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Riferimenti bibliografic

2. L’elezione di Barack Hussein Obama

A differenza della storia empirica, che è la storia degli sto- rici, la storia profetica, che è la storia dei filosofi, non procede per cause, da una causa al suo effetto in una catena ininterrot- ta salvo a sopperire alle lacune attraverso le congetture, ma cerca di scoprire in un evento straordinario non tanto la causa di un avvenimento successivo, quanto un indizio, un‟indica- zione, un segno di una tendenza dell‟umanità considerata nel- la sua totalità. [...] Ciò che la storia profetica può fare è di presagire quello che potrà avvenire, non di prevederlo. La previsione è il compito di una storia ipotetica, di una storia che enuncia le sue proporzioni (sic) nella forma “se, allora”, in un rapporto fra condizioni e conseguenze, ma non è in gra- do di stabilire con certezza se si verificheranno le condizioni da cui dovrebbero necessariamente derivare certe conseguen- ze. L‟evento straordinario, invece, che è il punto di partenza della storia profetica è realmente avvenuto. Ciò che se mai rende problematico questo genere di storia è la non significa- tività dell‟evento straordinario prescelto, che può influire sul- la credibilità della predizione.

Norberto Bobbio, Kant e la Rivoluzione francese, 1989. Scrivevo nel preambolo all‟introduzione: però il 2008 è stato l‟anno dell‟elezione di Barack Hussein Obama alla presidenza degli Stati Uniti d‟America... Questo oggi a mio parere – e non solo a mio parere – è l‟evento straordinario, il punto di partenza della storia profetica, il segno di una tendenza che può incanalare il corso degli eventi futuri.

52 Anche Park (1950, p. 259) sembra dello stesso avviso quando afferma che il pregiudizio è la «disposizione più o meno istintiva e spontanea a mantenere la distanza sociale».

La Repubblica, 6 novembre 2008: il mondo è cambiato

Titolo di prima pagina: “Il mondo è cambiato. Obama presidente entra nella storia”. A centro pagina la foto di quattro persone di colore, due già vagamente familiari: lui – Barack Hussein Obama – la moglie Michelle, Sasha e Malia, le figlie.

La questione del colore della pelle del candidato democratico alla presi- denza degli Stati Uniti non è stata la questione al centro della campagna e- lettorale, ma vi ha aleggiato pesantemente. Allusioni, sospetti… Il giorno dopo è più facile dirlo, quasi fosse una liberazione. Dall‟editoriale di Ezio Mauro: “Il patto fondativo della nazione americana era incompiuto, perché il colore della pelle agiva ancora come limite per il pieno dispiegamento dei diritti nella più grande democrazia del mondo, e la leadership suprema alla Casa Bianca era fino a ieri il simbolo e il tabù di questo confine immateria- le, dopo gli anni della discriminazione razziale”. Ha sottolineato Coser (1971, 1983, p. 503): «Nel 1928, Park (1950, p. 233) scrisse queste profeti- che parole: probabilmente vi è meno pregiudizio razziale in America che altrove, ma sono presenti in essa in maggior misura i conflitti e gli antago- nismi razziali, dovuti alle maggiori probabilità di mutamento e di progres- so. In America il negro è un uomo che ha prospettive, e l‟antagonismo che incontra è, in un certo senso, la misura del suo progresso». A distanza di ottant‟anni, la Storia sembra proprio avergli dato ragione53.

Descrivendo il clima della festa, Mario Calabresi ci dà la misura della portata dell‟evento: “Improvvisamente l‟America è sembrata dimenticarsi del peso che la opprime da mesi, della sensazione di declino, di paura e di stanchezza. Non erano solo le centinaia di migliaia che festeggiavano a

Grant Park in una notte meravigliosa, mite, pacifica. Erano i tassisti che a Times Square hanno messo il volume delle autoradio al massimo, perché la

