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1.2 Sulla crisi ambientale nell’epoca dell’Antropocene.

1.2.1 Ambiente e sociologia.

La sociologia18 non ha fin da subito concentrato la sua attenzione sulla relazione ambiente/società sebbene, negli autori classici, si può rintracciare l’intento di affrontare alcuni nodi critici sul legame tra l’organizzazione sociale ed il contesto fisico –naturale in cui si sviluppa.

La prima definizione sistematica la si deve ad Emile Durkheim (1897), il quale si sforza di individuare le connessioni tra natura e fatti sociali. Questi ultimi sono allocati in un ambiente fisico che caratterizza l’agire sociale in virtù, da un lato, delle sue componenti spaziali e climatiche e, dall’atro, dell’ampiezza e densità della popolazione che vi insiste. Tali influenze sono così importanti che Durkheim (1897 –98) sente l’esigenza di fondare una nuova scienza, “la morfologia sociale”, in cui far confluire gli apporti della geografia, demografia, storiografia e della stessa sociologia. Il “sostrato”, una terza identità in cui si coniugano la dimensione ambientale e quella sociale, evidenzia la necessità di ancorare ad uno spazio fisico i fenomeni sociali.

Nell’impianto teorico di Durkheim, relativamente al rapporto scietà/ambiente, è evidente l’influenza del clima culturale in cui il sociologo viveva: il positivismo, con la centralità riconosciuta alle leggi naturali, la rinnovata geografia umana, con la sua impostazione deterministica, hanno sicuramente contribuito a concentrare la sua attenzione sul legame esistente tra le manifestazioni strettamente inerenti alla società e alle condizioni fisiche della loro realizzabilità. Tuttavia, l’insistenza su di esso mette in luce come questa connessione sia ritenuta indissolubile e addirittura costitutiva dei fenomeni sociali. (Mela, Belloni, Davico, 2003: 50 –51)

Nella sociologia dell’epoca tale impostazione non avrà molti altri sviluppi. Max Weber, notoriamente, focalizzerà la sua attenzione sull’azione sociale e i diversi tipi della sua organizzazione, sebbene essi stessi siano strumenti cognitivi che permettono di comprendere le forme sociali territorialmente localizzate in forma di famiglia, comunità di villaggio e nazione.

Karl Marx analizzerà la relazione struttura/sovrastruttura secondo una prospettiva di rapporti economici e di potere19, anch’essi comunque realizzati storicamente e territorialmente in diverse formazioni economico –sociali.

Al contrario, un radicale interesse per la dimensione territoriale, la si legge in Georg Simmel (1908) il quale non parla esplicitamente di ambiente ma individua la categoria analitica dello “spazio” come costitutiva dei

19 Anche quando analizza il rapporto tra modernità e natura, nel Manifesto del Partito

Comunista (Marx, Engels, 1848), la relazione è posta solo nei termini di soggiogamento delle forze naturali da parte delle macchine.

fenomeni sociali poichè, oltre a essere preesistente alle forme sociali, ne influenza sistematicamente le relazioni. Determinate forme spaziali riproducono specifiche forme sociali, in particolari condizioni territoriali che finiscono per influenzare la struttura delle relazioni.

La svolta paradigmatica la si deve alla scuola di Chicago a partire dagli inizi del Novecento. Un gruppo di studiosi20 fonda una nuova disciplina definita “ecologia umana” muovendosi dall’unità di analisi della città per studiare: «le relazioni spaziali e temporali degli esseri umani in quanto influenzati dalle forze selettive, distributive e adattative che agiscono nell’ambiente» (Park, Burgess,

McKenzie, 1925: 59). Si legge l’influenza del darwinismo nel tentativo di accostare alle società umane le caratteristiche rinvenibili nell’ecologia, e del suo ordine biotico applicato all’ordine sociale. Nelle cosiddette aree naturali si fondono la dimensione naturale, con i propri principi di equilibrio biologico, e quella costruita – spazialmente e socialmente – dotata di meccanismi di regolamentazione sociale ed economica.

Nella definizione di questo concetto troviamo così i meccanismi che operano nella relazione tra territorio e comunità sociali. I principi di competizione, di invasione e di simbiosi, a cui obbediscono tutte le specie viventi, sono all’origine della particolare configurazione della città: il primo spiega la lotta, da parte dei gruppi etnici o dei ceti sociali, per accaparrarsi un territorio il più possibile rispondente ai propri bisogni, mentre il secondo rende ragione dell’alternarsi di differenti popolazioni sulle varie aree urbane, e infine il terzo rileva le molteplici forme di integrazione tra popolazione e territorio, nonchè di uniformazione all’interno degli abitanti di un’area naturale. (Mela, Belloni, Davico, 2003: 53)

Nella riflessione sociologica del Novecento il concetto di ambiente progressivamente perderà la connotazione di “natura” per avvalersi di una dimensione più astratta.

