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Ambito di applicazione e momento di stipula del patto (art 2125 c.c.).

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 135-140)

Il patto di non concorrenza successivo al rapporto di lavoro ex art 2125 c.c e successivo al rapporto di agenzia ex art.

2. Ambito di applicazione e momento di stipula del patto (art 2125 c.c.).

Prima di affrontare i rilievi circa l’ambito di applicazione, è il caso di soffermarci sul rapporto esistente tra l’art. 2125 c.c. e l’art. 2596 c.c. La dottrina275, generalmente, riconosce al primo articolo un carattere di specialità rispetto alla disciplina pattizia generale, a causa della diversità delle fattispecie contemplate. In particolare la stessa sostiene che le peculiarità dell’art. 2125 c.c., rappresentate dalla necessità della forma ad substantiam, dalla previsione obbligatoria di un compenso e dalla durata tendenzialmente più breve, si giustificano unicamente al fine di ristabilire la par condicio tra due posizioni con diversa forza contrattuale.

Verosimilmente, in assenza di questi requisiti, il lavoratore potrebbe infatti sottovalutare l’importanza del patto che lo limita professionalmente, danneggiando sé stesso. Si può affermare che il legislatore, nella necessità di bilanciare gli interessi in gioco, non ha

275 GIAMMARIA, Riflessioni in tema di patto di non concorrenza, in Giur. Lav., 2000, n. 29, p. 30 ss.; ROTONDI, Patto di non concorrenza: limiti e sanzioni, in Dir. Prat. Lav., 1993, 1880 ss.;

dimostrato, rispetto alla disciplina dell’art.2596 c.c., un particolare favor nei confronti del patto in oggetto.

Basti pensare che, mentre l’assenza di un termine nel più generico patto ex art. 2596 c.c. comporta l’integrazione ex lege del termine quinquennale, la medesima carenza nel patto ex art. 2125 c.c. si traduce nella radicale nullità dello stesso. Parimenti l’assenza del corrispettivo, mentre non ha alcun rilievo nella disciplina dell’art. 2596 c.c., comporta la nullità per i patti della norma in oggetto.

Diversamente, la giurisprudenza ha ritenuto che questi rigorosi limiti non sono stati previsti per una mera tutela della posizione di svantaggio contrattuale del lavoratore, ma per una più nobile finalità di salvaguardia della personalità dell’individuo e della sua libertà di lavoro. Quest’interpretazione è ben chiarita da un’importante sentenza276della Suprema Corte che afferma: “la norma dell’articolo 2125 c.c., che stabilisce i requisiti sostanziali e formali per la validità del patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del rapporto, non limita la sua sfera di applicazione alle sole ipotesi in cui il patto di non concorrenza sia stato incluso nel contratto di lavoro o sia stato concluso durante il rapporto di lavoro in relazione alla cessazione del rapporto stesso, ma la estende anche all’ipotesi che il patto sia stato stipulato dopo la cessazione del rapporto, tutte le volte 276 Cass. S.U. 10 aprile 1965 n. 630, in Riv. giur. lav., 1965, II, p.163

che il patto stesso, avente origine e causa da detto evento ed in collegamento col regolamento che le parti hanno fatto dei reciproci interessi economici, sia da ricondurre al rapporto medesimo. Conseguentemente, anche in tale ipotesi, al patto stipulato dopo la cessazione del rapporto di lavoro è inapplicabile la norma generale e meno restrittiva posta dall’articolo 2596 c.c.”

Da questa sentenza è possibile evincere due principi fondamentali: in primis, il patto può essere stipulato anche dopo la fine del rapporto di lavoro, al contrario di quanto affermato in dottrina277 prima della sentenza; inoltre, anche se il rapporto di lavoro è cessato, i requisiti di validità del patto saranno sempre quelli dell’art. 2125 c.c. e non quelli meno stringenti dell’art. 2596 c.c278. Alle stesse conclusioni pratiche giunge anche l’orientamento dottrinale279che riconosce la debolezza della posizione dell’ex lavoratore, anche una volta terminato il rapporto di lavoro. Al riguardo, però, la stessa dottrina evidenzia la necessità di una distinzione tra la limitazione al diritto al lavoro (quindi nuovo rapporto di lavoro subordinato dell’ex dipendente) e la limitazione alla libertà d’iniziativa economia (inizio di attività d’impresa da parte dell’ex dipendente). Nel primo caso viene riconosciuta la necessità di rispettare i requisiti previsti dall’art. 2125 277 ASCARELLI, op. cit., p.48; SANTORO PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 2002, p. 172.

