• Non ci sono risultati.

Contenuto della clausola e suoi limiti.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 123-132)

Il patto di non concorrenza ex art 2557, 2° e 3°comma c.c.

2. Contenuto della clausola e suoi limiti.

La particolarità del divieto posto in forza dell’autonomia negoziale delle parti è data dalla possibilità di un’ampia manipolazione dei parametri di spazio, oggetto e tempo richiamati nel più generale art. 2596 c.c. Il 2° comma dell’art. 2557 c.c., in effetti, consente sia l’applicazione di un divieto di concorrenza che può essere meno stringente di quello previsto dal 1° comma sia la previsione di limiti più ampi di efficacia del divieto. oltretutto si può giungere persino ad escludere completamente il divieto251.

Quest’aspetto fa sì che spesso le parti stipulino tali accordi dando loro un contenuto variegato.

Passando ad analizzare il punto di vista oggettivo, si può verificare il caso di due parti che si accordano per vietare a chi cede l’azienda lo svolgimento di un’attività preesistente, diversamente da quanto accade 250 L’atto pubblico o la scrittura privata autenticata sono divenuti obbligatori per l’iscrizione nel Registro delle Imprese a seguito dell’emanazione della legge 12 agosto 1993 n. 310, art. 6 che ha modificato il 2° comma dell’art. 2556 c.c.

251 La rinuncia da parte dell’acquirente a questa tutela costituisce un legittimo esercizio di un diritto disponibile.

con il divieto ope legis, il quale vieta all’alienante solamente l’inizio di una “nuova impresa”.

Tuttavia quest’ampia possibilità di limitare le attività (anche se già esistenti) trova un limite invalicabile nel 2° comma dell’articolo in esame che ne riconosce la validità purché non impedisca ogni attività professionale dell’alienante. Un patto che prevedesse la preclusione di qualsiasi attività professionale ad una delle parti sarebbe senza dubbio contrario alla norma ma più in generale ai principi costituzionali di tutela del lavoro e di libertà d’iniziativa economica.

Quanto all’elemento dell’attività “professionale”, va ricordato che in quest’espressione non sono ricomprese le cd. “professioni protette”, ma più in generale ci si riferisce alla professionalità intesa come elemento d’individuazione dell’impresa252.

La giurisprudenza, però, ha esteso l’applicabilità della norma in esame anche ai liberi professionisti. Al riguardo, una delle più importanti pronunce della Cassazione risale al 1974253. La sentenza si interessò per la prima volta della vendita di uno studio professionale, inteso come comprendente anche la clientela, e affrontò il problema della sua validità, dando risposta positiva. Nulla però disse sul divieto della concorrenza a carico del cedente, elemento questo fondamentale per il

252 LECCESE, I patti di non concorrenza, in Giurisprudenza sistematica di diritto

civile e commerciale, I contratti in generale, Vol. II, UTET, p. 876

buon fine del contratto stante appunto il carattere fiduciario del rapporto tra professionista cedente e clientela ceduta.

In occasione di questa sentenza, fu naturale porre l’interrogativo circa l’applicabilità o meno dell’art. 2557 c.c. alla fattispecie. In risposta si affermò254 che la norma non poteva ritenersi sempre applicabile ma solo nel caso in cui lo studio, per le dimensioni raggiunte, si fosse spersonalizzato dal professionista cedente; mentre non poteva ritenersi applicabile se lo studio avesse mantenuto un forte legame con il professionista suo titolare255.

Da ultimo una recente sentenza della Cassazione256 ha definitivamente confermato il detto orientamento, specificando che “è lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e degli arredi, ma anche della clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest'ultima, non una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d'opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario), ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire - attraverso l'assunzione di obblighi

254 DE NOVA, nota a sentenza Cass. Civ. 8 febbraio1974 n. 370, in Foro It., 1974, p. 2046

255 In questo caso il divieto esisterebbe comunque a prescindere dall'applicazione o meno dell'art. 2557 c.c. in forza dei principi di buona fede, correttezza ed equità. 256 Cass. Civ. 9 febbraio 2010 n. 2860, in Giust. Civ. Mass. 2010, 2, p. 174

positivi di fare (mediante un'attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) - la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante”. Chiaramente, questa assunzione di obblighi positivi e negativi da parte del cedente potrà costituire oggetto di un patto ex art. 2557 c.c.

