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La questione ambientale in ambito sociologico contemporaneo.

1.2 Sulla crisi ambientale nell’epoca dell’Antropocene.

1.2.2 La questione ambientale in ambito sociologico contemporaneo.

La questione ambientale24 sembra essersi radicata nel senso comune in almeno due direzioni: la prima coinvolgerebbe le persone pronte a fare una riflessione sulla crisi ecologica intesa come il prodotto della corsa al

autoriprodursi incessantemente. Dunque, secondo tale approccio, l’ambiente potrà essere preso in considerazione solo se diventa oggetto di comunicazione

23 Su questi temi cfr. la rivista “Capitalism Nature Socialism”, diretta, nell’edizione

americana, per tanti anni dallo stesso O’Connor.

24 La sociologia ha sviluppato un ampio frame concettuale per lo studio dei fenomeni

spaziali. La maggior parte si fonda sulla relazione spazio  società  spazio. In sintesi, gli studi si evolvono a partire dalla scuola di Chicago negli anni ’20, approdando agli attuali tentativi di unificare la questione ambientale con l’analisi della società (Gans, 2002; Hawley, 1950; Duncan, 1964).

progresso che ha indotto alla mercificazione delle relazioni; la seconda negherebbe con risolutezza questa lettura confidando nell’espansione in grado di curare le storture. Come spiegare interpretazioni così divaricanti? Pellizzoli e Osti (Pellizzoli e Osti, 2003; Osti, 2006) hanno dimostrato come la crisi ecologica si manifesta sostanzialmente in due modi:

- le attività umane hanno richiesto l’occupazione di sempre più spazio producendo delle disfunzioni dei cicli naturali e contemporaneamente l’aumento di scarti sistematicamente dislocati in diverse parti del pianeta. Si tratta di quello che Boudon (2002) chiama “fenomeno delle conseguenze non volute”, ossia come le scelte razionali compiute dal singolo degenerano in perversioni collettive. Le attività sarebbero così pervasive che lo spazio non riesce più a fungere da barriera; le conseguenze non possono essere più organizzate razionalmente poiché esulano dal controllo dei singoli. In altre parole, operando in un dato territorio si impone uno specifico costo ambientale in un altro senza averne effettiva contezza.

- L’immissione continua di nuove merci e la conseguente combinazione fra queste non può essere tenuta sotto controllo, nè è possibile prevederne l’impatto sulla società. La derivante situazione di incertezza del cittadino è spiegata da Bauman (1999) su tre livelli: fisico, cognitivo ed esistenziale. Una paura per la propria incolumità per un fattore presente nell’ambiente; un’incertezza cognitiva per l’incapacità di raccogliere informazioni differenti che giungono al soggetto senza una concreta coerenza interna; ed infine quella esistenziale che è un’incertezza di natura ideologica, legata al sistema di credenze del soggetto e alla sua capacità di comprensione dei cambiamenti attraverso le visioni metafisiche, la religione e la fiducia nella scienza e nel progresso.

A prescindere dal posizionamento o dai riferimenti che si decide assumere, si potrebbe convenire su fatto che all’origine della crisi ambientale vi siano le attività umane. La rivoluzione industriale, con la produzione su larga scala di manufatti, ha introdotto nuove sostanze e composti potenzialmente tossici e non facilmente riassorbibili dai cicli naturali. L’affermazione della libertà di impresa ed il diritto di stabilire nuove forme monetarie e di scambio per i beni ambientali, hanno portato ad una crescente autonomia dei sistemi sociali. Questo fenomeno può essere definito come modularizzazione della vita collettiva (Osti, 2006), ossia un processo attraverso il quale gruppi, organizzazioni ed individui si sganciano da un ordine gerarchico ma allo stesso tempo mantenengono dei legami con gli altri. In altre parole si definisce la centralità dell’organizzazione a rete, agevolata dalle tecnologie sempre più performative e adattabili a scale più piccole (Castells, 1996; Dahrendorf, 2003; Tofler, 1980).

La modularizzazione intesa come una tendenza prevalente nella società, può incidere sull’ambiente negativamente per due ragioni: creando una enorme quantità di relazioni non standardizzate ed organizzate, provocando una forte incertezza data l’assenza di controllo e, secondariamente, producendo un crescente volume di esternalità per ciascun modulo, che viene introdotto sotto forma di scarti o rifiuti nell’ambiente con effetti cumulativi:

Se un’impresa decentra il lavoro di ufficio nelle singole abitazioni dei suoi collaboratori, ciascuno di esso dovrà dotarsi di un personal computer e di una stampante. La tecnologia lo permette e, probabilmente, vi è una convenienza economica nel fare ciò. Tuttavia, ogni singolo modulo (ufficio nell’abitazione) avrà la necessità di dotarsi di proprie attrezzature e produrrà una corrispondente quantità di rifiuti (es. cartucce della stampante). Ciò moltiplicherà il numero di oggetti da mettere in circolazione, con il relativo fardello ecologico. Invece, nell’ufficio centralizzato si può avere una sola stampante molto grande collocata nel corridoio che serve più uffici. (Osti, 2006: 32)

Si potrebbe leggere la modularizzazione anche a partire dalle unità domestiche come le famiglie che diventano sempre più piccole e determinano un aumento del consumo di materiali e relativi scarti – si

rimpiccioliscono le case, gli spazi e di conseguenza le confezioni degli alimenti che provocano una moltiplicazione degli involucri.

