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Riferimenti bibliografic

1. Il nocciolo duro della questione: l’abuso di potere

Ridotta ai minimi termini, la tutela dei diritti umani è questione che tro- va il suo contraltare nell‟esercizio arbitrario del potere. Storicamente, l‟e- sercizio della forza bruta è stato prima appannaggio del più forte in senso fisico, poi del sovrano assoluto74.

Nel 1755, nel Discorso sull‟origine e sui fondamenti dell‟ineguaglianza

tra gli uomini, scriveva Rousseau: «In una società civile non potrebbe es-

serci giustificazione alcuna per l‟unico crimine umano realmente imperdo- nabile, che consiste nel credersi permanentemente o temporaneamente su- periori e nel trattare gli uomini come oggetti, che ciò si verifichi indifferen- temente in nome della razza, della cultura, del progresso, di un mandato uf- ficiale o semplicemente di un pretesto contingente».

Più di recente, sullo stesso tema così si è espresso Bobbio (1982, 1997, pp. 228-229): «Dalle origini delle società umane sino a un tempo così vici- no a noi che possiamo chiamare “ieri”, il contrassegno del potere è stato il diritto di vita e di morte. [Osserva] Elias Canetti (1960, 1981, pp. 279-280): “Nessuno può avvicinarsi al potente; chi porta un messaggio per lui […] viene perquisito perché non abbia armi. La morte è tenuta sistematicamente

74 E poco importa che si tratti di una semplificazione, come osserva Nadia Urbinati – “Con- dorcet era convinto, con più di una buona ragione storica, che il dispotismo di un uomo solo esistesse solo nell‟immaginazione. Il dispotismo è sempre di „alcuni‟ o „dei pochi‟, mai di uno solo, poiché l‟uno ha bisogno di appoggiarsi su un più o meno vasto sistema di amicizie e lealtà” – che la sostanza non cambia. Di oligarchia al governo, con o senza suffragio uni- versale, parla anche Vilfredo Pareto nel suo Trattato (1916).

lontana dal potente: egli può e deve infliggerla. Può infliggerla tanto spesso quanto gli piace. La condanna capitale che egli pronuncia è sempre esegui- ta. È il suggello del suo potere, il quale rimane assoluto soltanto fino a che il suo diritto di infliggere la morte continua ad essere incontestato. […] La morte quale minaccia è la moneta del potere”»75.

Come tristemente noto, questa moneta di morte ha ancora corso legale nel mondo. Lo testimonia, tra l‟altro, anche questo fondo: “Centinaia di vit- time e stupri: un massacro a Conakry. È salito a centosessanta il numero delle vittime del massacro compiuto lunedì in Guinea dalle forze dell‟ordi- ne. I civili, tutti disarmati, si erano radunati nello stadio della capitale per contestare la candidatura alle presidenziali del prossimo gennaio del capo della giunta militare salita al potere nove mesi fa con un golpe. La manife- stazione non era stata autorizzata, ed erano stati predisposti posti di blocco con auto e mezzi militari in tutta la città. Tutte misure che non sono però riuscite ad impedire a quasi cinquantamila oppositori di scendere nelle stra- de e protestare. L‟epilogo in serata: spari ad altezza d‟uomo, donne stuprate nelle strade e nelle caserme, giovani e anziani pestati a sangue. Condanne del massacro sono arrivate dal segretario dell‟Onu Ban-Ki Moon e dall‟Unione Africana. La Francia ha deciso di interrompere la cooperazione militare con la Guinea e di rivedere la politica degli aiuti”76.

75 Analoga posizione viene espressa dall‟antropologo belga Luc De Heusch (s. d., 2009): «Nelle società tradizionali, nel rituale remoto della transe il leader incarna [una] potenza irresistibile che lo rende altro, diverso dai comuni mortali e gli fa oltrepassare la soglia dell‟umanità collocandolo tra la ferocia della bestia e l‟onnipotenza del dio. Questo paesag- gio antropologico così arcaico sembrerebbe appartenere a un passato ormai lontano eppure, a sorpresa, torna a fare irruzione nelle nostre democrazie mature. In forme nuove, natural- mente, ma che conservano tuttavia un legame stretto fra potere e transe, retaggio di una sto- ria sociale e biologica dimenticata che resta nonostante tutto iscritta nel nostro genoma poli- tico». Per una analisi del comportamento ambivalente dei popoli primitivi verso i loro capi v. anche Freud (1912-1913, 1991, p. 77 e seguenti) e Cazeneuve (1971, 1974, p. 95). 76 Poiché l‟articolo non è firmato, cerco conferma sulla rete. Ed ecco uno stralcio della cro- naca che si può leggere alla pagina web http://www.misna.org/news.asp?a=1&IDLingua= 2&id=263409: “Un crimine contro l‟umanità premeditato, organizzato e che dovrà essere giudicato dalla giustizia internazionale: sono le conclusioni del rapporto messo a punto dalla Commissione di esperti delle Nazioni Unite incaricata di indagare sul massacro compiuto il 28 settembre scorso a Conakry, a margine di una manifestazione pacifica dell‟opposizione politica che contestava la volontà del capo della giunta militare (che lo scorso anno ha preso il potere con un golpe) di candidarsi alle prossime elezioni. A sostenerlo è il quotidiano