278 Pertanto non sarà possibile evitare il corrispettivo, la forma scritta ad substantiam e il termine più breve per i non dirigenti.

279 PAGLIERO, Il patto di non concorrenza, in Dir. prat. lav., 1991, p. 2036 ; FABRIS,

c.c; mentre, nel secondo caso, si farà riferimento ai fini della sua validità ai requisiti più leggeri dell’art. 2596 c.c.

La precedente disamina ha confermato, quindi, che il patto può essere concluso indifferentemente sia al momento della stipula del contratto individuale del lavoro, sia in vigenza del rapporto e sia alla fine di quest’ultimo.

Ma tutto questo è sempre vero? La risposta preferibile è senz’altro negativa alla luce di alcune ipotesi particolari.

Si pensi, ad esempio, al caso di un accordo con il quale si rinvia l’inizio del rapporto di lavoro subordinato a un determinato termine, prevedendone nel contempo il divieto per il futuro dipendente di svolgere attività concorrenziale. In questo caso il patto mostra profili d’illiceità, in quanto teso a limitare l’attività di lavoro per il periodo antecedente alla stipula del contratto e non, come recita la norma, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto280.

Sul versante dell’ambito di applicazione dell’art. 2125 c.c., la proliferazione dei rapporti di collaborazione (contratti a progetto, contratti di collaborazioni professionali o a progetto, contratti di collaborazione coordinata e continuativa), ha posto il problema della estensibilità di questa disciplina ai rapporti di lavoro parasubordinato.

Al riguardo, la Suprema Corte281 ha stabilito che, nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, i limiti contrattuali della concorrenza vanno inquadrati nella disciplina dell’art. 2596 c.c. e non dell’art. 2125 c.c., pur affermando che, in ordine alla durata massima del patto di non concorrenza, può trovare applicazione analogica quanto prevede quest’ultimo articolo282. Infatti, se è vero che la legge non impone al lavoratore autonomo o parasubordinato un dovere di fedeltà è anche vero che, in vigenza del rapporto, grava su questi un dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) che gli vieta di tenere un comportamento che possa nuocere alla controparte. Per questo motivo nei rapporti di lavoro parasubordinato la durata del divieto di concorrenza non potrà che decorrere dal momento in cui il rapporto cessi283(di qui l’applicazione analogica dell’art. 2125 c.c. richiamata dalla Cassazione).

Tuttavia, in dottrina 284 , c’è chi sostiene che le argomentazioni di quest’interpretazione giurisprudenziale prestano il fianco ad una critica: possiamo essere certi che l’interpretazione analogica dell’art.

281 Cass. Civ. 23 luglio 2008 n. 20312, in Obbl. e Contr., 2008, 10, p. 771

282 Principio recentemente confermato dalla stessa Cassazione con la sentenza 21 marzo 2013 n. 7141

283 L’obbligo di non fare concorrenza durante il rapporto è connaturale al contratto stesso per cui il patto accessorio sarebbe privo di causa.

284 U.OLIVA E C.GERMANO, Patto di non concorrenza, in La tutela del know-how, Milano, 2012, p. 195

2125 c.c., nel lavoro parasubordinato, si debba limitare al solo aspetto temporale e non ad altri elementi?

Evidentemente no, se consideriamo che lo stesso ragionamento della Corte di Cassazione sopra citata è stato richiamato ed utilizzato da un giudice di merito285per affermare che, al contrario, nei rapporti di lavoro parasubordinato, alle clausole di non concorrenza, valide per il periodo successivo alla conclusione del rapporto, è applicabile nel suo insieme in via analogica l’art. 2125 c.c. e non l’art. 2596 c.c.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 135-140)