• Non ci sono risultati.

Il concetto di patto.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 103-108)

Il patto di non concorrenza (art 2596 c.c.)

2. Il concetto di patto.

Il termine “patto”, utilizzato dal legislatore nell’art. 2596 c.c., è tuttora al centro del rilevante dibattito circa il campo di applicazione dello stesso articolo.

Da un punto di vista letterale si può affermare che questo termine può essere utilizzato sia per indicare un contratto, che abbia come oggetto primario la limitazione della concorrenza, sia una semplice clausola di non concorrenza inserita in un contesto più ampio.

Proprio l’uso che ne ha fatto il legislatore ha sollevato la problematica circa l’applicabilità o meno dell’art. 2596 c.c. ai patti di non concorrenza non autonomi, ma inseriti in contratti più complessi. Il problema è sostanzialmente questo: i parametri di tempo, spazio e oggetto dettati dall’art. 2596 c.c. si applicano anche alle ipotesi di accordi dove la limitazione della concorrenza entra in gioco come clausola accessoria?

In dottrina c’è chi sostiene215 la necessità di distinguere le restrizioni negoziali stipulate tra soggetti legati da più ampi vincoli di collaborazione economica da quelle stipulate tra soggetti che si trovano in libera competizione tra loro. Basti pensare al già trattato obbligo di non concorrenza del lavoratore dipendente che vige per tutta la durata del rapporto di lavoro (art. 2105 c.c.); al contrario, una volta cessato tale rapporto, l’ex datore e l’ex lavoratore, se intenzionati a stipulare un patto di non concorrenza, dovranno attenersi alle previsioni e ai parametri dell’art. 2125 c.c., che ricalcano quelli della norma ora in esame.

Anche nell’accordo di esclusiva tra somministrato e somministrante non sussiste un limite di durata che non sia coincidente con la durata stessa del contratto. Ma, concluso il rapporto di somministrazione, il patto di preferenza per l’eventuale rinnovo è soggetto a un vincolo di durata che non può eccedere cinque anni (stesso parametro temporale dell’art. 2596 c.c.)216. Questa dottrina ha trovato conferme anche nella giurisprudenza di legittimità217, laddove il limite quinquennale si riconosce applicabile solo alle limitazioni della concorrenza che “siano stipulate come pattuizioni a sé stanti, autonome e distinte da un 215 GHIDINI, Restrizioni negoziali della concorrenza: profili di diritto interno, in Riv.

Trim. Dir. e Proc. Civ., Milano 1979, p. 980

216 Cass. Civ. 13 maggio 1975 n. 1846, in Giur. ann. dir. ind., 1975, p. 59, che riconosce la funzione autonoma del patto di esclusiva in tema di somministrazione, basandosi non sul tempo della stipulazione ma sul tempo in cui dovrà avere effetto il patto stesso.

rapporto contrattuale corrente tra le parti, mentre il limite non si applica quando tra il patto ed il contratto sussiste un collegamento causale in modo che il primo adempia alla stessa funzione economica del secondo”.

Dunque sembra preferibile ritenere che l’articolo in esame si applichi solo ai casi in cui il contratto abbia come oggetto principale la limitazione della concorrenza e ai casi di clausole non funzionalmente connesse con il rapporto cui ineriscono.

E´ necessario comunque segnalare l’esistenza di altra dottrina218, seppur minoritaria, che sostiene un diverso rapporto “regola- eccezione” tra l’art. 2596 c.c. e le altre norme dedicate ai singoli divieti legali di concorrenza, secondo cui ad ogni patto limitativo della stessa, ma privo di una propria disciplina, verrà applicato l’articolo in oggetto.

Pertanto, una conseguenza della teoria maggioritaria sopra ricordata (che riconosce comunque la “specialità” di questa norma) consiste nel rendere possibile la sua applicazione analogica a tutte le restrizioni della concorrenza, che non sono effetto naturale del negozio, ma comunque sono connesse ad esso da un punto di vista funzionale219. Di qui l’importanza dell’intervento interpretativo della giurisprudenza, la quale è chiamata a giudicare quali clausole siano o meno connesse

218 MINERVINI, Concorrenza e consorzi, op. cit., p. 68 ss

funzionalmente al contratto in cui sono inserite. Così è stato ritenuto non soggetto alla disciplina dell’art. 2596 c.c. “un accordo limitativo della concorrenza funzionale e necessario per l’esercizio di un contratto di licenza d’uso di marchi”220; allo stesso risultato si è giunti per un patto attraverso il quale alcuni brokers riuscivano a incrementare la possibilità di partecipare, sia pure in forma ridotta, ai vantaggi economici derivanti dall’aggiudicazione di una gara a una società di brokeraggio oppure ad altra221.

Al contrario, nel caso di un patto di non concorrenza stipulato in occasione dell’accordo tra soci di scioglimento della loro società, lo stesso è stato ritenuto nullo perché in contrasto con i parametri dell’articolo 2596 c.c.; tutto ciò in quanto il contratto di scioglimento della società “è infatti diretto a risolvere un rapporto giuridico corrente tra le parti ed a disporre dei beni aziendali, esaurendo pertanto la sua causa [...] quando tali effetti sono realizzati. Il patto di non concorrenza, invece, è diretto per definizione a regolare il rapporto di concorrenza che esiste tra più imprenditori e nulla ha a che vedere con ciò che poteva eventualmente esistere prima del suo sorgere” e quindi “funzionale ad un’interesse diverso e autonomo”222.

220 App. Roma. 2 novembre 1998, GADI, 1999, p. 3954 221 Trib. Genova 23 maggio 1997, in Dir. ec. ass., 1998, p 273 222 Cass. Civ. 6 agosto 1997, n. 7266, in Riv. not., 1998 II, p. 523

Si vedrà nel prosieguo di questo lavoro come, per una valutazione più attuale e al passo delle recenti innovazioni interpretative della norma, sia importante l’individuazione della causa di questi patti anticoncorrenziali; infatti questa, per alcuni, dovrà essere valutata secondo un profilo di liceità, inteso come “funzione economico sociale concretamente perseguita dall’accordo”223.

Ma quali sono i possibili effetti pratici di questa problematica?

Appare subito evidente che, se la fattispecie concreta si considera un’ipotesi di contratto autonomo o clausola, non necessariamente collegata al rapporto principale, sarà obbligatorio provare il patto per iscritto e non attribuire allo stesso un termine di efficacia ultraquinquennale, così come previsto dall’art. 2596 c.c.224.

Da ultimo occorre soffermarsi sul rapporto tra l’art. 2596 c.c. e la clausola di esclusiva. Certamente questa clausola è molto utilizzata nei rapporti commerciali tra operatori economici che ricoprono posizioni diverse nel tessuto produttivo e distributivo.

Quali effetti svolge sul piano concorrenziale una tale clausola?

L’interpretazione dominante suggerisce di guardare alla clausola di esclusiva come a uno strumento atto a irrobustire il rapporto di collaborazione intercorrente tra le parti che la pongono in essere e non

223 LIBERTINI, Limiti contrattuali della concorrenza, in Nuova giur. civ. comm., 1989, II, 331, che è tra i primi autori a rilevarne l’esigenza

come limitazione di concorrenza. Tale limitazione sarebbe solo un effetto implicito e mediato in capo a soggetti terzi rispetto al rapporto.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 103-108)