Il caso della Guinea non è certo isolato. Mi si consenta allora di ripren- dere l‟incipit che nel capitolo 2 (par. 2) ci aveva introdotto nel microcosmo di Emmanuel Bonsu Foster, per parlare di un altro popolo. Il clima di festa e speranza, di attesa per un mondo più equo e rispettoso dei diritti di tutti, nulla ha a che vedere con quanto succede in Congo, una delle tante piaghe del mondo contemporaneo, post in tutto tranne che nel modo di gestire il potere nei confronti dei più deboli: “Dal 1998 in Congo povertà e guerra civile hanno causato quattro milioni di morti, il bilancio più grave dalla se- conda guerra mondiale. Ogni anno muoiono seicentomila bambini. Per cau- se dirette o indirette della guerra un bambino su cinque non raggiunge il quinto anno di vita. Tra Rutshuru e Goma vagano almeno cinquantamila persone private di tutto. Uomini, donne, tantissimi bambini, da due setti- mane prigionieri di una guerra che rischia di provocare una catastrofe uma- nitaria. Sono ormai quasi due milioni i rifugiati senza viveri, ammalati, inti- rizziti dal freddo e dalla pioggia”77.

L‟ininterrotto ricorso alla violenza nella storia dell‟uomo viene ribadito, mentre scrivo queste note, da Joaquín Navarro-Valls – direttore della Sala

francese Le Monde che oggi ha anticipato le conclusioni del rapporto, sostenendo di aver ricevuto copia del documento consegnato sabato notte al Consiglio di Sicurezza delle Na- zioni Unite. Secondo il quotidiano francese […] nel rapporto „la Commissione considera che esistano ragioni sufficienti per presumere una responsabilità penale diretta del presidente Moussa Dadis Camara‟ e di diversi esponenti della giunta al potere. Nelle sessanta pagine del documento, realizzate dopo aver interpellato oltre settecento testimoni, si confermano le accuse mosse all‟esercito di un massacro premeditato: gli omicidi compiuti all‟interno dello stadio di Conakry vengono, infatti, definiti „sistematici‟ con violenze e assassini „organizza- ti‟ e a freddo. Il rapporto conferma anche i bilanci circolati in precedenza: dal numero di vittime (almeno centocinquantasei persone uccise o scomparse) alle donne violentate (cen- tonove), sottolineando come i dati reali siano probabilmente più elevati. Nel documento le responsabilità oggettive del massacro vengono addossate ai „berretti rossi‟, ovvero la guar- dia presidenziale, impegnati in un‟azione dimostrativa il cui scopo era quello di mettere a tacere una volta per tutte le voci di dissenso su una possibile candidatura di un esponente della giunta al potere alle prossime elezioni”.

77 C‟è da chiedersi: quanto è informata l‟opinione pubblica occidentale su questi massacri?

Ad ogni modo, più in generale, non è certo per caso che ai giorni nostri l‟osservatorio sulle guerre dell‟Università di Uppsala (Svezia) abbia rilevato – a fronte del declino della tensio- ne tra le grandi potenze mondiali – la recrudescenza dei conflitti armati locali in Asia e Afri- ca e il ritorno della guerra in Europa, conseguenza della crisi dei Balcani e della disgrega- zione dell‟URSS (fonte: http://pace.unipi.it/pubblicazioni/articoli/altieri).

Stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006 – nel suo bilancio di fine decen- nio: “La ferocia è una nefasta espressione personale, una macchia originaria che probabilmente non uscirà mai dalla storia, perché non è mai stata assen- te dalle vicende umane. Fino a qualche tempo fa l‟uso della guerra era pen- sato come pressoché inevitabile per la realizzazione dei più nobili ideali po- litici creduti dalle persone. Nel nuovo secolo [è] ancora una volta la violen- za a dominare la scena. Pur non essendovi più né motivi ideologici, né inte- ressi nazionalistici da difendere, la contesa tra esseri umani semina lo stes- so morti in quasi tutti i luoghi del pianeta, l‟ostilità non lascia in pace nes- suno, diffondendosi ovunque nel mondo globale”.

Per Nadia Urbinati: “L‟abuso di potere è un fatto gravissimo perché di- strugge una comunità politica trasformando i cittadini in sudditi, facendone oggetto di raggiro, mettendoli nella condizione di non sapere e quindi non potere giudicare con competenza, lasciando chi governa nella straordinaria libertà di fare ciò che vuole. L‟abuso mina alla radice la fiducia senza la quale non si danno relazioni politiche in una società fondata sul diritto. Il liberalismo ha colto al meglio questo problema, poiché ha da un lato assun- to che il potere è necessario, e dall‟altro che il suo esercizio stimola negli uomini la propensione a non averne mai abbastanza e quindi ad abusarne. Il potere alimenta la passione per il potere con un‟escalation fatale verso il monopolio. Le costituzioni moderne partono tutte dalla premessa che ci si debba sempre attendere la violazione e l‟abuso da parte di chi esercita il po- tere e per questo istituzionalizzano le funzioni pubbliche e stringono il po- tere politico dentro norme rigide e chiare. Da questa concezione liberale ha preso forma l‟idea che l‟unica legittimità che il potere politico può acquisi- re è quella che viene dal rispetto delle garanzie di libertà individuale e, quindi, dalla limitazione e dal controllo del potere. […] Il potere che opera d‟arbitrio non è più potere politico, quindi, ma è dominio assoluto e dunque nuda forza che fa di chi lo subisce un servo a tutti gli effetti. […] Il gover- nante che viola le norme che regolano il suo operato si impossessa del pote- re e lo piega ai suoi interessi”78. Ci ritorneremo più oltre.

78 Non sono certo concetti nuovi, tutt‟altro. Fanno parte della nostra tradizione culturale, e

dovrebbero essersi radicati nelle coscienze. Nell‟antichità erano i filosofi a riflettere sui li- miti da imporre all‟esercizio del potere. Venendo all‟età moderna, Montesquieu (1748) os- servava che «perché non si possa abusare del potere bisogna che il potere arresti il potere». Un secolo dopo, Benjamin Constant (1861) osservava: «I ministri possono essere accusati per abuso di potere o cattivo uso del loro potere legale». Sempre nell‟Ottocento, per pensa-

Ora, procedendo per punti a fissare alcune macro-categorie, è possibile notare come il potere arbitrario – o la forza bruta che dir si voglia – possa essere esercitato:

dallo Stato su un altro Stato;

dallo Stato sulle sue minoranze interne;

da istituzioni deviate, pubbliche o private, sui propri internati; dall‟uomo sull‟uomo;

dall‟uomo su se stesso, passando per l‟offesa alla natura. Prendiamo adesso brevemente in considerazione questi ambiti tematici, per tratti generalissimi.

1. Il potere arbitrario di uno stato sull‟altro chiama in causa l‟ambito in- ternazionale, ed ha a che fare con il fin troppo familiare concetto di guerra. Ma ci è poi così familiare questo concetto? Per sincerarcene ci domande- remo quanto sia rimasto immutato, o quanto sia cambiato, nel corso dei se- coli. Solo per anticipare uno spunto di riflessione, va detto che esso sembra essersi allargato a dismisura, fino a ricomprendere in sé un preteso (o prete- stuoso) scontro di civiltà.

2. Il potere arbitrario di uno stato sulle sue minoranze interne chiama in causa l‟ambito nazionale e ha a che fare con il concetto di democrazia e con quello di discriminazione sociale. È il caso dei diritti dei singoli che, in quanto appartenenti ad un gruppo minoritario, o ad una opposizione politi- ca, vengono sistematicamente repressi nel sangue.

3. Il potere arbitrario – o diciamo pure, assoluto – delle istituzioni sui propri internati si configura con la problematica degli abusi in un ambito ben più circoscritto. Solo per la supposta rappresentatività dell‟istituzione coinvolta assurge a problema di rilevanza nazionale. Qui il range è davvero ampio (e odioso); ma spaziando dalla tortura fisica alla sottomissione ses- suale, ha sempre a che fare con la violenza sul corpo dell‟altro.

tori liberali quali Constant, Tocqueville, Stuart Mill, la democrazia è garanzia dagli abusi di potere. E ancora un secolo dopo è la volta di Henri Lefebvre (1976): «La separazione del potere in esecutivo, legislativo, giudiziario proibisce gli abusi».

