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Applicabilità agli accordi orizzontali e verticali.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 108-114)

Il patto di non concorrenza (art 2596 c.c.)

3. Applicabilità agli accordi orizzontali e verticali.

Una questione annosa riguarda l’applicabilità o meno dell’art. 2596 c.c. agli accordi verticali. Com’è noto, si è soliti distinguere due tipi di accordi: quelli orizzontali, in cui le parti sono operatori in concorrenza diretta tra di loro che si rivolgono potenzialmente alla stessa clientela, offrendo beni e servizi simili; quelli verticali, che sono stipulati tra operatori che si trovano a diversi livelli del processo produttivo o distributivo. Mentre per i primi è pacifica la loro diretta natura anticoncorrenziale, per i secondi non è possibile sostenere lo stesso; infatti l’effetto diretto di questi patti è quello di vincolare la libertà di azione delle parti rispetto ai terzi, al mercato, ai prezzi o alle condizioni di offerta, secondo i casi.

La presenza di un effetto anticoncorrenziale, infatti, potrebbe riscontrarsi solo indirettamente: si pensi al caso di un produttore che ponga in essere un’esclusiva con un determinato rivenditore vietandogli, allo stesso tempo e a proprio vantaggio, di rifornirsi da altri produttori.

In merito a ciò, la giurisprudenza dominante e parte della dottrina ritengono che l’effetto primario derivante dagli accordi verticali e dalla ratio dell’art. 2596 c.c. (consistente nella tutela della libertà

individuale dei contraenti) impediscono l’applicazione dello stesso a queste intese.

Si sostiene infatti che “l’ambito di applicabilità dell’art. 2596 c.c. sia ristretto ai patti con i quali le parti regolino la reciproca concorrenza, assumendo al riguardo contrapposte obbligazioni e non possa estendersi anche all’ipotesi in cui da un contratto derivi come effetto immediato e indiretto un’incidenza sul rapporto concorrenziale che leghi uno dei contraenti a terzi”225 Inoltre, si afferma, che questi accordi non sono limitativi della concorrenza, tenuto conto che l’effetto sulla stessa è solo eventuale226.

Tuttavia c’è chi sostiene227(dottrina minoritaria) che questo tipo di accordi abbia in sé sempre una valenza anticoncorrenziale (si pensi, con riferimento all’esempio sopra riportato, al divieto imposto al rivenditore di non procurarsi beni similari da altri produttori, impedendogli così di espandere la sua quota di mercato offrendo alla clientela più prodotti similari e, probabilmente, a prezzi differenti), per cui non c’è ragione di escluderli dall’applicazione della norma in esame. Chi sostiene tale tesi individua, inoltre, l’anomalia della giurisprudenza che afferma l’inesistenza di un rapporto di concorrenza tra due soggetti che operano a livelli diversi quando si tratta di

225 Cass. Civ. 20 dicembre 1972, n. 3654, in Rep. Giust.Civ., 1972, Vendita, n. 145 226 GRISOLI, op. cit., p. 313

227 GHIDINI, Restrizioni negoziali della concorrenza: profili di diritto interno, op.cit, p.985

applicare l’art. 2596 c.c. e, invece, lo riconosce esistente in caso di applicazione dell’art. 2598 c.c. in tema di concorrenza sleale.228

Ma, dal punto di vista dell’applicabilità dell’art. 2596 c.c, la netta distinzione tra accordi orizzontali e accordi verticali può considerarsi superata?

Oltre a quanto si potrà dire circa i rapporti con la legislazione Antitrust, sembra possibile una risposta positiva sulla base di una recente e nuova interpretazione della Suprema Corte229. Nel caso preso in esame, l’amministratore di una società operante nel campo della refezione e della ristorazione, pur avendo sottoscritto un patto di non concorrenza ex art. 2596 c.c. per il periodo successivo alla cessazione della carica, in vigenza del patto era divenuto amministratore di altra società che svolgeva l’attività di commercializzazione di buoni pasto da spendere presso terzi. Apparentemente, le attività sono diverse e poste su piani altrettanto diversi: nella prima si svolge attività di ristorazione diretta, nella seconda attività distributiva di buoni pasto. La Corte, nel riconoscere che la nuova attività comportava violazione del patto di non concorrenza sottoscritto dall’amministratore, ha adottato una nozione allargata di attività concorrente, rilevante ai fini dell’art. 2596 c.c. Così vengono considerate attività concorrenti tutte quelle attività che, anche se differenziate nell’offerta di prodotti, sono 228 Cass. Civ. 23 aprile 1978, n. 1940, in Giur.it., 1978, I,1, c. 1835; App. Milano, 21 gennaio 1977, in Giur. ann. dir. ind., 1977, p. 207

tuttavia destinate alla stessa tipologia di potenziali clienti, soddisfacendone i medesimi bisogni.

