• Non ci sono risultati.

Il laboratorio per la Transizione

6. PROSPETTARE SOLUZINI CREDIBILI E APPROPRIATE

3.2.1 Come nascono le iniziative.

Una questione interessante rispetto al tema dell’organizzazione e dei rapporti locali – sui quali si tornerà più volte – è legata al percorso per impostare le Iniziative di Transizione, fissato all’interno di un iter formalizzato di criteri119 (Appendice 4) che la comunità interessata è chiamata a discutere ed approfondire, per poi costituirsi in uno dei quattro differenti tipi di iniziative all’interno del modello della Transizione:

1) "Iniziativa locale di transizione" – legata al luogo in cui il gruppo – guida ispira e organizza la comunità locale;

2) "Centro locale di transizione" – fondato all'interno di una zona ampia e contigua che possiede una sua propria identità (ad esempio una città). Aiuta a creare ed a supportare le "Iniziative locali di transizione";

3) "Centro temporaneo di avvio" – costituito da una gruppo di persone informate che lavorano assieme per contribuire alla creazione delle "Iniziative locali di transizione" nella loro comunità d'origine. Appena le iniziative prendono il via, questo centro si disperde gradualmente;

4) Il "Centro di coordinamento regionale" – meno di un'organizzazione, ma più di una semplice raccolta di "Iniziative di transizione" già esistenti le quali riuniscono per il reciproco sostegno ed il coordinamento delle attività: condividono le risorse e rappresentano un fronte unico di fronte ai vari organi amministrativi.

Hopkins (2008) assegna delle istruzioni – suddivise in “12 passaggi” – che forniscono una guida per la realizzazione degli obiettivi della Transizione,

119 La batteria di criteri offre una serie di indicazioni rispetto a come praticare la

Transizione, sulla comprensione dei temi centrali – picco del petrolio e i cambiamenti climatici- sulla resilienza, e soprattutto sugli impegni da assumere per partecipare alla rete.

seguono nell’ordine dell’autore associate ad alcune preliminari letture critiche:

1 – ISTRUIRE UN GRUPPO DIRETTIVO E PREVEDERNE LO SCIOGLIMENTO FIN DALL’INIZIO. Hopkins suggerisce, per l’avvio di un’Iniziativa, di designare delle persone che assumano l’incarico di formare un gruppo direttivo, responsabile della fase di start –up, ma che sia destinato a decadere: «chi si assume l’onere iniziale, non deve pensare di dover gestire la realizzazione dell’intero progetto, ma solo della prima parte di esso, compito molto più semplice!» (Hopkins, 2009: 169).

2 – AUMENTARE LA CONSAPEVOLEZZA. Questa seconda tappa è necessaria per determinare una conoscenza circolare all’interno della comunità sui temi del picco del petrolio e dei cambiamenti climatici; in virtù di tale obiettivo viene indicata l’organizzazione di incontri, conferenze e proiezioni, senza dimenticare di presentare le questioni sotto una luce positiva e coinvolgente.

3 – GETTARE LE FONDAMENTA. Si illustra la centralità dell’inclusione di altri gruppi finalizzata alla condivisione degli obiettivi. A questo punto emerge una delle peculiarità di questo movimento, ossia l’inclusione, è di fondamentale importanza riuscire a far confluire altre, vecchie e nuove, forme di campagne ambientaliste nel modello della Transizione. Richiamando la teoria sugli stadi di sviluppo nell’evoluzione di un movimento sociale (Cohen, 1996; Przeworski, 1985; McAdam et al, 1988; Jamison, 1996) secondo cui la rete nelle fasi primordiali dovrebbe presentarsi a maglie larghe, si osserva come il fenomeno in oggetto, nei primi stadi di sviluppo si presenta ordinato secondo una rigida organizzazione.

4 – ORGANIZZARE LA GRANDE INAUGURAZIONE. L’obiettivo di questo momento sembrerebbe proprio quello di infondere la giusta carica di entusiasmo nelle azioni progettate. È un momento celebrativo della comunità e della sua determinazione. Si può cogliere una certa ridondanza trasversale della cosiddetta “visione positiva” (Hopkins, 2009) che, sebbene non esplicitata in ogni fase, si riproduce in tutta la letteratura del network, così come nei modus operandi. Sembra sottolineare la rilevanza di una strategia pensata per infondere nuove rappresentazioni attraverso delle immagini forti per un futuro appassionato e carico di visioni creative.