4. Con l‟abuso di potere dell‟uomo sull‟uomo approdiamo alla dimen- sione minimale della vita associata, all‟ambito micro sociale, quella che riempie giornalmente le pagine della cronaca nera: «Chi esercita un potere d‟azione può fare qualcosa cui gli altri non sono immuni; ha il potere di far loro patire qualcosa. Può togliere il credito, dar fuoco alla casa, imprigiona- re o espellere l‟altro, mutilarlo, violentarlo, ucciderlo. Il potere d‟azione è potere di offendere, chi è potente grazie all‟azione lo è in forza della capa- cità di offendere. Nell‟atto diretto dell‟offesa si mostra, in modo più palese che in altre forme di potere, quanto possa essere schiacciante la superiorità degli uomini su altri uomini. Nello stesso tempo, l‟atto diretto dell‟offesa ricorda la permanente vulnerabilità dell‟essere umano alle azioni altrui, il suo essere esposto all‟offesa, la fragilità e l‟esser indifeso del suo corpo, della sua persona» (Popitz, 1992, 2009, p. 35). Sviluppando il discorso su un altro piano, osserva Maria Teresa Denaro (2008, p. 77): «L‟attenzione che è stata rivolta ai diritti umani e il loro conseguente sviluppo hanno por- tato a riconoscere ad essi efficacia anche nel rapporto c.d. orizzontale tra individui. […] Questa situazione di ulteriore protezione dei diritti fonda- mentali è adeguatamente espressa dalla teoria della Drittwirkung, elaborata soprattutto dalla dottrina tedesca, ma prontamente utilizzata anche dalla giurisprudenza italiana. La Drittwirkung sta ad indicare che un diritto fon- damentale esplica la sua efficacia non solo nei confronti dell‟apparato pub- blico ma altresì nei confronti di tutti gli altri soggetti, con ciò intendendosi soprattutto i soggetti privati». Per ragioni di scelta metodologica non pren- derò in considerazione la violazione dei diritti umani in questo ambito: se lo facessi, attingendo dalla cronaca, rischierei di versare fiumi di inchiostro.

5. Il potere arbitrario dell‟uomo su se stesso è solo all‟apparenza un pa- radosso, riguardando la minaccia più o meno inconsapevole che il genere umano arreca alla Natura e quindi, in ultimo, a se stesso. Il riscaldamento del pianeta ne è solo l‟aspetto più noto e dibattuto, inscrivendosi nella pro- blematica sempre meno eludibile della globalizzazione e dei suoi rischi. Osserva Antonio Gnoli: “Si è entrati nel dominio della tecnica e nella sua illusoria efficacia […] per il quale la domanda fondamentale non è più: che cosa possiamo fare noi con la tecnica ma che cosa la tecnica può fare di noi. Insomma: pensavamo di possederla, ma è essa che alla fine ci possie- de”. Tale paradosso può anche essere osservato in una prospettiva diame- tralmente opposta: nel momento in cui l‟uomo, più o meno inconsapevol-

mente, fa male a se stesso, tocca l‟ambito più esteso possibile; quello d‟in- sieme, globale per l‟appunto.

Sono queste alcune delle tematiche riguardanti i vecchi e i nuovi diritti dell‟uomo che prenderò in considerazione nei capitoli seguenti. Qui, per concludere, voglio riportare lo scambio di opinioni tra una firma storica del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, e un alto prelato della Chiesa catto- lica, il cardinale Carlo Maria Martini. Afferma Scalfari: “Alla Resurrezione non credo, ma credo nel Golgota perché lì fu celebrato il sacrificio di un giusto, di un debole, di un povero. Quel sacrificio si ripete ogni giorno ed è il vero e unico peccato del mondo: il sacrificio, la sopraffazione, l‟umilia- zione del povero, del debole, del giusto. Il Golgota raffigura il peccato del mondo”. E il cardinale Martini, di rimando: “Sì, il Golgota rappresenta il peccato del mondo. A volte la Chiesa si occupa di troppi peccati e non tutti nella Chiesa sanno e sentono che quello è il solo, vero peccato: la sopraffa- zione, l‟umiliazione, il disconoscimento del proprio simile tanto più se è debole, se è povero, se è escluso”79.