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Un aspetto peculiare: l’onerosità obbligatoria (art 2125 c.c.).

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 140-144)

Il patto di non concorrenza successivo al rapporto di lavoro ex art 2125 c.c e successivo al rapporto di agenzia ex art.

3. Un aspetto peculiare: l’onerosità obbligatoria (art 2125 c.c.).

L’inquadramento di questo patto di non concorrenza nell’ambito dei contratti onerosi a prestazioni corrispettive è un aspetto ormai consolidato. A fronte della prestazione omissiva del lavoratore dev’essere previsto un compenso necessariamente proporzionato al sacrificio imposto al lavoratore stesso. Partendo da questa premessa, il problema principale, evidenziato sia in dottrina sia in giurisprudenza, è certamente la “proporzionalità” del corrispettivo. Questa proporzionalità non è da intendersi in termini solo economici, ma deve essere anche commisurato alle caratteristiche personali e professionali del lavoratore e all’effettiva limitazione della capacità di lavoro derivante dai limiti di spazio, tempo e contenuto del patto stesso.

Solo questa congruità del compenso, inteso come oggettivo equilibrio economico, permette la validità del rapporto sinallagmatico286.

E´ appena il caso di ricordare che per la valutazione di congruità non si dovrà comunque far riferimento ai principi di proporzionalità e sufficienza previsti dal 1° comma dell’art. 36 della Costituzione: questo perché il compenso non riguarda una prestazione di lavoro ma solo una parziale e temporanea astensione dallo stesso. Del resto la validità del patto è riconosciuta solo se questo, durante la sua vigenza, non impedisce al lavoratore di svolgere un’altra qualsiasi attività lavorativa o professionale (solo da questa dovrà provenire la retribuzione, ex art. 36 Cost.,“proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”)287.

E´ da segnalare comunque che in dottrina c’è chi288giunge a conseguenze diverse da quelle finora prospettate. Infatti, nel presupposto che l’assenza di congruità non equivale a mancanza di compenso e che non vi sono norme imperative che quantifichino in 286 La Corte di Cassazione nella sentenza n. 7835 del 4 aprile 2006, ha affermato con particolare riferimento all'ammontare e alla congruità del corrispettivo dovuto che l'espressa previsione di nullità contenuta nell'art. 2125 c.c., va riferita alla pattuizione, non solo di compensi simbolici, ma anche di compensi manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue possibilità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiestogli rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato

287 App. Torino 16 maggio 2003, in G.Piem., 2004, p. 426

288 BARTALOTTA, Il patto di non concorrenza tra principi consolidati e nodi

interpretativi irrisolti, nota a Corte Appello Firenze, 3 aprile 2009, in Dir. relaz. ind.,

modo inderogabile un corrispettivo minimo, non ricorrerebbero gli estremi di cui all’art. 1418 c.c., ma si tratterebbe di un’ipotesi di patto rescindibile ex art. 1448 c.c.289.

Comunque, una volta rispettato il requisito di congruità, né il legislatore né la giurisprudenza richiedono che il compenso sia necessariamente erogato in denaro, ma lasciano ampia libertà di forma, nella misura in cui esso possa comunque rappresentare un’utilità per il lavoratore assicurandogli un vantaggio290. Così la remissione di un debito è stata riconosciuta come idonea forma di compenso, non essendo quest’ultimo considerato un credito di lavoro, rientrante nel divieto di compensazione stabilito dal combinato disposto dall’art. 1246, n. 3 c.c. e dall’art. 545 c.p.c.291. Allo stesso modo il compenso può essere stabilito attraverso il godimento di un determinato bene, ad esempio un appartamento, per un periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, anche con carattere vitalizio292, ovvero mediante il pagamento delle spese di permanenza all’estero del lavoratore o dei suoi familiari per corsi di formazione o istruzione.

289 Nel presupposto della presunzione che l’iniquità del compenso derivi dallo sfruttamento da parte del datore di lavoro dello stato di bisogno del lavoratore, con la conseguenza che l’azione si prescrive in un anno ed è possibile per il datore di lavoro evitarla riconducendo ad equità il patto ex art. 1450 c.c..

290 FABRIS, op. cit., p. 117

291 Cass. Civ. 30 luglio 1987, n. 6618, in Mass. Giur. Civ.,1987, 7 292 Cass. Civ. 21 aprile 1966, n. 1027, in Foro It., 1966, I, c. 1520

L’autonomia contrattuale delle parti è riconosciuta anche in ordine alla possibilità di stabilire il compenso in un importo fisso ovvero in percentuale, da erogare sia durante la vigenza del rapporto di lavoro sia alla conclusione del medesimo, il tutto con un solo limite: il corrispettivo dev’essere predeterminato nel suo ammontare al momento della stipulazione del patto, così da consentire al lavoratore la sua valutazione di congruità.

Così la più recente giurisprudenza di merito non giudica legittima l’ipotesi (piuttosto frequente) in cui il corrispettivo viene erogato come incremento mensile della retribuzione senza che vi sia una predeterminazione della misura totale o minima del suo ammontare293. L’illegittimità deriverebbe dalla variabilità della durata del rapporto di lavoro, così da introdurre nel patto un incompatibile elemento di aleatorietà ed indeterminatezza; in questo modo l’entità del compenso sarebbe legata alla durata del rapporto di lavoro, snaturando, come qualcuno sostiene294, la funzione del corrispettivo: non più remunerazione del sacrificio del lavoratore ma premio per la fedeltà al datore di lavoro. Anche in questo caso si rileva una critica della dottrina295, che non ritiene esserci nullità del patto di concorrenza nel momento in cui il corrispettivo viene pagato mensilmente nel corso del

293 Trib. Milano 28 settembre 2010, in Riv. crit. dir. lav., 2010, p. 1080; Trib. Milano 13 agosto 2007, in Riv. crit. dir. lav., 2007, p. 1124

294 MENEGATTI, op. cit., p. 105 295BARTALOTTA, op.cit.

rapporto di lavoro, contestando l’assenza di determinabilità del compenso. Infatti il lavoratore è posto nelle condizioni di valutare fin dall’origine se si tratta di un compenso simbolico o meno, commisurandolo alla retribuzione mensile; e, se al momento della conclusione del rapporto, risultasse sproporzionato a suo danno il compenso, egli potrebbe agire chiedendo la rescissione del patto296. Se poi il rapporto di lavoro avesse una durata superiore rispetto a quella preventivata dalle parti, il maggior compenso manterrebbe una sua logica; costituirebbe, infatti, un giusto corrispettivo connesso alla contemporanea accresciuta professionalità del lavoratore297.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 140-144)