C’è qualcosa di più profondo, che non so spiegare; però, quando siamo di fronte ad una visione, non ci troviamo più solo nel campo delle motivazioni, ma l’intera psiche umana viene messa in relazione con il mondo, tanto che le cose che si desiderano sembrano accadere più facilmente e spontaneamente. Non riesco a spiegarlo, ma è qualcosa di cui la gente si rende sempre più conto. Se avrete una forte visione di quello che volete realizzare, vi sembrerà che il mondo lo sostenga. Vi sembrerà che si realizzi da sola. (Russel, 2007, in: Hopkins, 2009: 112)

5 – FORMARE DEI SOTTOGRUPPI. Anche questo è un aspetto peculiare del sistema della Transizione, vale a dire sfruttare fino in fondo il potenziale dell’azione collettiva; nello specifico di questo passo l’indicazione riguarda la formazione di piccoli sottogruppi, deputati alla progettazione di precise linee che però riguardano un programma complessivo.

Anche in questo passaggio si esprime l’inclusività del movimento che tende a creare delle relazioni sistemiche tra dinamiche preesistenti, tra i suggerimenti si legge:

Non è sempre necessario creare un apposito sottogruppo. Magari all’interno delle vostre comunità esistono già dei gruppi che si occupano di cibo locale o di energie rinnovabili quindi, per evitare inutili doppioni, potete chiedere a loro di condividere il progetto per la Transizione e di introdurre le loro idee nel piano di azione. (Hopkins, 2009: 181)

6 – UTILIZZARE LO STRUMENTO DEGLI “OPEN SPACE”. La Open Space Tecnology è un metodo di comunicazione che prevede di riunire le persone per discutere di un argomento specifico, senza tempi

prestabiliti o coordinatori, con l’obiettivo di formulare nuove idee progettuali, in cui si dovrà:

Designare un incaricato che trascriva le varie idee emerse dal lavoro dei diversi gruppi; procurarsi un accesso alla banda larga, due computer portatili, una chiavetta di memoria o un CD riscrivibile e qualcuno in grado di aggiornare le pagine web; anche una video camera digitale è molto utile. Il vantaggio di poter inserire i dati in tempo reale su un sito wiki, che chiunque sta seguendo l’evento, in qualunque parte del mondo si trovi, può inviare commenti sul tema trattato. […] Un po’ di tempo prima dell’Open Space redigete una lista di personaggi chiave da invitare, e inviate loro un invito personale, non generico, per far capire che tenete alla loro presenza, in virtù delle loro specifiche conoscenze in materia. (Hopkins, 2009: 184).

Questo stralcio testimonia le precise modalità che i gruppi si trovano ad osservare, condividendo gli stessi strumenti e metodi. Un’altra tecnica simile, riportata nel manuale, è quella dei World Cafè, in cui l’obiettivo è il medesimo: fare in modo che la gente entri in relazione e si confronti su specifici temi con l’intento di costruire una rete sociale. 7 – REALIZZARE OPERE CONCRETE COME REALIZZAZIONE DEL PROGETTO. Questa indicazione è importante se la si conduce alla questione “aspetti psicologici” (di cui al paragrafo precedente), Hopkins restituisce delle precise istruzione su come passare dalle parole alle azioni, e di come, soprattutto, questo crea un potere enorme sulla percezione che le persone conseguentemente ricevono rispetto alla complessità del processo.

Secondo le indicazioni i protagonisti dei progetti dovranno prima di tutto scrivere un piano d’azione dopo un certo tempo di osservazione della compagnie locale. Contemporaneamente è fondamentale che si dia inizio a dei piccoli progetti che siano molto visibili, in modo da restituire alla comunità la sensazione che stia accadendo qualcosa e che, quel qualcosa, accade grazie al proprio impegno.