53 Per una diversa definizione della situazione si veda comunque questo passo, tratto da un sermone di Martin Luther King (in Scott King, a cura di, 1983, 2006, pp. 32-33): «Essere un negro in America significa non avere una vita facile. Significa far parte della schiera degli umiliati, degli oppressi, degli oltraggiati e degli sconfitti. Essere un negro in America signi- fica cercare di sorridere quando si ha voglia di piangere. Significa cercare di sopravvivere fisicamente quando si è psicologicamente morti. Significa il dolore di vedere il cielo mentale dei propri figli offuscato dalle nubi dell‟inferiorità». Ma per Sasha e Malia – e per tutte le bambine di colore, oggi in America – quel cielo è forse un po‟ più sereno.

folla sentisse le parole di Barack quando è saltato il collegamento con Chi- cago, erano le famiglie ispaniche che cantavano Sì se puede davanti ai can- celli della Casa Bianca, sono le persone che questa mattina ridono in mezzo alla strada perché è successo qualcosa che non avrebbero mai immaginato. Non c‟è nulla di retorico o naif, per avere conferma che una rivoluzione questo martedì è accaduta basta prendere la cartina degli Stati Uniti, le per- centuali di voto e i flussi elettorali. Questi numeri raccontano che il primo presidente nero della storia americana arriva alla Casa Bianca grazie ai bianchi che vivono nei sobborghi delle grandi città, grazie agli ispanici che si sono dimenticati decenni di rivalità, grazie ai giovani che hanno scom- messo sul loro futuro, grazie ai cattolici che hanno disatteso le aspettative di chiudersi di fronte al cambiamento e grazie agli afro-americani che han- no capito che ogni voto conta”.

“A chi si fosse dimenticato quanta strada è stata fatta – continua ancora Calabresi – Barack Obama ha regalato la storia della più anziana votante di queste elezioni: Ann Nixon Cooper. „Ha centosei anni, vive ad Atlanta, e si ricorda che non poteva votare: perché era una donna e per il colore della sua pelle. […] Questa sera abbiamo dimostrato ancora una volta che la vera forza della nostra nazione non nasce dalla potenza delle armi o dalle ric- chezze, ma dalla vitalità degli ideali: democrazia, libertà, opportunità e spe- ranza‟”.

La questione della razza e delle discriminazioni razziali si fa sempre più evidente nelle altre pagine del giornale. “È festa nazionale in Kenia. Grazie Barack, fratello nero”, titola il corsivo di Daniele Mastrogiacomo. Ed ecco qualche passo: “A Nairobi si celebra la caduta del grande muro che ancora divide l‟umanità, quella differenza razziale che Barack Obama è riuscito a scalfire dopo oltre due secoli di discriminazioni. Oggi il Kenya si ferma […] per consentire alla popolazione – come dice il presidente Mwai Kibali – „di rendere omaggio all‟uomo che consideriamo un nostro fratello‟”. An- che il presidente della Nigeria – Umaru Yar‟Adua – è sulla stessa lunghez- za d‟onda: “Si è finalmente rotta la più grande barriera del pregiudizio della storia umana”.

Il riferimento al superamento dell‟apartheid è costante, così come lo so- no le congratulazioni dei leader politici africani: tra gli altri, Ellen Jhonson, presidente della Liberia, Morgan Tsvangirai, leader dell‟opposizione in

Zimbabwe, Kofi Annan e Nelson Mandela, che non necessitano di essere presentati54.

Questa enfasi sul cambiamento epocale non sembra essere il frutto di un presupposto provincialismo italiano. Thomas Friedman, del New York Ti-

mes, parla della fine della Guerra Civile americana solo ora, “nel momento

in cui un uomo di colore, Barack Hussein Obama, ha ottenuto sufficienti voti elettorali da diventare presidente degli Stati Uniti”. Come recita l‟occhiello: “L‟elezione di Obama spazza via centoquarantasette anni di leggi razziali e di discriminazioni”. Continua Friedman: “Nonostante un se- colo intero di leggi sui diritti civili, di interventi giudiziari e di attivismo sociale, […] a dispetto della crociata di Martin Luther King, […] la Guerra Civile non poteva in alcun modo dirsi conclusa, non fino a quando una maggioranza di bianchi americani non avesse eletto presidente un afro- americano”.

