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Verso la co-produzione per una bioregione urbana.

Le Iniziative di Transizione

2. Fra teoria e prassi: Le Iniziative di Transizione.

2.2. La Transizione: un progetto locale.

2.3.3 Verso la co-produzione per una bioregione urbana.

Ripartendo dal concetto di autosostenibilità introdotto da Magnaghi (2000) – a cui è possibile collegare le Iniziative di Transizione – si assume come riferimento analitico e progettuale la categoria interpretativa dell’ecosistema territoriale – e non l’ecosistema urbano – attraverso il quale si stabilisce una relazione tra la città e il territorio in una logica sistemica in cui:

[ogni città] avrà terreni sani, molto vasti, di diversi tipi, ridenti, fertili, ben difesi, assai produttivi, provvisti di frutti e di sorgenti in abbondanza. Nel territorio dovranno trovarsi fiumi e laghi, ed essere agevole la via verso il mare, attraverso cui procurarsi ciò che manca ad esportare ciò che avanza. (Alberti, 1989:147 in Magnaghi, 2010:185)

Attraverso gli studi di caso si osserverà come il movimento delle IdT sia strumentale alla realizzazione di una virtuosa relazione fra la città e il suo patrimonio territoriale e ambientale. Secondo Magnaghi (2010) una

relazione simile diviene una fonte rigeneratrice di energie in cui è possibile contrarre, in modo armonioso e indolore, l’impronta ecologica; contestualmente, diminuendo i costi di riproduzione, può aumentare la produzione di ricchezza in forme durevoli e sostenibili. In questa rinnovata e dinamica visione tra città e campagna, si realizzano i principi della bioeconomia (Georgescu – Roegen, 1966) e dell’economia sistemica e solidale (Bonaiuti, 2004) che consentono di orientare la qualità dei consumi e il benessere verso l’autoriproducibilità in una dimensione cosiddetta bioregione urbana91:

Costituita da una molteplicità di sistemi territoriali locali a loro volta organizzati in grappoli di città piccole e medie, ognuna in equilibrio ecologico, produttivo e sociale con il proprio territorio. Essa può risultare “grande e potente” come una metropoli: anzi è più potente del sistema metropolitano centroperiferico perchè produce più ricchezza attraverso la valorizzazione e la messa in rete di ogni suo nodo “periferico”; evita peraltro congestioni, inquinamenti, diseconomie esterne riducendo i costi energetici e i costi da emergenze ambientali, riducendo la mobilità inutile alla fonte, costruendo equilibri ecologici locali, che a loro volta riducono l’impronta ecologica ovvero l’insostenibilità dovuta al prelievo dio risorse da regioni lontane ed impoverite. (Magnaghi, 2005:6)

Intersecando la letteratura sulla permacultura – della quale si incontrano continui riferimenti, taciti o espliciti, nelle iniziative per la Transizione – con quella territorialista, sembrerebbe che il Movimento delle IdT coincida perfettamente con l’idealtipo della bioregione urbana in cui si compie uno scenario progettuale che:

- contribuisce alla riduzione dell’impronta ecologica;

- ricostruisce un rapporto di scambio solidale fra città e campagna; - aumenta la qualità dell’abitare e del produrre;

- restituisce proporzioni, confini e limiti all’insediamento, attraverso regole di autorigenerazione degli agroecosistemi, dei sistemi dele acque superficiali e profonde e delle reti ecologiche;

91 Concetto che Magnaghi costruisce attraverso l’evoluzione dell’accezione ecologista di

bioregione (Berg, 1978; Sale, 1991; Todd e Todd, 1989; McGinnis, 1999, in accezione socioecologica e municipalista (Bookchin, 1989) e poi bioeconomica (Latouche, 2008). Nella letteratura territorialista si rifà alla geografia ecologica (Geddes, 1970; Mumford, 1963; Saragosa, 2005; Vidal de la Brache, 2008)

In altre parole siamo di fronte ad un’organizzazione territoriale che permette di riprodurre in modo equilibrato il proprio ciclo di vita (Dematteis, 2001). La terra è la riserva di ogni risorsa naturale ed è all’origine di qualsiasi forma di riproduzione; i processi di modernizzazione hanno creato una seconda natura artificiosa, progettata per la massimizzazione dei profitti dove si sono distrutte le condizioni che assicurano la rinnovabilità, minando la continuità del rapporto tra ambiente e cultura in cui si radicavano quelli che Mander e Goldsmith (1998: 264) identificavano come saperi tradizionali:

Le comunità tradizionali sanno sfruttare in modo razionale le risorse del proprio ecosistema. Il motivo è semplice: le aziende che producono per l’esportazione spremono la terra come un limone e poi si trasferiscono altrove, mentre le comunità locali sanno che quella è la sola terra che hanno. È appunto per questo che hanno sviluppato tecniche di coltivazione più efficaci e più razionali.

Assunto il concetto di natura viva, bisognerebbe ripensare l’agricoltura come settore strategico per l’assetto territoriale complessivo, come si legge negli esempi che si trovano in un lavoro dell’ Anci Toscana92 (1996:17 in Magnaghi, 2010):

- rinaturalizzazione dei sistemi ambientali degradati mediante rimboschimenti, con utilizzazione privilegiata di specie originarie e tradizionali;

- costruzione di zone cuscinetto e corridoi biotici (wildlife corridors) per connettere spazi e habitat relitti e interclusi nelle periferie urbane e nella città diffusa, e connessione dei sistemi ambientali attraverso reti ecologiche;

- fasce agricole e forestali periurbane;

- uso delle foreste e della sistemazione tradizionale dei suoli come strumento di difesa idrogeologica;

- creazione di orti urbani, campi scuola per l’agricoltura biologica, vivai civici, compostaggio di rifiuti urbani, produzione mirata al fabbisogno alimentare urbano;

- ecosistemi filtro per la biodepurazione delle acque e il loro recupero irriguo e la creazione di zone umide.

