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Sul nocciolo duro dei diritti uman

1. Estensione semantica del concetto di guerra: dai kadogo ai dron

1.2. India e Pakistan: la guerra-spettacolo

Novembre 2008: il mondo prende fuoco a Mumbai – la vecchia e forse più familiare Bombay104. A seguito di molteplici attentati terroristici, ri- mangono sul terreno oltre centocinquanta corpi esanimi. Prima di questa aggressione, nel 2008 sono già cadute – uccise o ferite in altri attacchi ter- roristici – centinaia di persone a Jaipur, Ahmedabad, New Delhi e Guwaha- ti. Il governo indiano accusa quello pakistano di dare ospitalità agli attenta- tori. Tra loro, a dividerli, c‟è un‟avversità politico-religiosa di lunga data. Come hanno sostenuto in molti105 – ma come la gran parte tende invece ad ignorare – un conflitto contribuisce a plasmare l‟identità di gruppo, a man- tenerne chiari i confini: in o out.

Il confine tra India e Pakistan non è mai stato un confine tranquillo. È il 1947, quando l‟India britannica viene divisa in due nazioni. La partition fa oltre un milione di morti. Poi, per quarant‟anni, regge un precario equili- brio, fino alla fine degli anni „80. Ricorda Rampini (2006, p. 34): «Il 2 no- vembre 1989 venne posata la prima pietra per la costruzione di un nuovo tempio di Rama nel sito della moschea; fu una provocazione per i musul- mani che reagirono duramente nei paesi vicini. Lo stesso giorno in Pakistan e in Bangladesh si scatenarono pogrom e assalti di massa contro le mino- ranze indù. Il bilancio delle violenze: 50.000 indù senzatetto in Bangladesh, 245 templi induisti demoliti in Pakistan. La piaga era aperta, la catena delle rappresaglie era destinata a continuare».

103 La ristrutturazione è quel processo che segna nella biografia di un individuo un „prima‟ e un „dopo‟, due vite in una, separate da una netta cesura. Sul punto v. Berger e Luckmann (1966, 1969, p. 214 e seguenti).

104 Bombay cambia ufficialmente nome nel 1996. Per una brevissima disamina dei motivi sottostanti questo cambiamento, v. Rampini 2006, pp. 35-36.

Gestione delle sorgenti d‟acqua e separatismo in Kashmir sono i nodi ir- risolti di oggi. Il Kashmir è una valle al confine con il Pakistan, patria di tre grandi civiltà – islamica, induista, buddista – dove convergono le influenze dell‟Islam militante pachistano e afgano, il nazionalismo indiano sempre più aggressivo e „induizzato‟ e gli interessi regionali dell‟America. Da tre anni i kashmiri manifestano in piazza contro quella che considerano un‟occupazione da parte dell‟India. Ma la ribellione contro il governo in- diano, iniziata vent‟anni fa con il sostegno del Pakistan, perde forza. La guerra ha fatto settantamila morti e decine di migliaia sono le persone che hanno subito torture. Molte altre migliaia sono „scomparse‟. Una genera- zione cresciuta tra checkpoint, bunker, interrogatori, catture, e finte elezio- ni. Questa generazione, oggi, affronta i soldati armata di pietre e dispera- zione. Il governo indiano ribatte con le pallottole. Ma i giovani continuano a uscire e a tirare le pietre.

Dopo l‟attacco a Mumbai – ultimo di una serie negli ultimi tre anni – in India cresce la rabbia. L‟assalto ha ripercussioni immediate nella capitale, New Delhi. La tregua con Islamabad vacilla. L‟agenzia ufficiale Press

Trust of India riferisce che il governo è intenzionato a sospendere il proces-

so di pace per dimostrare di non aver preso alla leggera quanto accaduto. Dopo le accuse al suo paese per il tragico assalto contro il cuore commer- ciale di Mumbai, il presidente pakistano Ali Asif Zardari si appella diretta- mente al primo ministro indiano per cercare di allentare la tensione. Zardari respinge le accuse, sostiene che anche il suo paese è obiettivo degli stessi terroristi. Ma il messaggio politico fattogli recapitare suona forte e chiaro: “Se non colpirete i fondamentalisti, l‟India si sentirà in diritto di colpire il Pakistan”. Siamo a un passo dalla guerra, fra nazioni che dagli anni 2000 sono entrambe, sia pur non ufficialmente, potenze nucleari.

