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Interpretazione e casistica del divieto nel rapporto di agenzia.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 61-70)

Il rapporto di lavoro (art 2105 c.c.) e il rapporto di agenzia (art 1743 c.c.)

4. Interpretazione e casistica del divieto nel rapporto di agenzia.

Il divieto di concorrenza previsto dall’art. 1743 c.c, rubricato “Diritto di esclusiva”, è riconosciuto come un elemento naturale del contratto di agenzia e non come requisito di validità del rapporto. Conseguentemente, in assenza di diversa pattuizione, l’esclusiva si applica automaticamente in forma bilaterale sia per il preponente sia per l’agente. La possibilità di deroga riconosciuta alle parti è ampia al punto da consentire loro la conclusione di un contratto alternativamente senza alcuna esclusiva, ovvero con esclusive unilaterali, ora a favore del preponente ora a favore dell’agente.

Se, da una parte, questa facoltà è pacificamente riconosciuta sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, dall’altra esistono interpretazioni discordanti in ordine alle modalità di manifestazione utilizzabili dalle parti per dar luogo alla diversa pattuizione.

137 Cass. Civ. 28 aprile 2009 n.9925, in Dir.giust., 2009

138 Così Cass. Civ. 4 giugno 2004 n. 10663, in Orient. giur. lav. , 2004, I, p. 636, salvo i casi “necessitati dallo scopo di reperire fonti di sostentamento alternative alla retribuzione di fatto non più corrisposta, con una ricerca svolta dal lavoratore nell’ambito della propria professionalità e quindi anche, eventualmente, presso la concorrenza”.

In giurisprudenza sono emersi orientamenti discordanti. Inizialmente è stata negata la possibilità di una deroga tacita, cioè ricavabile da un comportamento concludente delle parti139; successivamente è stato, invece, ritenuto possibile che la deroga potesse desumersi

“dall’inequivoco comportamento tenuto dalle parti anteriormente e successivamente alla stipula del contratto, accertato in base al criterio interpretativo di cui all’articolo 1362, comma 2, c.c.” 140.

Di fronte a queste oscillanti risultanze giurisprudenziali, appare senz’altro preferibile provare l’esistenza della deroga attraverso una menzione espressa nel contratto di agenzia, anziché rimettersi a dei facta concludentia; la stessa Cassazione141ha, infatti, recentemente ribadito la necessità di una deroga pattizia esplicita, non ritenendo, in tema di provvigioni, che l’eventuale silenzio prolungato dell’agente costituisca comportamento concludente tale da provare l’accettazione della deroga stessa. A comprova di ciò, in altra occasione142, ha chiarito che la volontà di deroga implicita possa essere desunta in via indiretta dal contesto contrattuale, ma solo se appare chiara ed univoca. Un elemento importante legato al diritto di esclusiva è il concetto di “zona”. L’esclusiva opera, infatti, con riferimento a una determinata

139 Cass,14 maggio 1998 n. 4887 in Mass. giur. it. 1998, col. 524-525 140 Cass. 23/4/2002 n. 5920, in Dir. e prat. lav. 2008, 2105

141 Cass. Civ. 24 giugno 2005, n. 13629, in Rep. Foro it. 2005 (voce Agenzia, n. 18) p. 622,

zona individuata geograficamente o riferita a una lista di clienti indicati, in certi casi, nominativamente e, in altri casi, per settore143. Così, circa l’individuazione geografica, la giurisprudenza144ha precisato che il contratto si può configurare comunque come contratto d’agenzia anche quando non sia esplicitamente indicata la zona dove dovrà operare l’agente, ma questa si possa desumere dall’ambito territoriale nel quale operano le parti. Nelle altre ipotesi sopra indicate, il preponente che, ad esempio, affidi a ciascun agente una lista diversa di clienti, non vìola l’obbligo di esclusiva proprio del contratto, anche se quei gruppi di clienti si trovano nello stesso ambito territoriale145 . Occorre, inoltre, precisare che non è stato riconosciuto come comportamento contrario al diritto di esclusiva dell’agente, il fatto che il preponente invogli la clientela a concludere direttamente con lui i contratti (anziché attraverso l’agente), sempre che tale possibilità sia stata prevista nel contratto di agenzia come riserva a favore del preponente; si tratta di un caso di legittimo esercizio del diritto del preponente di fare concorrenza all’agente146.