Assume quindi importanza l’identità del bisogno del consumatore alla cui soddisfazione sono rivolte le attività da confrontare.

A conferma di quanto sopra, si ricordi che il concetto di sostituibilità di un prodotto costituisce criterio rilevante per l’individuazione del mercato di riferimento230.

4.Forma e condizioni di validità.

Come già accennato, uno degli aspetti legati al carattere autonomo del patto di non concorrenza ex art. 2596 c.c., rispetto a clausole e a patti accessori inseriti in contratti più ampi, è proprio quello della forma scritta richiesta ad probationem. Evidentemente il legislatore, presupponendo una situazione di sostanziale equilibrio tra i contraenti, ha ritenuto sufficiente il requisito della forma scritta al solo fine probatorio. Del resto, in situazioni di oggettiva debolezza contrattuale di una parte rispetto a un’altra, l’ordinamento predispone la forma scritta ad substantiam, come tutela del contraente più debole231. Al riguardo, è il caso qui di ricordare che l’art. 2125 c.c. costituisce una chiara conferma di quanto appena affermato, dal momento che 230 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Delibera n. 7337 del 1 luglio 1999

231 Così si sostiene che un patto simile, contenuto in un formulario debba essere approvato per iscritto, da parte del contraente che aderisci, ex art.1341 comma 2 c.c., in quanto la clausola limita la libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.

richiede, a pena di nullità, la forma scritta sull’assunto che vi sia soggezione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

In ordine agli altri elementi di validità del patto non sorgono particolari problematiche sulla durata (al massimo, quinquennale), in quanto il legislatore ha previsto l’inserimento automatico di questo termine, qualora le parti non ne abbiano indicato alcuno oppure ne abbiano previsto uno più lungo. Naturalmente la clausola che preveda una forma di rinnovo tacito sarà nulla, in quanto il termine di durata è posto a tutela della libertà economica del contraente evitando così facili elusioni della norma232.

Risulta, invece, più problematica l’analisi del contenuto dell’attività e dello spazio. Secondo il tenore letterale dell’articolo, sembrerebbe non esserci alcun dubbio in ordine alla validità del patto quando vi sia, alternativamente, la circoscrizione o ad una determinata zona o a una determinata attività. Tuttavia proprio la presenza della particella disgiuntiva “o” nel corpo dell’articolo non convince tutti gli interpreti. L’opinione minoritaria ritiene che per evitare la nullità del patto sia necessaria la compresenza di entrambe le determinazioni, al fine di consentire solo così una corretta valutazione della pattuita restrizione della concorrenza233.

232 Cass. Civ. 6 agosto 1964, n. 2242, in Giust. civ., 1964, I, p.1908

233 RAVÀ, Diritto industriale. Vol. 1: Azienda. Segni distintivi. Concorrenza,UTET, 1981, p. 227

Così, anche in un giudizio di merito, è stata riconosciuta la nullità di un patto che, pur in presenza di una specifica individuazione dell’attività, aveva un’estensione territoriale illimitata234.

Al contrario la giurisprudenza maggioritaria preferisce adottare l’interpretazione letterale, ritenendo sufficiente il riferimento ad una sola delimitazione, ai fini della validità del patto235.

Da ultimo è importante ricordare una teoria intermedia236 secondo la quale l’art. 2596 c.c., nel punto discusso, va interpretato alla luce dell’art. 12 delle preleggi per individuare la reale “intenzione del legislatore”. Intenzione che ben si desume anche dal dettato dell’art. 2557 comma 2°, secondo cui il patto non deve impedire ogni attività professionale. Pertanto, potrà essere sufficiente la presenza di uno solo dei requisiti di oggetto o di spazio, ma si dovrà comunque procedere ad una valutazione caso per caso per stabilire se la restrizione sia nei limiti ammissibili dal legislatore.

234 Trib. Napoli 24 aprile 1980, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1980, n. 1306 235 Cass. Civ. 26 aprile 1974 n. 1200, in Giur. Dir. Ind., 1974, p.162 236 GUGLIELMETTi, op. cit. p. 308

5. Rapporti tra art. 2596 c.c. e legge Antitrust: compatibilità o

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