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IdT e il “progetto globalizzazione”.

Transition Leicester

5. Transition Leicester.

5.5 IdT e il “progetto globalizzazione”.

L’ultima asserzione di studio dalla quale partiamo si riferisce alle IdT come ad azioni collettive di critica al progetto globalizzazione, così come lo intende McMichael (2006). L’autore identifica in un regime alimentare un modo preciso di produrre, riprodurre e distribuire il cibo che corrisponde ad un disegno di egemonia globale. I modelli alternativi di relazione con la natura fanno emergere le contraddizioni del capitalismo in termini sociali ed ecologici. Osserviamo attraverso le tavole 5.3 e 5.4 i temi più citati in relazione alle reti alternative agro –alimentari e alla cultura della Transizione, per ricostruire l’analisi a partire dalle domande di ricerca.

Tavola n. 5. 3 – I temi più citati in rapporto alle Reti alternative Agroalimentari Item N. 1. Permacultura 12 2. Resilienza 12 3. Agricoltura comunitaria 12 4. Terra 12

5. Campagna 12

Tavola n. 5. 4 – I temi più citati in rapporto alla Transizione

Item N.

1. Transizione 12

2. Picco del petrolio 12

3. Cambiamenti Climatici 12

4. Ambiente 12

5. Comunità 12

La prima domanda di ricerca posta era: Le IdT esprimono una relazione alternativa con la terra, l’agricoltura ed il cibo?

E di conseguenza: Sono le Iniziative di Transizione un esempio di rete alternativa agroalimentare?

Prima di entrare nel vivo dell’interrogativo di ricerca, è utile ritornare su una questione legata alla categoria del conflitto. Come rilevato in precedenza, i gruppi di Transizione rifiutano di assumere una posizione conflittuale, ne prendono le distanze attraverso i propri testi, documenti e perfino nei colloqui di intervista:

Una cosa che mi è piaciuta molto del discorso sulla Transizione è stato quello di trovare le cose che uniscono la gente, di andare al di la dei discorsi ideologici che poi finiscono sempre per dividere la gente. Per allargare il gruppo abbiamo fatto incontri, proiezione di film con discussione, abbiamo coinvolto gente che aveva voglia di fare cose positive, perchè purtroppo la maggior parte delle campagne di sensibilizzazione sulle problematiche ambientali hanno una approccio negativo, cioè “dobbiamo bloccare questo”, “stop this”, sempre contro qualcosa, mai in favore di qualcosa o mai proponendo azioni positive, come invece facciamo noi proponendo comportamenti che tendono a svolgere azioni positive. (Dani, Community Harvest Whestone, Transizionista)

Ma ciononostante risulta evidente come di fatto le iniziative poste in essere siano puntualmente legate alla decostruzione di un’egemonia attraverso delle pratiche alternative. Il consolidamento delle prassi, in

contraddizione con quanto messo a tema dagli attori, determina una posizione antagonistica da parte di chi partecipa al movimento nei confronti del paradigma della modernizzazione. Le IdT appaiono come azioni collettive promotrici di cambiamento, nello specifico le pratiche legate al cibo si autodefiniscono generative di nuovi modelli di consumo e produzione, attenti alla salute dell’ambiente, della comunità e del patrimonio locale.

Nel caso di Leicester è il gruppo stesso a parlare di movimento per il cibo locale; si autodefinisce tale attraverso un corpo testuale diffuso in forma di volantino, ovvero nel proprio sito, o ancora nelle forme di comunicazione in atto durante gli incontri, ed i talk. Ebbene, ma la relazione alternativa con la terra si realizza?

Una ridondanza tipica delle azioni appannaggio del gruppo di Leicester è certamente legata ai consumi ed ai processi di produzione e riproduzione e alla distribuzione del cibo – così come osservato nel precedente paragrafo. La Community Harvest Whetstone certamente incarna la volontà di assumere una relazione differente con la terra, proponendo un sostanziale riavvicinamento tra città e campagna.

Il problema, o meglio il punto di debolezza del caso del gruppo di Leicester, è che di fatto riesce a coinvolgere poche persone. Le azioni, così come le iniziative, finiscono con l’essere appannaggio dei soli attori della Transizione; il gruppo non è capace di attrarre un numero significativamente crescente di partecipanti.

La questione del coinvolgimento è percepita anche dagli attori stessi, leggiamo per esempio le parole di Robert:

Organizziamo diversi stages, meeting ed incontri. Io mi occupo della comunicazione per diffondere la green life. Ma il nostro problema è la gente. Non riusciamo a coinvolgere molte persone. Ci interroghiamo continuamente su come fare. È per questo che io in questo periodo mi occupo di comunicazione all’interno del gruppo. Uso FB, ho costruito una mailinglist e ogni tanto facciamo uscire dei comunicati stampa per le nostre iniziative. (Robert, impiegato, Transizionista)

Il gruppo percepisce di dover provare ad attrarre nuove persone, per cui ricorre agli strumenti classici della comunicazione come i social network, le mail ed i giornali, con l’obiettivo preciso di aumentare il numero di partecipanti alle iniziative.