Per esempio Erving Goffman (1959, 1971) definisce l’ambiente da un lato, come territorio e teatro dell’agire umano, dall’altro lo suddivide in regioni differenti, con precisi confini, entro cui si realizza l’interazione tra i soggetti che ne determinano la rappresentazione. Vale a dire che un luogo non è oggettivato, ma subordinato alle manipolazioni dei singoli attori che ne caratterizzano la narrazione. In particolare Goffman studia le istituzioni e

le definisce come caratterizzate da una propria microgeografia dei luoghi, osservandone ambienti specifici costruiti dagli individui con la finalità di disegnare spazi di interazione per salvaguardare una propria territorialità. Talcott Parsons (1951) decifra l’ambiente come tutto ciò che esiste intorno ad un sistema. Il suo approccio traspone l’impianto teorico delle scienze naturali e biologiche alla sociologia, e tratta il sistema sociale come un organismo vivente con proprie regole di funzionamento. Il sistema sociale, attraverso gli imperativi funzionali21 dovrà costantemente interagire con

un ambiente esterno configurando la relazione società/ambiente senza dover ricorrere alla terza identità durkheimiana del “sostrato”. Ciononostante Parson non darà una consistenza fisica all’ambiente, ancorandolo ad una dimensione astratta.

Gli anni sessanta e settanta definiscono il periodo del nuovo paradigma ecologico. Se da un lato nel nord del mondo si configurano i modelli di sviluppo che comportano l’uso intensivo delle risorse naturali, dall’altro prende vita un interesse sempre più vivo sulle questioni ambientali. In tale contesto matura una certa sensibilità anche in ambito sociologico.

William R. Catton Jr e Riley E. Dunlap (1978, 1980) sottolineano come il susseguirsi delle interpretazioni all’interno della disciplina, abbiano avuto un approccio antropocentrico che ha considerato le società umane al di fuori del mondo della natura, indipendenti dalla complessità degli elementi ambientali. La sociologia ambientale, proposta dal nuovo paradigma ecologico, parte dalla considerazione che l’agire umano è interdipendente dagli ecosistemi, tanto sul piano cognitivo che su quello dei comportamenti e delle relazioni materiali.

La produzione teorica di Luhmann, diversamente da Catton e Dunlap, definirà l’ambiente dal punto di vista del sistema sociale22 che,

21 Il modello LIGA: Latent pattner maintenance (mantenimento modello latente-

stabilità), Integration, (integrazione) Goal achievement (raggiungimento dello scopo),

Adaptation (adattamento)

22 secondo l’autore il sistema sociale è un sistema di comunicazioni, non è composto da

costituendosi come tale, individua l’ambiente come altro da sè. In tale quadro la questione ambientale è data solo se si comunica su di essa:

Non si tratta di presunti fatti oggettivi: che diminuiscano le scorte di petrolio, i fiumi diventino caldi, i boschi muoiano, il cielo si offuschi e i laghi si inquinino. Che tutto ciò avvenga, o non avvenga, in quanto stato di fatto solo fisico, chimico o biologico, non produce alcuna risonanza sociale fino a quando non si comunichi su di esso. (Luhmann, 1986:67)

In ambito marxista le prime riflessioni sulla questione ambientale tardano ad arrivare, il sociologo ed economista James O’Connor, in diversi lavori cerca di reinterpretare la teoria marxiana del capitalismo valorizzando gli elementi riconducibili alla crisi ambientale, auspicandosi una convergenza tra la tradizione socialista e quella del pensiero ambientalista23 nella compagine dei movimenti (O’Connor, 1992, 1998).

Infine merita di essere citato il contributo teorico di Peter Dickens – che coniuga la teoria marxiana con autori contemporanei come Giddens e Bhaskar – secondo cui le società umane sono parte di una più vasta entità naturale e che per essere lette necessitano uno sguardo analitico che tenga conto delle scienze sociali e fisico –biologiche insieme: «l’ordine sociale è contenuto e condizionato dall’ordine naturale da cui esso emerge e su cui a sua volta retroagisce.» (Bhaskar, 1989, cit. in Dickens, 1992: 183)

1.2.2 La questione ambientale in ambito sociologico