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Le ipotesi degli amministratori di fatto, dei liquidatori e dei direttori generali.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 74-81)

I divieti legali nelle società: gli artt 2301 e 2390 c.c.

2. Le ipotesi degli amministratori di fatto, dei liquidatori e dei direttori generali.

Dal punto di vista soggettivo, l’articolo 2390 c.c. si applica certamente a tutti gli amministratori della società siano essi delegati, membri del Comitato esecutivo o semplici consiglieri.

165 SPOLIDORO, op. cit. , p. 1327

Tuttavia esistono delle figure all’interno della società o legate alla stessa, su cui sono sorti interrogativi circa l’applicazione o meno del divieto ex art. 2390 c.c.

Le figure in questione sono quella dell’amministratore di fatto, del liquidatore e del direttore generale.

Quanto all’amministratore di fatto167 emergono incertezze riguardo alla sua definizione. Dal punto di vista della responsabilità civile, la dottrina e la giurisprudenza utilizzano questa espressione in ordine a due ipotesi distinte: da una parte, viene così individuato colui che si intromette nell’amministrazione della società, esercitando di fatto i poteri che spettano agli amministratori regolarmente nominati; dall’altra viene identificato in tal modo l’amministratore che sia stato nominato con una delibera irregolare (ad esempio, quando la nomina non sia stata pubblicata nel Registro delle Imprese) oppure sia tacita o implicita (ad esempio, quando il comportamento dei soci è tale da far presumere ai terzi l’esistenza di una nomina formale che, in realtà, non c’è). In passato, la qualifica di amministratore di fatto non veniva riconosciuta allo stesso modo in entrambe le ipotesi sopra richiamate. Solo di recente168, a seguito di un’ormai consolidata giurisprudenza penalistica, è stato riconosciuto al soggetto che esercita di fatto

167 Quest’espressione nasce all’inizio del ‘900 in ambito penalistico per punire quei soggetti, non formalmente amministratori, ma che avevano di fatto poteri gestori e direttivi (si pensi ai casi di bancarotta)

l’attività di gestione dell’impresa (qualunque ne sia la causa) il dovere di sottoporsi agli obblighi che la legge impone agli amministratori. Tale riconoscimento è stato fatto proprio dal legislatore che, con il d.lgs. 11 aprile 2002 n. 61, ha modificato l’art. 2639 c.c. prevedendo, ai fini della responsabilità penale, l’equiparazione all’amministratore di diritto169, di chi nei fatti “esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione” . Di qui discende l’obbligo, anche per questi soggetti, di non agire in conflitto d’interessi né di svolgere attività concorrenziale; il tutto in ossequio al principio del corretto esercizio dell’attività di amministrazione ex art. 2392 c.c., prescindendo dalla formale qualifica del soggetto che l’esercita.

A questo riguardo non si può non menzionare un’interessante ipotesi dottrinaria170: l’estensione del divieto di concorrenza anche al cosiddetto “amministratore indiretto”, cioè colui che, pur essendo regolarmente nominato, adotta le direttive di altri nell’esercitare i poteri conferitigli dall’assemblea. Questa tesi è stata tuttavia criticata da chi171, partendo dal presupposto che alla base dell’applicazione della norma in questione vi sia un rapporto di fiducia, sostiene che il

169 Cass. Pen., III° sez., 29 agosto 2012 n. 33385 in Foro italiano, 2013, n. 10, parte II, p 589, che conferma come l’art. 2639 c.c. in questa parte abbia “prevalente natura interpretativa di precedenti, consolidati, approdi giurisprudenziali”

170 ASCARELLI, op.cit., p. 69 171 SPOLIDORO, op.cit., p. 1331

divieto di concorrenza si applica solo nei confronti dell’amministratore nominato dall’assemblea, verso la quale sussiste il rapporto fiduciario stesso. In questo modo chi avrà violato i propri doveri sarà l’amministratore regolarmente nominato, ma non il terzo “manovratore” che non ha alcun rapporto sulla società.

Quanto ai liquidatori? Il divieto di concorrenza vale anche per loro? In passato, si sosteneva che l’art. 2390 c.c. non potesse trovare applicazione in una fase di liquidazione, durante la quale non è possibile intraprendere nuove operazioni commerciali. Oltretutto, una volta sorta la causa di scioglimento, non sussisterebbe più uno dei presupposti dell’art. 2390 c.c., ovvero l’obbligo di perseguire l’oggetto sociale.

La questione, rivelatasi col tempo poco pacifica, presta il fianco ad alcune critiche172: lo stato di liquidazione non azzera, di certo, ogni elemento della società e neppure dell’azienda, tanto che potrebbero permanere situazioni di concorrenza con altre società (si pensi alla necessità di commercializzare i prodotti in magazzino, oppure alla possibilità che venga revocato lo stato di liquidazione con conseguente ripresa dell’attività sociale).