Quando il progetto comincia a realizzarsi concretamente, si assiste ad un contagio, la gente vuole farne parte. Se avrete svolto bene i passaggi precedenti, vedrete che i sottogruppi inizieranno a operare da soli, automaticamente. Appena comincerete a mettere in pratica il progetto, vedrete che spunteranno cose concrete ovunque. Un altro aspetto benefico di tali realizzazioni è la formazione dello spirito di squadra. Trovarsi per discutere dei problemi del cibo è una cosa, ma

trovarsi tutti insieme in un bosco per fare un picnic è qualcosa che ha un grande impatto sulle dinamiche del gruppo e lascia un sentimento di successo molto più potente. (Hopkins, 2009:185)

8 – FACILITARE LA GRANDE RIQUALIFICAZIONE. Significa porre le condizioni per attivare i processi che determinano la resilienza di una comunità, in altre parole è necessario stabilire prima di tutto quali sono le cose di cui ha bisogno oggi la gente e di conseguenza le competenze utili per apprendere le basi per una riqualificazione. Tali attività – che per lo più sono articolate in corsi che si orientano sulla sostenibilità ambientale – fanno nascere nelle persone un forte senso di appartenenza e la sensazione di possedere un potere che permette di agevolare il cambiamento120.

9 – COSTRUIRE UN PONTE CON LE AUTORITÀ LOCALI. Questo è un punto assai annoso – come vedremo soprattutto nel caso di Monteveglio – poiché se, come si legge nel manuale e non solo, è di fondamentale importanza coinvolgere le istituzioni locali per la realizzazione dei piani di azione, d’altra parte spesso la prossimità con un governo locale, soprattutto in Italia, determina una naturale diffidenza di una porzione della comunità.

10 – RENDERE ONORE AGLI ANZIANI. Le persone più anziane dispongono di un enorme patrimonio di conoscenza rispetto alla resilienza, poiché hanno vissuto con una scarsità di risorse che gli ha consentito di affinare delle tecniche di sopravvivenza rispetto alla carenza energetica.

Su questo punto nasce una naturale diffidenza in relazione ad un retrogusto passatista: vecchio non è sempre bello. Sarebbe come

120 Rispetto a questo punto è utile evidenziare come tali processi di riqualificazione

possono pericolosamente trasformarsi in dei “passatismi” pericolosamente propensi alla creazione di identità escludenti in cui la comunità, radicata sul territorio, diventa chiusa e retriva.

annullare gli straordinari mutamenti della qualità della vita quotidiana degli uomini ottenuta grazie ai processi di modernizzazione.

11 – LASCIATE CHE LE COSE VADANO COME DEVONO ANDARE. Guardare cosa succede e adeguarsi, questa è l’istruzione primaria per chi dovrà promuovere la Transizione.

12 – CREARE UN PIANO DI AZIONE PER LA DECRESCITA ENERGETICA (EDAP). Non tutte le Iniziative per la Transizione hanno creato un vero e proprio Piano, di fatto si tratta dell’insieme di attività finalizzate ad un futuro di decrescita energetica, di resilienza e di rilocalizzazione.

La rilettura critica dei dodici passi è fondamentale per una comprensione preliminare delle azioni di Transizione; aiuta a risalire all’impatto che la pratica di nicchia ha sulle comunità locali in termini di creazione di aspettative, costruzione di reti e processi di apprendimento.

Di seguito forniremo degli esempi concreti di Transizione per poi mettere a fuoco la tipicità delle azioni legate al cibo.

3.2.2 Il network.

Attualmente (ottobre 2013), si contano 1033 esperienze di Transizione, di cui 473 riconosciute ufficialmente dal network in 34 paesi differenti, così come mostra la mappa delle iniziative (Figura 3.1).

FIGURA 3.1 Transition Initiatives Map. SOURCE: http://www.transitionnetwork.org/initiatives/map

A partire dall’esperimento di Totnes del 2006, in sette anni, il contagio tra le comunità è avvenuto ad un sostenuto ritmo di espansione. Probabilmente l’utilizzo della rete internet ha favorito l’estensione del fenomeno. La rete è uno strumento di facilitazione, che si trasforma in veicolo per la trasmissione dei messaggi; sebbene probabilmente la diffusione della Transizione sia frutto della sua linearità, che tende ad integrare e includere differenti pratiche a partire dalle sinergie che è capace di creare sul territorio.

È impossibile narrare le specificità di ogni gruppo, per comprendere il funzionamento e l’organizzazione della rete si farà riferimento ai due casi di studio.

Il network favorisce la circolazione di informazioni, il sito (http://www.transitionnetwork.org/) elenca tutti i progetti in corso e permette di velocizzare i processi di comunicazione tra ogni singola esperienza.

Internet sembra aver agevolato la creazione di una cultura della Transizione attraverso i forum, lo scambio di materiale e la socializzazione dei risultati della propria esperienza, costruendo tra gli internauti un’identità collettiva che contemporaneamente si radica nelle specificità territoriali delle quali si susseguono continue narrazioni.