Altro elemento caratterizzante il diritto di esclusiva è il concetto di “stesso ramo di attività”. E´ bene precisare che, al fine di impedire

143 Ad esempio, i dettaglianti e i grossisti

144 Cass. Civ. 4 maggio 1981 n. 2720 in Mass. giur. it., 1981, col. 727. 145 Si pensi a liste di clienti residenti nella stessa Provincia o Regione. 146 Cass. Civ. 26 gennaio 1996 n. 600 in Mass. giur. it. 1996, col. 69

elusioni del divieto alla base dell’art. 1743 c.c., è da evitar l’interpretazione che individua lo “stesso ramo di attività” come una identità assoluta dei beni prodotti o commercializzati da più aziende; altrimenti sarebbe sufficiente una qualsiasi caratteristica che differenzi i prodotti di un’azienda rispetto a un’altra. E´senz’altro preferibile interpretare il concetto in esame, avendo riguardo ai clienti reali o potenziali che, in un determinato contesto spaziale e temporale, si possono rivolgere indifferentemente a un’impresa o a un’altra: solo in quest’ottica si potrà determinare l’esistenza o no di attività concorrenziale tra le imprese stesse, che ne potranno ricavare danno o beneficio nel mercato147.

Una figura particolare è quella dell’agente monomandatario, cioè dell’agente che ha assunto l’incarico da una sola impresa e che è legato ad un diritto di esclusiva solo con la stessa148.

In questo senso si può sostenere che l’ipotesi del monomandatario costituisce la massima espressione del diritto di esclusiva. Basti pensare che chi assume questa veste si preclude la possibilità di svolgere qualsiasi altra attività. Tale aspetto lo differenzia dalla figura dell’agente in esclusiva al quale sono vietate le sole attività concorrenziali con il preponente.

147 Cass. civ. 13 dicembre 1999 n. 13981 in Orient. Giur. Lav. I, p. 313

148 L’ipotesi del “monomandatario” o “agente esclusivo” è regolata soprattutto negli accordi economici collettivi.

Proprio questo “limite” in capo all’agente monomandatario, può creare incertezza circa il suo inquadramento: agente o lavoratore dipendente? In dottrina si ritiene che si debba svolgere un’indagine caso per caso sui modi di svolgimento dell’attività di questo soggetto, necessaria ai fini dell’applicazione delle rispettive normative di riferimento149.

5. Conclusioni.

Dopo una disamina dei divieti legali di concorrenza contenuti nel rapporto di lavoro, da una parte, e nel rapporto d’agenzia, dall’altra, viene da chiedersi se e in che modo il diritto Antitrust (europeo e/o nazionale) ha influito sull’applicazione queste norme.

Per quanto riguarda il primo caso, non sembra che il diritto Antitrust possa restringerne o modificarne l’efficacia, almeno direttamente. Parliamo, infatti, di un divieto “legale” che proprio per sua ratio e collocazione nel rapporto di lavoro, difficilmente può essere “inciso”, né tantomeno, travolto da un diritto come quello Antitrust. Sono varie e molto serie le ragioni che sottendono al divieto del lavoratore di svolgere attività di concorrenza con il proprio datore: dal possibile danno all’impresa in cui lo stesso lavoratore è occupato, ai più generali obblighi di correttezza e buona fede che ispirano gran parte della

149 BALDI, VENEZIA, “Il contratto di agenzia: la concessione di vendita, il

disciplina civilistica fino al semplice “buon andamento” di un rapporto delicato e peculiare come quello lavorativo.

In fondo, non avrebbe alcun senso una norma che, al contrario, consentisse al lavoratore di un’azienda di fare concorrenza al suo datore di lavoro attraverso la costituzione di una società che svolga attività nel medesimo settore o in uno concorrente; allo stesso modo sarebbero privi di giustificazione eventuali “alleggerimenti” del divieto previsti per certe attività e non per altre.

Sicuramente, la funzione della disciplina Antitrust è quella di “aiutare” ed “educare” il mercato ad una “corretta” concorrenza, non certo sregolata e senza limiti; ecco che la presenza di norme come l’articolo 2105 c.c. appare importante e tutt’altro che anticoncorrenziale o dannosa per il mercato, in ragione della natura stessa del contratto di lavoro.

Cos’è accaduto, invece, al rapporto d’agenzia (rectius: alla restrizione di concorrenza in esso contenuta)?

In questo caso, contrariamente al rapporto di lavoro, si tratta di una fattispecie molto particolare che (come già detto) si instaura tra due soggetti che formalmente sono posti sullo stesso livello non essendoci rapporto di subordinazione, ma una forma di rappresentanza.