A questa conclusione sembra essere giunto anche il legislatore se consideriamo che il “Decreto Bersani” (D.L. 4/7/2006 n.223, convertito con modificazioni in legge 4/8/2006 n. 248) ha modificato il Testo Unico delle imposte sui redditi (DPR 22.12.1986 n. 917 inserendo l'art. 54 quater che recita: “Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica o professionale”. Altre ipotesi, sempre sotto il profilo oggettivo, possono presentarsi allorché la parte alienante sottoscrive un patto in cui si obbliga a non svolgere un’attività in una certa direzione (ad esempio sviluppando dei progetti, non ancora esecutivi al momento della cessione, ma dei quali l’acquirente è a conoscenza e ne teme gli effetti concorrenziali) oppure a non porre in essere attività di concorrenza neanche attraverso interposta persona o società257.

È quest’ultima un'ipotesi ricorrente che può concretizzarsi in diverse modalità, tutte però riconducibili all’effetto finale di attribuire la 257 Trib. Ivrea sent. 19 marzo 2008 n° 41 in Guida al dir. 08, 100

titolarità formale dell'impresa a soggetti terzi, mentre l’effettivo esercizio è mantenuto dallo stesso alienante. Ciò accade per esempio quando la licenza dell'attività commerciale concorrente all'azienda ceduta è formalmente intestata ad una persona legata all'alienante da particolari vincoli mentre in realtà la stessa è condotta direttamente dalla persona soggetta al divieto di concorrenza. Oppure nel caso in cui l’alienante partecipi ad una società di persone nella quale ha assunto funzioni di gestione.

Allo stesso modo quando egli diviene socio di maggioranza o amministratore unico di società di capitali costituita dopo la cessione dell'azienda ovvero assume l’incarico di amministratore, dirigente o anche consulente in una impresa concorrente.

Tutte queste potenziali ma non remote ipotesi suggeriscono l’inserimento di un patto che ponga il divieto in capo al venditore di iniziare (anche indirettamente) una nuova attività.

Un ulteriore profilo è quello spaziale (o territoriale) il quale può essere ampiamente modificato ad opera delle parti prevedendo, ad esempio, un’estensione del divieto a un territorio o una zona dove non sussista un reale pericolo di sviamento di clientela oppure dove l’impresa non abbia ancora operato. Senza addentrarsi sulle varie ipotesi di limitazione territoriale del divieto pattizio, occorre rilevare come i limiti dell’ubicazione, per molte categorie di imprese, non sono da intendersi come luogo in cui l’impresa ha la propria sede bensì come

quello in cui essa svolge la propria attività. Ma ciò, tenuto conto del progresso economico e tecnologico pone una rilevante problematica. Si pensi alle potenzialità offerte dal commercio elettronico, che rendono l’impresa ed i suoi servizi virtualmente accessibili a chiunque, a prescindere dalla collocazione geografica. In un caso come quello del commercio elettronico, il fatto stesso di svolgere la nuova o preesistente attività imprenditoriale potrebbe ricadere nel divieto di cui all’art. 2557 c.c. ove anche la nuova attività fosse fisicamente collocata in zone assai distanti da quella ceduta. Di qui la necessità di strutturare in modo efficace clausole (ai sensi del 2° comma) dirette a limitare pattiziamente il divieto di concorrenza, anche ampliando il divieto legale258. Si pensi al caso di un produttore di calzature che commercializza i suoi prodotti, unitamente a prodotti di terzi, mediante un proprio sito elettronico e decide di cedere il ramo della sua attività, relativo alla produzione, mantenendo però l’attività di distribuzione. Appare chiaro in questo caso l’interesse dell’acquirente del ramo d’azienda a mantenere il più possibile intatto il flusso di clientela acquisita tramite web, e quindi a prevedere clausole specificatamente dirette a salvaguardare questo valore (ad esempio: obbligare l’alienante a mantenere nelle stesse dimensioni l’offerta via web relativa alla futura produzione dell’acquirente oppure limitare la residua attività

258 Appare evidente, nel settore dell’ e-commerce, la difficoltà pratica nel limitare la prestazione di servizi telematici all’interno di determinare aree geografiche o di mercato.

dell’alienante impedendogli di commercializzare prodotti in concorrenza con quelli prodotti dall’acquirente259).