Tali considerazioni sono state ormai colte positivamente dalla giurisprudenza di legittimità173tanto da farle ritenere applicabile il disposto dell’art. 2598 c.c. anche alle società in liquidazione.

In dottrina174 è stato proposto un diverso punto di vista, secondo cui gli obblighi e i doveri dei liquidatori sono i medesimi che incombono sugli amministratori della società sulla base di quanto disposto dal vecchio art. 2452 c.c175che rinviava anche all’art. 2390 c.c..

In fondo, il problema è il seguente: il divieto di concorrenza è compatibile con il particolare stato di liquidazione in cui versa la società? La risposta non può che essere negativa per coloro che sostengono il venir meno dell’obbligo del perseguimento dell’oggetto sociale; tuttavia, nella realtà dei fatti, è preferibile considerare sussistente il divieto di concorrenza in capo ai liquidatori. Tale divieto per i liquidatori trova la sua ragion d’essere nel rapporto di fiducia meritevole di tutela che si instaura tra loro e la società176.

L’ultima ipotesi particolare è quella relativa alla “veste” di direttore generale. Ma cosa s’intende con quest’espressione?

173 Cass. Civ. 11 marzo 1975, n. 897, in Giur. ann. dir. ind.,1975, (681/2), p.27 174SPOLIDORO, op.cit., p. 1333

175 Ci si riferisce all'originario art. 2452 c.c. non più in vigore dal 1° gennaio 2004 in virtù dell'art. 2 D.Lgs 17.01.2003, n. 6; va precisato che anche dopo la riforma del diritto societario tale tesi trova ancora sostegno nell’art. 2276 c.c. che richiama le disposizioni stabilite per gli amministratori (anche se solo per le società di persone) in ordine agli obblighi e alle responsabilità dei liquidatori.

L’art. 2396 c.c.177 è la sola norma che ci aiuta a inquadrare questa figura disponendo l’applicazione delle regole sulla responsabilità in capo agli amministratori anche ai direttori generali.

Come nei due casi precedentemente trattati, allo stesso modo si ripropone qui la stessa domanda, mutatis mutandis: il direttore che svolge attività concorrente può costituire un pericolo per la società nella quale lavora?

In dottrina si è discusso per molto tempo circa l’esatta collocazione della figura del “direttore generale”; si tratta di un soggetto assimilabile ad un amministratore, oppure appartenente alla categoria dei lavoratori subordinati ex art. 2094 c.c.

Quest’ultima interpretazione veniva preferita dalla dottrina dominante a causa dell’effettiva situazione di dipendenza nei confronti della società.

Vi era comunque chi sosteneva178 che amministratori e direttori avessero differenti mansioni e limiti giustificati dalle rispettive e diverse posizioni; ne sono una dimostrazione l’applicazione di alcune norme penali agli amministratori e non ai direttori. In sostanza, secondo questa tesi, la volontà del legislatore di sanzionare eventuali

177 Art. 2396 c.c.:”Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società.”

178 GUGLIELMINETTI, Direttori generali di società per azioni e divieto legale di

responsabilità penali degli amministratori e non dei direttori, derivava dal fatto che i primi avevano, appunto, diverse “responsabilità” ed inoltre erano legati alla società attraverso un contratto di mandato e non di lavoro subordinato, come nel caso dei direttori. In ragione di ciò, parte della dottrina179 non riteneva necessaria l’applicazione del divieto dell’art. 2390 c.c. anche ai direttori generali per via della presenza dell’art. 2105 c.c., nel quale è racchiuso l’obbligo di fedeltà del lavoratore subordinato (direttore generale) nei confronti del suo datore di lavoro (imprenditore/società).

Siamo, insomma, in presenza di figure diverse. Tuttavia le interpretazioni sopra riportate non possono prescindere dal riconoscere che, sia gli amministratori sia i direttori generali, ricoprono incarichi direttivi e gestori potenzialmente idonei a far ricadere su entrambi il divieto di concorrenza ex art. 2390 c.c.

Infatti la concorrenza posta da un direttore generale, è senz’altro da non sottovalutare: è un dipendente della società, ne conosce i meccanismi e le dinamiche e in qualche modo potrebbe danneggiarla, in favore di un’altra. E´proprio la situazione di dipendenza dalla società e i compiti a lui affidati che, pur non consentendogli di entrare a far parte del consiglio di amministrazione (ovvero dell’organo societario “pilota”), gli permettono di avvalersi di informazioni comunque dettagliate e importanti.

Al dì là delle argomentazioni dottrinarie sopra riportate, allo stato attuale il problema è stato risolto dal legislatore nella riforma societaria del 2004. Infatti il nuovo testo dell’art. 2390 c.c. vieta espressamente all’amministratore di assumere la carica di direttore generale in altra società concorrente. Allo stesso modo, come affermato180, anche il direttore generale di una società non potrà essere contemporaneamente amministratore di una società concorrente.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 74-81)