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Il laboratorio per la Transizione

3.1 La letteratura sulla transizione e sulla resilienza.

3.1.5 Una resilienza critica.

Analizzata la distinzione tra resilienza e rilocalizzazione ed esplicati i nodi critici si potrebbe disporre di alcune osservazioni per definire scenari possibili in cui praticare le premesse della Transizione, così come si legge in Haxeltine and Seyfang (2009)115.

Rispetto al riorientamento dei modelli di produzione e consumo bisognerebbe disporre di strumenti in grado di tracciare le filiere in specifiche aree territoriali. Non basta dunque auspicarsi una rilocalizzazione dell’economia storico –riferita – vale a dire che non è

115 Gli autori hanno condotto un’indagine esplorativa come gruppo di ricerca del Tyndall

Centre for Climate Change Research sulle pratiche di Transizione, attraverso una survey con l’obiettivo di acclarare l’origine e lo sviluppo delle Iniziative di Transizione.

sufficiente riorganizzare la produzione attorno agli esempi del passato; bisognerebbe piuttosto interrogarsi su quali possibilità scienza e tecnologia siano in grado di suggerire nuove soluzioni, a livello regionale ma con strumenti globali. I teorici della cosiddetta onda lunga del cambiamento tecnologico (Perez, 2009) sostengono, sulla base di alcune analogie storiche, che sia in atto una rivoluzione tecnologica che porterà ad un nuovo boom di crescita economica e prosperità, realizzabile se vi corrisponderà un sovvertimento degli stili di vita e dei modelli di produzione declinati sulla sostenibilità dell’uso dell’energia e delle risorse. Sicchè la ricerca tecnologica potrebbe offrire un supporto sostanziale al movimento per la Transizione che, spinta dai desideri della comunità, potrebbero interrogarsi creativamente su possibili soluzioni in relazione alla fornitura di beni e servizi.

Secondariamente, la resilienza può essere assunta come processo politico, potrebbe entrare nelle agende di governo che sarebbero chiamate a fornire rapporti sulla fattibilità ed efficienza e sui costi e benefici delle pratiche in atto. La dinamica politica considererebbe i relativi ostacoli di ordine economico che insorgono ad ogni tentativo di costruzione di resilienza nelle comunità.

Tracciabilità delle filiere e processi di governance costituirebbero una cartina tornasole dell’impatto e dell’efficacia di ogni singolo progetto di transizione.

Un’ultima questione è legata alla capacità di innovazione della comunità di riferimento, soprattutto per prepararsi ad affrontare uno shock. Assunto che un sistema è resiliente quando di fronte ad uno sconvolgimento riesce a riorganizzarsi e ritrovare un nuovo equilibrio, è importante considerare che questo non significa riedificare lo stato precedente, ma piuttosto trasformare ed innovare proprio partendo dagli elementi di disturbo che hanno creato lo shock. Pertanto, si tratta di innovare le strategie passate, mettendo in discussione i precedenti modelli di riferimento.

Di conseguenza è importante che le comunità siano chiamate a sviluppare le proprie capacità di adattamento, a valutare ed analizzare i diversi possibili shock – non solo il picco del petrolio. Per rinnovare un sistema è necessario possedere una profonda conoscenza del sistema stesso, per cui le comunità devono disporre di un quadro preciso dei processi in atto nei propri territori.

Così se Hopkins (2009) sottolinea l’importanza della relazione tra i sistemi ecologici e i sistemi sociali, attraverso Magnaghi (2010) si comprendono le modalità che garantiscono una connessione efficace, cioè attraverso la creazione di condizioni per favorire la trasmissione di flussi di conoscenza del funzionamento di una bioregione.

Infine. è altrettanto importante costruire la cosiddetta resilienza interiore. Il movimento pone una forte enfasi sul collegamento tra il cambiamento interiore e quello esteriore – lo si legge nei diversi training, i corsi di formazione per la Transizione etc. – si tratta di una caratteristica molto particolare che ha attirato un numero crescente di partecipanti, mettendo in relazione molte persone di diverse estrazioni politiche, sociali e cultutali116. Migliorare la narrativa per sottoporre a critica gli attuali sistemi di produzione e consumo, e comprendere il potenziale dell’agire comunitario è il primo grande passo per la realizzazione della Transizione. Date le premesse teoriche tracciate finora è utile approfondire il modello della Transizione per esplorarne e coglierne la concretezza delle azioni. 3.2 Le iniziative per la transizione: le basi cognitive.

La lettura del manuale (Hopkins, 2009) permette di approfondire le basi cognitive e l’orientamento che il movimento per la Transizione vuole abbracciare. Definisce specificatamente gli assunti dai quali partire e

116 per esempio questa tipologia di incontri mirati alla costruzione della resilienza interiore

ha messo in collegamento persone che facevano parte di movimenti per la giustizia sociale, e altre che si occupavano di crescita interiore, psicoterapia etc.

precisa i principi che sistematicamente sono richiamati nella descrizione dei progetti.

Hopkins (2009) traccia quattro “assunti fondamentali” da considerarsi come base filosofica per la Transizione :

1. uno stile di vita che preveda bassi consumi energetici è inevitabile, quindi è meglio pensare ad un piano per adattarsi, invece di farsi cogliere di sorpresa;

2. le nostre città e le nostre comunità mancano della resilienza necessaria per affrontare il grave shock energetico che si accompagnerà al picco del petrolio;

3. dobbiamo agire collettivamente e dobbiamo farlo ora;

4. mettendo insieme le menti che formano le nostre comunità e facendole lavorare a progetti che attivamente e creativamente agiscano sui consumi energetici, possiamo creare degli stili di vita più compatibili con la natura, più soddisfacenti e consapevoli dei limiti biologici del nostro pianeta.

Partendo da queste quattro affermazioni, è già possibile estrarre l’enfasi che l’autore pone attorno all’azione comunitaria, eleggendo la collettività come matrice del cambiamento. L’obiettivo delle Iniziative di Transizione è la creazione di comunità resilienti, vale a dire più resistenti agli shock provenienti dall’esterno, provocati dai cambiamenti climatici, dai problemi di sicurezza energetica e dall’aumento dei prezzi del petrolio attraverso la riorganizzazione ed esperimenti concreti di rilocalizzazione delle risorse. È utile, a questo punto, addentrarci nel vivo della formazione teorica delle pratiche attraverso la lettura dei sei principi che stanno alla base della transizione (Hopkins, 2009: 162):

Un punto fondamentale della transizione è la convinzione che si possa ottenere un risultato solo se si è in grado di immaginare come saranno le cose, una volta raggiunto l’obiettivo.

L’idea che ci facciamo nella mente di ciò che otterremo alla fine del nostro lavoro, sarà la meta a lungo termine che dovremmo raggiungere. […] Avere una chiara e auspicabile visione dei nostri obiettivi è uno degli aspetti chiave del successo del progetto della Transizione. (Hopkins, 2009: 162)

2. INCLUSIONE

Le dimensioni dei problemi causati dal picco del petrolio e dal cambiamento climatico non possono essere comprese del tutto finchè continuiamo a muoverci nei nostri soliti ambiti sociali, ossia se gli ambientalisti parlano fra di loro, se gli uomini d’affari discutono fra loro, etc. Il sistema della Transizione ha lo scopo di facilitare il dialogo tra i vari gruppi sociali e l’inclusione, cosa mai vista prima, e ha sviluppato metodi innovativi per realizzarla. Questo fenomeno è visto come una chiave del successo, se non altro perchè senza di esso non abbiamo possibilità di riuscita. (Hopkins, 2009: 162)