei suoi presunti diritti inviolabili. Osserva in proposito Bobbio (1991, 1997, p. 259): «Nella loro più ampia dimensione i diritti so- ciali entrarono nella storia del costituzionalismo moderno con la Costitu- zione di Weimar. Della loro apparente contraddittorietà ma reale comple- mentarietà rispetto ai diritti di libertà la più fondata ragione è quella che vede in essi una integrazione dei diritti di libertà, nel senso che essi sono la condizione stessa del loro effettivo esercizio. I diritti di libertà non possono essere assicurati se non garantendo a ognuno quel minimo di benessere e- conomico che consenta di vivere con dignità»50.

Il concetto viene ribadito da Ezio Mauro in un articolo del 3 aprile 2009: “Da qualche parte nei nostri paesi ormai si muove una massa sommersa di persone che fanno separatamente i conti individuali con la crisi, non solo e non tanto in termini di perdita di valore, ma in termini di vita, di sussisten-

48 Ovvero, inflazione e recessione a un tempo.

49 Trafiletto in prima pagina a firma Andrea Bonanni (articolo del 15 ottobre 2009): «“I con- ti pubblici di cinque paesi europei sono insostenibili, e tra essi c‟è l‟Italia”. L‟allarme, che riguarda soprattutto il debito, è arrivato ieri dalla Commissione europea. La replica del mini- stro dell‟Economia Giulio Tremonti: “Non siamo ad alto rischio, nel documento Ue c‟è troppa enfasi”». Insomma, anche in questo caso, un esempio lampante di definizioni della

situazione divergenti.

za, di identità e di ruolo sociale. Per loro è tornata centrale, nella nebbia globale della crisi, nello stordimento della finanza, la grande questione no- vecentesca del lavoro: lo hanno perso, lo stanno perdendo, o non riescono neanche a trovarlo una prima volta. E scoprono che senza lavoro perdono di importanza i diritti postmaterialistici, quelli dell‟ultima modernità, che vengono dopo la piena soddisfazione dei bisogni primari. Anzi, senza lavo- ro […] viene meno l‟interesse per ogni discorso pubblico, per il paese, per la vicenda collettiva. Senza il lavoro, ecco oggi il punto, queste persone si sentono ex cittadini. […] Ecco perché la crisi economica rischia di diventa- re crisi di legittimità, deficit di uguaglianza, problema di democrazia”51.

Quanto alla seconda questione, sul versante internazionale la recessione economica rischia di avere pesanti ricadute sull‟accoglimento dell‟Altro – dello straniero, del migrante – da parte dei paesi cosiddetti „ricchi‟. In tem- pi di insicurezza sociale, la classica distinzione noi-loro proposta da nume- rosi sociologi si fa logica manichea, valvola di sfogo per frustrazione e pau- re, ricerca ossessiva di un capro espiatorio. OsservaDaniel Levinson(1950, corsivo dell‟autore; cit. in Basaglia e Basaglia, 1968, p. 8): «Il modo etno- centrico di risolvere i conflitti di gruppo […] consiste nel liquidare gli „out‟, o tenerli completamente soggetti, segregati in modo da ridurre ogni contatto con gli „in‟». Da qui l‟atteggiamento di feroce discriminazione nei confronti dell‟altro, valutato sempre a partire da un pregiudizio negativo. Nota ancora Leonardi (1974, pp. 128-129): «I pregiudizi hanno un peso ri- levante nel comportamento sociale. Essi esprimono non soltanto credenze, ma anche atteggiamenti, generalmente sfavorevoli, verso qualcosa o qual- cuno, o verso gruppi sociali o entità sociali. La rigidità e la persistenza de- gli stereotipi dipende prevalentemente dal fatto che essi ci forniscono una sorta di immagine del mondo dai contorni ben specificati e precisi. Ne con- segue che ogni tentativo di modificazione di codesti schemi mentali si tra- duce in una sorta di aggressione alle stesse basi del nostro universo menta- le: per ciò resistiamo a ogni tentativo di modificazione dei nostri stereoti- pi». Insomma, come sostiene Allport (1954) nella sua celebre opera – con- siderata il punto di partenza della moderna riflessione sul pregiudizio –

51 E tra le righe si intravede la teoria dell‟autorealizzazione di Abraham Maslow (1968), che distingue tra bisogni di base – bisogni fisiologici, di sicurezza, di appartenenza e di stima – e

metabisogni, legati all‟autorealizzazione. In questo scritto, questo primo aspetto della que-

stione rimarrà relegato sullo sfondo, essendo a mio parere indagabile prevalentemente con una indagine di stampo micro sociologico.

questo non sarebbe altro che il portato della radicalizzazione di processi cognitivi ordinari e pertanto, in un certo qual senso, inevitabili52.

Avrò ampiamente modo di riflettere su questo tema, perché di questi tempi il pregiudizio manicheo – valvola di sfogo per frustrazioni e paure – sembra attraversare una fase di recrudescenza tra i marosi del Canale di Si- cilia.