È proprio all’interno dell’interazione continua tra società e natura che si definisce la categoria della co–produzione (Van der Ploeg (2006) che si incarna propriamente nell’agricoltura, nelle attività forestali o, più in generale, nella attività per la produzione dei beni alimentari. La ruralità – o gli spazi aperti per dirla con Magnaghi (2010) – possiede due frontiere (figura 2.4): la natura – selva (wilderness), e la società. L’agricoltura funge da tramite fra i due confini, in uno spazio in cui si realizza, in una forma multifunzionale, la produzione e la valorizzazione di beni peculiari che assicurano una ricchezza durevole, dal momento che è il frutto di un rapporto di cura della riproduzione del territorio:

le prime e più importantii occupazioni dei cittadini devono essere quelle che assicurano loro la sussistenza, il vestiario e l’alloggio, ed hanno per oggetto l’agricoltura e le arti che servono allo sfruttamento delle terre, alla costruzione degli edifici, alla fabbricazione dei mobili e delle stoffe.» (Buonarroti, 1971, in Fregna, 1987:125)

Contesto Selvaggio Natura Contesto Rurale Locus Della coproduzione Natura –Società Contesto Urbano Società

Figura 2.4: Le frontiere della ruralità, van del Ploeg (2006: 58)

In molte città si esprimono oggi delle nuove forme di ruralità urbana che manifestano finalità produttive multifunzionali socialmente ed economicamente riconosciute dove, dati dei rapporti di co –produzione, si recupera il valore e la coscienza del contesto rurale e dei suoi soggetti – gli agricoltori – in una nuova forma strategica di alleanza multifunzionale tra città e campagna. Come ha osservato van der Ploeg (2009), nei

contesti agricoli periurbani – che ancora manifestano una territorialità debole per quanto concerne il rapporto di valorizzazione – si possono osservare delle dinamiche di innovazione: nuove forme di resistenza e di ricontadinizzazione. Sono attività di recupero delle forme tradizionali di agricoltura, in una rinnovata visione multifunzionale in cui si estendono delle nicchie strategiche, novelty, che spesso dialogano con le città attraverso le filiere corte che riuniscono produzione e consumo.

Nella visione della bioregione urbana di Magnaghi (2010: 203)

I nuovi agricoltori assumono un’importanza che richiama quella che i fisiocratici attribuivano alla terra. Ad essi è affidata in primo luogo la produzione di filiere alimentari locali di qualità, che contribuiscono a ridefinire l’identità del luogo, a partire dalla rivitalizzazione delle culture e dei saperi locali.

In questo nuovo paradigma consumatore e produttore ridefiniscono insieme l’identità di un territorio.

Il termine prosumer (producer+consumer) è ormai entrato nel dibattito scientifico da diversi anni, consolidandosi attorno ad una letteratura (Tofler, 1980; Kotler, 1986) che ha riconosciuto l’esistenza di un nuovo soggetto sociale che ha sviluppato un ruolo attivo nella filiera produttiva, accorciando le distanze tra domanda e offerta di prodotti (Fabris, 2010). Il prosumer pratica il downshifting93 che, semplificando, significa comprare di meno e consumare meglio, prestando una maggiore attenzione alla qualità della vita in cui proprio l’alimentazione diviene il luogo privilegiato del cambiamento; del resto è arcinoto che l’agricoltura locale storicamente è stata la custode del codice genetico delle identità dei luoghi. Il mutamento si legge nelle nuove tendenze – farmer market, GAS, orti urbani, fattorie didattiche, solo per dirne qualcuna – in cui l’agricoltore si fa portatore di un nuovo rapporto etico culturale tra città e campagna (Magnaghi, 2010), tra abitanti e territorio94.

93 Letteralmente significa scalare la marcia, per una descrizione del fenomeno si legga

Fabris (2010)

94 Una simile costellazione di nuove strategie per la gestione, la tutela e la valorizzazione

del territorio è possibile osservarla all’interno delle iniziative di Transizione che si basano, come si legge di seguito tra le righe degli assunti fondamentali, sul cambiamento degli

È forse possibile un nuovo circolo virtuoso di interazione tra città e campagna; le innovazioni della cultura urbana (metodologiche, di atteggiamento scientifico, di sensibilità ecologica e sociale) portano nel territorio la voglia di fondare nuove comunità, il gusto della sperimentazione (biologica, biodinamica), il tentativo di arricchire il complesso delle attività che si svolgono nella campagna di funzioni terziarie alte e così via.

L’agricoltura sostenibile e in generale la gestione ecologica del rapporto tra insediamenti e sistemi ambientali di sostegno richiedono inoltre la ripresa o il rafforzamento delle attività di manutenzione attiva del territorio, nuove strategie di cura e di attenzione, anche collettiva, del paesaggio agrario, del bosco, della natura in generale. La riqualificazione del paesaggio, la sua difesa, l’intervento nel caso di disastri naturali o artificiali (alluvioni, incendi, erosione, frane, siccità, etc.) richiedono un’osservazione continua del territorio, un monitoraggio sensibile delle trasformazioni ambientali, una partecipazione consapevole, anche collettivamente organizzata, alla gestione del patrimonio naturale e paesaggistico.

La manutenzione del territorio richiede uno stile di vita individuale sensibile della terra, uno stile di vita della collettività basato sulla cooperazione e l’aiuto reciproco, una partecipazione diretta e sapiente alle vicende del suolo e dell’ambiente, una collaborazione con gli organismi istituzionali di pianificazione e di gestione. (Anci Toscana, 1996:17 –18, in Magnaghi, 2010)