Ma è sulle parole di chiusura dell‟articolo di Friedman che dovrò presto ritornare: “Il mio istinto mi suggerisce tuttavia che di tutti i cambiamenti che saranno apportati dalla presidenza di Obama, rompere con il nostro passato razzista potrebbe in definitiva rivelarsi il più piccolo”. Se così fos- se, cosa riserverà comunque al mondo l‟azione politica di questo giovane leader carismatico, in tema di diritti umani?

La Repubblica, 7 novembre 2008: emozioni in libertà

Magic Johnson – il famoso cestista americano – ha pianto tutta la notte alla notizia della vittoria di Obama: “Non avrei mai immaginato che l‟America fosse pronta a votare un candidato afro-americano”.

Giri pagina, e ti imbatti nelle scritte della speranza. Sono state tracciate su quello che è stato già definito il muro di Obama, a Washington, davanti alla tomba di Lincoln. L‟articolo è a firma di Vittorio Zucconi: “Grande come un billboard, come un cartellone stradale, ma già insufficiente a con- tenere le preghiere dei devoti del nuovo Obama Cult, si riempie dei graffiti del mondo che qui vedo sfilare per lasciare il proprio segno in russo, in por-

54 Scrive Anthony Giddens (1999, 2000, p. 24): «La comunicazione elettronica istantanea non è soltanto un modo per trasmettere più velocemente notizie o informazioni: la sua esi- stenza altera la struttura stessa delle nostre vite, ricchi e poveri insieme. Si può dire che, quando l‟immagine di Nelson Mandela ci risulta più familiare della faccia del nostro vicino di casa, allora qualcosa è cambiato nella natura della nostra esperienza quotidiana».

toghese, in aramaico, in coreano, in ideogrammi cinesi, in katakana giap- ponesi, in arabo. […] Tra le scritte, anche queste: „Grazie, fratello mio, gra- zie. Un sudafricano‟; „Per favore, non punire il popolo iraniano. Barzin, I- ran‟. Non è firmato l‟ultimo augurio: „Dio protegga e benedica l‟America da questo sconosciuto che sarà presidente‟”. Nell‟epoca del mondo globa- lizzato, evidentemente, l‟elezione del 44° presidente degli Stati Uniti d‟America genera aspettative in tutti gli angoli del mondo55.

Ma oggi il personaggio è lei, Ann Nixon Cooper, al seggio a centosei anni: “„Non ho tempo per morire – aveva detto alcuni mesi fa alla Cnn – prima devo vedere un presidente nero‟. […] Oggi […] tutti vogliono con- gratularsi con lei per essere stata additata a simbolo della capacità dell‟America di resistere e di progredire. […] Ora che Obama l‟ha citata nel suo discorso, si dice che possa essere invitata a Washington per il prossimo discorso sullo stato dell‟Unione. „Potrei anche andarci – dice lei – ma non è che ci tenga poi così tanto‟”56.

La Repubblica, 11 novembre 2008: la lunga onda nera

Adriano Sofri traccia una linea di continuità lungo quarant‟anni di storia d‟America. Era il 28 agosto 1963 quando il pastore protestante Martin Lu- ther King pronunciò il suo celebre discorso al Lincoln Memorial di Wa- shington, durante la marcia per il lavoro e la libertà. E sono gli ultimi giorni della campagna elettorale di Obama per le presidenziali del 2008 che sen- tono riecheggiare le medesime parole: I have a dream. Cambiano i tempi, la sfida oggi appare, se possibile, ancora più dura: “Martin Luther King ha evocato un sogno nel sogno, il sogno dei neri dentro il sogno americano, e l‟ha incarnato in vita e in morte. […] Obama fa appello al sogno nell‟occhio del tifone finanziario, di un‟asfissia del pianeta, di guerre senza fine, di una ricaduta di guerra fredda, del terrorismo, della proliferazione nucleare e del declino imperiale”.

Il nero come simbolo dell‟emarginazione del diverso: questo, in estrema sintesi, anche il senso del fondo di Nadia Urbinati “L‟uguaglianza e l‟opportunità”.

55 Per una disamina in chiave culturale del processo di globalizzazione, v. Sciolla (2002, cap. 7) e Griswold (1994, 1997, cap. 7).