Mentre la cronaca registra questa escalation, a Wagah, nel Punjab, va in scena un‟altra guerra. Wagah è l‟unico posto di confine che collega via ter- ra l‟India al Pakistan. Soltanto di giorno, però, perché nel tardo pomeriggio i cancelli che delimitano il passo vengono chiusi, dando luogo ad una sorta di cerimonia marziale che richiama turisti e gente locale106. Le guardie di

106 Il rituale marziale che le opposte schiere di soldati eseguono con apparente volontà omi- cida lo si può vedere sulla rete con un click di mouse. Vedasi, tra le altre, la pagina web http://www.youtube.com/watch?v=NC9NeJh1NhI.

frontiera indiane e pakistane vestono uniformi differenti nei colori, ma i- dentiche nella foggia, incluso il pieghettato di stoffa rigida che svetta dal berretto per oltre un palmo e che fa pensare alla cresta di uno strano uccel- lo.

Patria, onore, difesa del territorio, fierezza dell‟appartenenza, sprezzo del pericolo sembrano i valori e le idee trasudanti dalla mimica – tutta gio- cata sul non verbale107 – di entrambi gli schieramenti. Ma al posto di confi- ne di Wagah, durante la cerimonia, i militari indiani e pakistani hanno le medesime movenze: stessi i passi, all‟unisono l‟ammaina bandiera, recipro- cità e sincronismo nei movimenti che portano alla rapida stretta di mano sulla linea di confine. Nei termini di Goffman (1959, 1969, cap. 2), indiani e pakistani fanno parte della stessa équipe, recitano per lo stesso pubblico. I riti, del resto, sono stati a lungo studiati dagli antropologi. Per Rivière (1995, 1998, pp. 151-152) il termine „rito‟ «elaborato inizialmente in ambi- to religioso, designa un insieme di atti ripetitivi e codificati, spesso solenni, di tipo verbale, gestuale e posturale investiti di una forte carica simbolica. […] Il rito include […] sequenze di azioni, e […] mezzi reali e simbolici legati a valori fondamentali che la comunità cerca di tradurre in comporta- menti adeguati»108. Il passo dell‟oca, le trombe, le bandiere, l‟eccitazione degli astanti: che spettacolo! La guerra, vista da qui, è folklore, fatto di co- stume. Vista da questi spalti – la gente sorridente e plaudente – la guerra è proprio un bellissimo spettacolo. Come pensare che la violenza sottesa nel rituale di tanto in tanto si attualizza per le strade di Mumbai, di Jaipur, di Ahmedabad?

Virtuale e reale è la dicotomia che sembra condensare in sé l‟ostilità che corre tra India e Pakistan fin dai tempi della partition, nel 1947. Ma, come nota Lévy (1995, 1997, p. 5): «Nella filosofia scolastica, virtuale è ciò che esiste in potenza e non in atto. Il virtuale tende ad attualizzarsi, senza essere tuttavia passato a una concretizzazione effettiva o formale. L‟albero è vir- tualmente presente nel seme. Volendosi attenere rigidamente al ragiona- mento filosofico, il virtuale non si contrappone al reale ma all‟attuale: vir- tualità e attualità sono solo due diversi modi di essere». Già: se un rituale di

107 A vario titolo, tutti e quattro i sottoinsiemi in cui può essere suddiviso l‟universo del non verbale – sistema paralinguistico, cinesica, prossemica e aptica – possono essere rinvenuti nel rituale di cui trattasi.

guerra va in scena alla frontiera anche in tempo di pace, le relazioni tra gli stati confinanti devono essere sempre pericolosamente in divenire.