La disciplina Antitrust, in particolare europea, si è preoccupata d’inquadrare in modo esatto l’obbligo di non concorrenza nel rapporto d’agenzia, ai fine dell’applicabilità o no del divieto ex art. 101

T.F.U.E.150. La Commissione nel corso degli anni151 si è dimostrata ferma nel ritenere non applicabile l’art. 101 TFUE (ex art. 85 T.) ai contratti cd. di “rappresentanza esclusiva conclusi con rappresentanti di commercio” tra cui i contratti di commissione e, appunto, agenzia. Lo stesso orientamento è stato adottato dalla Corte di Giustizia152, sostenendo che l’agente è la “longa manus” del preponente così da equiparare la vendita “per agenzia” ad una distribuzione diretta.

Pertanto è escluso dal divieto ex art. 101 il “vero e proprio” rapporto di agenzia, nel quale l’agente opera per conto del preponente, esercitando solo intermediazione commerciale. Di qui la differenza con la figura del concessionario, al quale, invece si applica il primo comma dell’art. 101 TFUE: l’agente non assume rischi circa l’attività che svolge per conto del preponente semplicemente perché non compra i beni dal produttore o dal fornitore.

Un aspetto ulteriore, rilevato nel diritto Antitrust, è il rapporto interno tra preponente e agente; ci si chiede se la clausola che vieta a quest’ultimo di scegliere altri agenti in un certo territorio o per una certa clientela, sia restrittiva della concorrenza oppure no. La risposta

150 Art 101 T.F.U.E.: “Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune (...).”

151 A partire dalla Comunicazione del 24 dicembre 1962

152 “Grundig” e “Repubblica Italiana” entrambe del 13 luglio 1966 in Racc., 1966, 299ss., 389 ss.

sembra essere negativa, se si tratta di concorrenza “intra-brand”, cioè tra impresa produttrice e soggetti distributori dei suoi prodotti. Diversamente in una concorrenza “inter-brand”, bisognerà valutare meglio il divieto dell’agente di assumere incarichi per conto di preponenti concorrenti dell’originario preponente.

L’ipotesi sopra citata è emersa nel nostro ordinamento, in seguito all’approvazione dell’art. 8 del cd. Decreto Bersani153 che, in materia assicurativa, vieta clausole contrattuali di distribuzione esclusiva di polizze relative a tutti i rami danni. Tutto ciò ha influito pesantemente sulla figura dell’agente assicurativo “monomandatario”, rendendo nulli i contratti assicurativi che lo prevedevano.

L’estromissione della figura dell’agente monomandatario nel campo assicurativo, voluta dal legislatore nazionale per ottenere una maggiore concorrenza tra imprese assicuratrici e per adeguare (negli intenti dichiarati) l’ordinamento nazionale a quello europeo, ha suscitato critiche in dottrina154. Nel presupposto che nei principali paesi europei il monomandato in campo assicurativo è ammesso e frequente, si sostiene che l’articolo sopra citato, impedendo la stipula di contratti di agenzia monomandatari, pregiudichi il commercio tra gli Stati membri,

153Decreto legge, 4 luglio 2006, n. 233 convertito in legge con modifiche il 4 agosto

2006 (legge n. 248/06)

154 FRIGNANI, GAMBUTO, Il divieto di monomandato nel contratto di agenzia

assicurativa: contrarietà o conformità al diritto europeo della concorrenza? in Diritto ed Economia dell'Assicurazione (dal 2012 Dir. e Fiscalita' assicur.), fasc.3-4,

oltre ad ostacolare la libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi nella comunità (è ormai un consolidato orientamento della Corte di Giustizia il fatto che le pratiche riguardanti l’intero territorio di uno Stato membro sono di rilevanza comunitaria, perché costituente parte sostanziale del mercato comune). Nei fatti il “Decreto Bersani” determinerebbe il seguente effetto: le imprese assicurative dei paesi della U.E., dove il monomandato dell'agente è conforme alla legge, non potrebbero entrare sul mercato italiano con il contratto di monomandato per loro maggiormente efficace; per converso le imprese (assicurative) italiane non potrebbero operare in Italia con le stesse modalità che invece sono ammesse nel resto d'Europa e che esse stesse ivi adottano.

Paradossalmente, quindi, una norma nata per favorire la concorrenza, si rivela contraria ai principi fondamentali europei.

Sezione III

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 61-70)