Anche Clare, avverte lo stesso problema:

Transition culture può essere una base per il cambiamento, un cambiamento che non si ha con grandi rivoluzioni, ma gradino dopo gradino, già sono sorte Transition Towns in diverse parti del mondo, è importante la comunicazione e la diffusione dei progetti. Ma il nostro problema è che siamo pochi. Abbiamo bisogno di più persone. (Clare, studentessa, Transizionista)

Clare ci parla di cultura della Transizione e stabilisce che può essere uno strumento per produrre un cambiamento, ma contestualmente ribadisce che c’è bisogno di un numero maggiore di persone.

L’impressione rilevata è che, nonostante sia la rapida diffusione dell’esperienza della Transizione a livello planetario, l’istituirsi di una TT finisce col non essere così significativa se rimane appannaggio di poche persone particolarmente sensibili alle questioni ambientali ancor prima di venire a fare parte del gruppo.

Rimane il fatto che – non tenendo conto della portata della questione in termini numerici – l’esperienza del gruppo di Leicester è in atto e si pone la questione della sostenibilità alimentare. L’obiettivo principale dei progetti è quello di produrre frutta e verdura in un rapporto compatibile con l’ambiente per riconnettere la comunità locale con i luoghi della produzione del cibo. Così come si legge chiaramente nel progetto della Community Harvest Whestone:

CHW is a co–operative that started in 2009 as an offshoot of Transition Leicester. Our main aim is to produce vegetables in an environmentally sound way while reconnecting the people of Leicester with the places their food comes from. The project was inspired by the Community Supported Agriculture approach, a system which turns consumers into crop sharers who, by paying ahead of receiving the produce, share in the risks and successes of farming with the added bonus of

becoming part of a dynamic community of people who can meet regularly for social events, contribute to the work in the field and have a say on how the project is run.

(http://www.community –harvest –whetstone.org.uk/membership/investment)

Riconnettere i consumatori con i luoghi della produzione è l’obiettivo principale del progetto, in seno alla Community le persone possono decidere di aderire a due/tre livelli: partecipare alla produzione del cibo direttamente lavorando la terra, oppure semplicemente acquistare frutta e verdura nei giorni stabiliti o ancora, raggiungendo la campagna immediatamente prossima al centro urbano, limitarsi ad osservare la crescita dei prodotti negli orti prima di farli pervenire sulle proprie tavole. Tutto questo genera una ricaduta sociale: la gente coinvolta nelle attività comincia a cogliere la portata del potenziale mutamento che si può creare a partire dalla comunità locale. Per esempio, i bambini coinvolti nel lavoro della terra comprendono i processi produttivi dei cibi, i cicli, le stagioni, si riavvicinano alla natura, imparano che i pomodori non nascono da Tesco. I più piccoli assieme agli adulti assumono valori appannaggio dei saperi tradizionali che arricchiscono di sostenibilità il rapporto con il proprio patrimonio territoriale.

È possibile a questo punto considerare Leicester Transition un’Alternative Food Network?

Le reti alternative agro –alimentari altro non sono che delle pratiche di produzione e consumo di cibo che si contrappongono a quelle imposte dal mercato. Sostanzialmente spesso ci troviamo di fronte ad agricoltori e consumatori che rafforzano le proprie interazioni a livello locale. La letteratura ci fa distinguere fra diverse reti e tracciare dei principi comuni di riferimento.

Gli obiettivi delle AFN, come osservato precedentemente, rsultano essere principalmente tre:

1. pratiche produttive sostenibili;

3. cambiamento delle politiche.

Nelle Iniziative legate al progetto di agricoltura comunitaria il concetto di riproduzione delle risorse produttive è centrale. Innanzitutto poiché le pratiche sono tutte progettate attraverso la permacultura (si veda appendice 6) che, per definizione, unisce le componenti sociali, economiche, culturali e tecniche dell’ambiente in cui viene applicata. Di conseguenza il sistema di produzione agricola è immaginato per tutelare la diversità, la stabilità e la resilienza degli ecosistemi. Consente dunque una relazione armoniosa tra l’ambiente e le persone, una sinergia che permette la circolarità delle risorse impiegate.

Il modello di consumo, propriamente in ragione dell’abbattimento delle emissioni antropiche, proposto dalle IdT mette in discussione le convenzionali forme di distribuzione del cibo, creando nuove filiere in cui si riduce la distanza tra produttore e consumatore.

È negli obiettivi del gruppo di Leicester riuscire ad instaurare un dialogo con l’amministrazione locale per orientare le politiche in direzione di un maggiore sostegno alle pratiche di innovazione relative alle attività di produzione e riproduzione del cibo.

Le azioni locali delle IdT possono essere considerate come forme di innovazione sociale intorno al tema dello sviluppo sostenibile e dunque embrioni di nicchie strategiche in cui si manifesta la condivisione di valori alternativi leggibili in un frame culturale che mette in discussione l’immaginario dello sviluppo e si innescano i meccanismi per determinare la riappropriazione sociale dei beni e dei servizi comuni.

Si cercherà di tracciare un profilo comune nell’universo della Transizione a partire dall’esperienza di Leicester per rispondere all’ultimo interrogativo di ricerca: È possibile tracciare una dimensione simbolica e culturale comune degli attori della Transizione?