Le imprese come le famiglie sono soggetti razionali che perseguono le economie di scala che, secondo Bonaiuti (2004), non semplificano le procedure di mantenimento degli apparati organizzativi di imprese e istituzioni. L’economia neoclassica nel valutare l’impatto di un prodotto sul mercato considera i dati di flusso e non la concentrazione degli scarti – questione centrale in materia ecologica.

Un’economia modularizzata lascia spazio a proposte di soluzione al degrado ambientale?

Le risposte sono sempre improntate sulla razionalità che non sempre coincide con quella ecologica. È possibile catalogarle a partire dalla lettura delle sue cause. Osti (2006) ne individua quattro:

la prima è legata alla governance (Schmitter, 2002) e si concentra sulla possibile riflessività (ossia l’auto –analisi di un singolo) data la crescente autonomia degli attori sociali. Ciò è possibile se si accompagna con una sostituzione dei tradizionali metodi di decision making, per fare posto a dei modelli partecipativi in cui mescolare equità e razionalità, per mettere tutti nelle condizioni di esprimere la propria opinione con “cognizione di causa” (Renn, 1999). Tale risposta rimanda ad una lettura della crisi ambientale fondata su una complessità che non può trovare risposta nella razionalità scientifica o politico –elettorale ma, piuttosto, in produzioni discorsive di esperienze di partecipazione e di controllo democratico (come le pratiche di Agenda 21 Locale, Davico, 2004), che si sono sistematicamente interrogate sulle tematiche ambientali a partire da proposte nate tra gruppi di persone interessate ad un confronto per produrre cambiamento nella propria comunità25.

25 Sempre secondo Osti (2006), il tallone d’Achille di questa proposta risiede

nell’incapacità di incidere significativamente nella crescita dei volumi e nell’occupazione degli spazi a livello macro. Per cui affranca dall’incertezza i soggetti partecipanti, ma non necessariamente produce degli effetti efficaci sulla crisi ecologica.

La seconda risposta si articola a partire dal concetto di gerarchia. La crescente modularizzazione della società se da una parte rimanda ad una visione di maggiore autonomia, di fatto è uno schema che rafforza il capitale. Richiede una maggiore flessibilità ai lavoratori e alle imprese minori che rimangono sotto il controllo di centri che gestiscono crescenti porzioni di potere. Le cosiddette core cities detengono il capitale finanziario (Wallerstain, 1995) che si esprime attarverso forme più raffinate ed indirette tramite «la proprietà dei maggiori centri di ricerca, la capacità di brevettare nuovi beni (in particolare, il patrimonio genetico), il controllo dei più diffusi mezzi di comunicazione, influenzando pesantemente gli ultimi eventi di massa come le manifestazioni sportive» (Osti, 2006: 34). Per contrastare l’èlite internazionale

che detiene questo potere, dovrebbe rafforzarsi una controgerarchia basata sugli stati nazionali e sulla creazione di un’autorità politica mondiale (Zamagni, 2002). Tale risposta si articola dunque a partire da un aumento del controllo sui commerci e sulle fonti energetiche basato su sani principi di tutela ambientale (Martinelli, 2004)26.

La terza via è quella della semplificazione. Deriva da una lettura della società che definisce l’uomo avido e prometeico che, incapace di assumere il senso del limite, produce un crescente sfruttamento dei più deboli, la distruzione e il depauperamento dell’ambiente (Pieroni, 2002). Tale visione individua la causa del degrado come una conseguenza di un’articolata questione culturale che guarda ai processi di modernizzazione come il frutto di una mercificazione dei valori e delle alterità. La risposta sarebbe da rintracciarsi nel rallentamento e nella messa in discussione degli stili di vita e dei consumi, riorientando i propri atteggiamenti su una maggiore attenzione all’altro da sè e alla natura (Sachs, 2002; Gesualdi, 2005)27.

26 Il punto debole di tale posizione risiede intanto nell’eccessiva concentrazione

nell’individuazione delle cause del problema su questioni economiche (Roberts e Grimes, 2002) e, secondariamente, sulla possibilità fortemente critica di istituire un controllo sovranazionale, sistematicamente osteggiato dai singoli paesi (Osti, 2006).

27 Questo quadro, in cui l’organizzazione della vita dovrebbe posizionarsi su piccola scala,

e basarsi su valori come la convivialità e il gusto della vita attraverso l’esaltazione delle sensazioni corporee, viene spesso tacciato come irrealistico e un po’ naif. È difficile

Infine il quarto rimedio riguarda la complessità. A partire da una lettura della società come un magma che diventa sempre più articolato e differenziato, tale risposta si pone come critica ai tre precedenti approcci: non è possibile invocare un rafforzamento degli stati nazione, una moralizzazione del sistema –mondo o tornare indietro in un tempo privo di tecnologia. La risposta alla crisi ambientale sarebbe dunque conseguente a delle forme di autoregolazione in cui governi privati redigono accordi con imprese e autorità pubbliche, destinati alla difesa e alla conservazione degli ecosistemi frutto di una crescente differenziazione28.

Verosimilmente tra le risposte appena tracciate quella che prevarrà sarà probabilmente la quarta, ossia un ampliamento della complessità e della crescita modulare in cui prenderanno forma nuove istituzioni e organi atti a provvedere ai problemi di natura ambientale; la complessità sarà contrastata per mezzo di nuove centri incaricati di studiare degli schemi sistema – ambiente29 (Osti, 2006)30.