La Repubblica, 13 novembre 2008: con i piedi per terra…

Il clima di festa e speranza, di attesa per un mondo più equo, più rispet- toso dei diritti di tutti, nulla ha a che vedere con Emmanuel e la sua vita. Siamo a Parma, città a misura d‟uomo… “Dieci vigili indagati. Gli urlava- no: confessa scimmia”. Ma come si fa a urlare scimmia a un ragazzo di co- lore?

Il fatto risale al 6 ottobre 2008, ma lui riceve ancora minacce, e confessa di aver paura. La foto di Emmanuel lascia pochi dubbi sulla violenza subi- ta: ha un occhio tumefatto e per le gravi lesioni ha dovuto subire un‟opera- zione chirurgica. Mi chiedo ancora: ma come si fa a chiamare scimmia un ragazzo di colore? Basta leggere l‟articolo: “„Confessa scimmia‟. Poi calci, pugni e l‟ultima umiliazione: quella busta, contenente i suoi documenti, con scritto „Emmanuel negro‟. Questa la ricostruzione fatta dalla Procura di Parma dopo che Emmanuel Bonsu Foster, studente ghanese di 22 anni, ha accusato la polizia municipale di averlo scambiato per il palo di uno spac- ciatore, pestato e insultato”.

La stessa pagina, dedicata alla cronaca, è un tripudio di episodi legati al- la negazione dei diritti dell‟Altro: l‟articolo sulle scritte antisemite a Roma; quello sul controllore del bus sospeso dal servizio per aver costretto un gio- vane rumeno – sospettato ingiustamente di furto – a denudarsi sul mezzo urbano; quello sulla processione a Rimini per il clochard dato a fuoco per gioco, o per noia, da quattro balordi. Poi ancora, in fondo alla pagina, il mi- stero per l‟assassinio di Tatiana a Udine: un trafiletto di poche righe per raccontare la definitiva negazione dei diritti della persona umana.

Ma come si fa a chiamare scimmia un ragazzo di colore? Come si fa a dar fuoco a un uomo, a uccidere Tatiana57?

57 A un anno di distanza, la cronaca sembra ripetersi. Siamo a Milano: “È polemica sui bus blindati usati dai vigili per i blitz contro i presunti clandestini. Mezzi con grate ai finestrini in cui vengono tenuti per ore gli stranieri trovati sui mezzi pubblici senza documenti, in atte- sa di essere identificati. A chiedere in Comune una marcia indietro, oltre a opposizioni e Cgil, sono Amnesty International ed esponenti del mondo cattolico, anche nella maggioran- za che sostiene il sindaco Letizia Moratti. In difesa dell‟uso dei bus blindati si schiera invece la Lega, che fa quadrato attorno al vicesindaco. […] Amnesty International, in una nota, chiede che si verifichi „la compatibilità con gli standard internazionali sui diritti umani‟. Il presidente delle Acli milanesi parla di una „pratica disumana, con uomini lasciati per ore al pubblico ludibrio‟. E sul fatto che gli stranieri siano tenuti „in gabbia come animali‟, si indi- gna anche don Gino Rigoldi, fondatore di Comunità Nuova: „Si cancelli questa vergogna, che ricorda i rastrellamenti fascisti‟”. L‟articolo è dell‟1 ottobre 2009, a firma Franco Vanni.

L‟eccezionalità della crisi economica, a detta di molti commentatori, ha consentito il verificarsi di un evento eccezionale (nell‟accezione di inim- maginabile): l‟elezione del primo presidente afro-americano alla guida de- gli Stati Uniti d‟America. Aspettando l‟effettivo insediamento di Barack Hussein Obama nel posto di comando più visibile (e forse pure più scomo- do) del mondo, gli strenui sostenitori della difesa dei diritti umani non pos- sono non augurarsi che ciò rappresenti il punto di partenza – o sia pure, di ri-partenza – della storia profetica. Le aspettative legate alla sua elezione emergeranno più chiaramente nel prossimo capitolo; ma fin d‟ora appare evidente che esse dovranno essere ricercate nel macro: perché, a dispetto delle intenzioni di chicchessia, nel mondo un tutore dell‟ordine potrà sem- pre apostrofare con l‟epiteto di „scimmia‟ un ragazzo di colore, così come un innocuo clochard potrà sempre subire l‟oltraggio di un qualche deficien- te58.