Per quanto riguarda l’aspetto temporale, mentre è pacifica la possibilità di inserire un termine più breve di quello stabilito dalla legge, è senz’altro esclusa la facoltà di estendere oltre il quinquennio il divieto contenuto nel patto, anche se il suo inserimento con un periodo ultraquinquennale, non comporta la perdita di efficacia del patto stesso ma solo l’automatica riduzione del limite temporale come previsto dalla norma. Il legislatore, infatti, come ha fatto con l’art. 2596 c.c., ritiene tale limite sufficiente per un consolidamento della clientela. Per concludere si deve ricordare che un patto ex 2557 c.c. può persino giungere ad escludere completamente il divieto di concorrenza260 e che tale ipotesi non è certo rara.

Basti pensare, ad esempio, che le grandi catene di distribuzione di prodotti, sia del settore alimentare che non, usano spesso lo schema della cessione d'azienda o di ramo di azienda per raggiungere l’obiettivo dell'apertura o dell'ampliamento dei loro punti vendita. In sostanza, non essendo consentito dal nostro ordinamento il trasferimento della sola autorizzazione amministrativa,, gli operatori della grande distribuzione organizzata (Coop, Lidl, Esselunga etc.),

259 Naturalmente queste clausole dovranno essere compatibili, ove ne ricorrano i presupposti di applicabilità, anche alla disciplina Antitrust nazionale ed europea. 260 La rinuncia da parte dell’acquirente a questa tutela costituisce un legittimo esercizio di un diritto disponibile.

attraverso l'acquisto di rami di azienda, si procurano una serie di licenze commerciali che, con il loro accorpamento, consentono di legittimare strutture ben più ampie sia dal punto di vista delle merci che della metratura dei locali di vendita261.

In questi casi, allorché ne ricorrano i requisiti di rilevanza, la normativa Antitrust nazionale ritiene che si verifichi un caso di concentrazione di imprese da valutare ai sensi dell'art. 5 comma 1, lettera b), della legge n.287/1990.

Tuttavia, la stessa Autorità Antitrust262, a seguito del concorde orientamento del Consiglio di Stato263, ha riconosciuto che in questi casi non si è in presenza di acquisizioni di controllo di parte di imprese che comportino una modifica della struttura del mercato dove operano gli stessi cedenti, proprio grazie all’espressa deroga al patto di non concorrenza ex art. 2557 c.c., 2° comma, previsto in questi contratti, in virtù del quale ai cedenti è consentito di poter continuare la loro attività, attraverso una segnalazione certificata d’inizio attività (S.C.I.A.)264. Il riconoscimento che non si tratti di casi di concentrazione è stato definitivamente previsto dall’Autorità Antitrust 261 Il D.lgs. n.114/1998 ha previsto la liberalizzazione dei c.d. "esercizi di vicinato", cioè quelli aventi una superficie di vendita non superiore a 150 mq. o a 250 mq., a seconda che il Comune sia rispettivamente inferiore o superiore a 10.000 abitanti, mentre richiede sempre il rilascio della licenza comunale per le medie e grandi strutture di vendita, salvo il caso di accorpamento di licenze già esistenti

262 Provv. n. 16809, Lidl Italia/rami d'azienda, 10 maggio 2007, in Boll.19/2007 263 Consiglio di Stato sez. VI, 31 marzo 2009, n. 1894, Lidl Italia/rami d'azienda 264 Come previsto dal D.lgs. n.114/1998, art.7. come modificato dal D.lgs. 26 marzo 2010, n. 59

con un provvedimento265che ha modificato il Formulario266, nel quale si precisa che: “non si realizza una concentrazione nel caso in cui l’operazione consista nell’acquisizione della sola licenza commerciale, laddove non sia impedita al cedente la continuazione dell’attività d’impresa oggetto della licenza commerciale ceduta, neppure in base a disposizioni di natura pattizia o disposizioni adottate da enti locali...”. Pertanto è chiara l’importanza di una previsione derogatoria del divieto legale ex 2557 c.c., in assenza della quale la cessione d’azienda, tesa al raggiungimento delle stesse finalità di cui sopra, costituirebbe invece un’operazione di concentrazione soggetta all’obbligo di comunicazione preventiva ex art. 16 della legge Antitrust.

265 Provv. n. 19964/ 2009, in Boll. 24/ 2009

266 Il formulario è costituito dai prospetti, elaborati dalla A.G.C.M., per la comunicazione e notifica di operazioni di concentrazione

Sezione III

Il patto di non concorrenza successivo al rapporto di lavoro

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 123-132)