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Il concetto di attività concorrente.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 81-86)

I divieti legali nelle società: gli artt 2301 e 2390 c.c.

3. Il concetto di attività concorrente.

L’articolo di cui si tratta vieta agli amministratori lo svolgimento di “attività concorrente”. Ma cosa intende il legislatore con questa locuzione?

Da tempo, è esclusa la rilevanza, ai fini del divieto, di atti di concorrenza sporadici o occasionali che potrebbero essere compiuti dall’amministratore durante lo svolgimento di operazioni nel mercato in cui opera la società.

Questa scelta è giustificata dal fatto che la situazione di potenziale concorrenza che la norma vuole evitare si presenta con una serie di atti mirati a scopi concorrenziali e non a singoli affari.

Tuttavia, non è facile determinare quali siano i confini tra atti sporadici e attività concorrenziale soggetta al divieto dell’articolo in esame.

180 GUIZZI, Divieto di concorrenza, in AA.VV., Società di capitali, Commentario a cura di G. Piccolini e A. Stagno d’Alcontres, II, sub art. 2390, Napoli , 2004 , 644

Riguardo alla definizione, generalmente accolta, di rapporto di concorrenza, si è già parlato181 in sede introduttiva. Qui ciò che interessa è precisare che la concorrenza “pericolosa” e da contrastare non è solo quella “attuale” tra due o più società in uno stesso mercato, ma anche quella “potenziale”.

Un amministratore, infatti, dovrà evitare di svolgere affari o attività di concorrenza anche in un ambito territoriale non ancora intaccato dalla sua società, ma che potrebbe potenzialmente essere occupato dalla stessa in futuro.

Ecco perché si privilegia un concetto di concorrenza più elastico e che guardi anche ad aspetti “potenziali”, nei limiti della prevedibilità, meritevoli di tutela per la società. L’indicazione delle potenziali attività concorrenziali sarà indispensabile per stabilire se il divieto di concorrenza è stato violato o no e quindi per determinare l’esistenza di una giusta causa per la revoca dell’amministratore.

Una prima fattispecie pericolosa che il legislatore intende evitare è l’esercizio, da parte dell’amministratore, di un’attività concorrente per conto proprio. Si tratta di un’ipotesi che ricorre sia con l’assunzione della qualità di socio illimitatamente responsabile in società concorrenti sia quando viene svolta l’attività imprenditoriale in forma individuale. Naturalmente è equiparabile a questa ipotesi anche l’attività concorrente che sia svolta da suoi collaboratori (terzi), ma nel 181 Per tutti, FRANCESCHELLI, Trattato di Dir. Ind., II, Milano 1960, p. 509

suo interesse182. Inoltre, come evidenziato dalla dottrina183, un amministratore potrebbe eludere il divieto di concorrenza attraverso l’ausilio di prestanomi; motivo per cui è necessario “guardare alle spalle” del soggetto che materialmente compie quell’attività in concorrenza, in modo da evitare facili raggiri.

Un ulteriore e particolare ipotesi nasce dal tenore letterale del divieto ex 2390 c.c., quando tratta dell’amministratore che riveste anche i panni di socio illimitatamente responsabile in una società che è concorrente con quella per la quale svolge il suo incarico. Vuol dire, forse, che non esiste divieto di concorrenza per l’amministratore che sia anche socio limitatamente responsabile ?

In generale se è vero che l’assunzione di un rischio illimitato contribuisce a formare quella situazione di potenziale “conflitto” che fonda il divieto, non è così scontato che sussista un medesimo rischio di conflitto d’interessi nell’acquisizione di partecipazioni in società di capitali.

Sono due le interpretazioni che emergono in risposta a questa domanda: una precedente dottrina maggioritaria preferiva la non applicazione del divieto all’ipotesi di acquisto di partecipazioni in

182 E´sufficiente che i risultati e i rischi dell’attività svolta da soggetti quali, lavoratori subordinati, ausiliari o altri collaboratori, ricadano comunque a suo favore e a suo carico.

183 CALANDRA BUONAURA, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli

amministratori, in Trattato delle società per azioni di Colombo-Portale, 1992, vol.4,

società di capitali, giustificandola su basi storiche184. In tal senso si sosteneva che l’evoluzione normativa anteriore alla disciplina dell’art. 2301 c.c. (socio di s.n.c.) si basava sulla volontà del legislatore dei precedenti codici di commercio (1865 e 1882) di escludere dai comportamenti vietati l’acquisizione di partecipazioni a carattere finanziario e quindi la qualità di socio di capitale in società concorrenti.

In realtà una tesi più recente185conferma l’applicabilità del divieto anche nel caso in cui un amministratore acquisisca una posizione di forte controllo in una società di capitali concorrente (attraverso un largo possesso di quote o azioni), perché, in questo modo, si concretizzerebbe una situazione analoga a quella espressamente vietata dal Codice. L’amministratore sarebbe, infatti, il principale destinatario degli effetti dell’attività concorrenziale svolta da quest’ultima società, traendone benefici.

Quest’ultima teoria sembra preferibile anche a seguito delle innovazioni normative in materia di società. Basti pensare che il legislatore ha introdotto nell'ordinamento giuridico, con il D.Lgs. 3 marzo 1993 n. 88, l'istituto della s.r.l. unipersonale e con la riforma del diritto societario, attuata con il D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 la S.p.a. unipersonale. A questo punto, un’interpretazione strettamente letterale

184 Per tutti PIPIA, Trattato di diritto commerciale, vol. II, Torino, 1914, p. 258 185 SPOLIDORO, op. cit. p. 1352

dell’art. 2390 c.c., presterebbe il fianco a facili elusioni del divieto stesso; ecco perché si può affermare che l’art. 2390 c.c. deve trovare applicazione nell’ipotesi di amministratore che sia anche socio rilevante di società concorrente ma limitatamente responsabile.

Un’altra ipotesi richiamata dall’articolo in esame è quella in cui l’amministratore non esercita l’attività concorrente nel proprio interesse, ma nell’interesse di terzi. Anche in questo caso la dottrina ha fornito diverse interpretazioni per l’inquadramento della fattispecie. C’è chi ha sostenuto186 la necessità della coesistenza di due presupposti affinché l’attività si possa dire per conto di terzi: è necessario, cioè, che essa sia esercitata in nome proprio dall’amministratore e che vi sia un interesse proprio di costui nell’esercitare l’attività. Altra dottrina187, però, non ritiene obbligatori questi presupposti per l’individuazione della fattispecie; sostiene infatti che, così facendo, non si renderebbe applicabile il divieto ex art. 2390 c.c. nel caso dell’amministratore che agisca nella veste di lavoratore subordinato o associato in partecipazione del concorrente ovvero come rappresentante legale institore o procuratore di quest’ultimo. Tutti casi in cui chi agisce non spende il nome proprio ma quello del “dominus”. Del resto l’obiettivo della norma è colpire lo svolgimento materiale dell’attività e non la sua imputazione formale.

186 FERRI, Delle società, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968, p. 512

Per l’inquadramento della fattispecie è inoltre importante sottolineare che l’attività esercitata per conto di terzi, per essere rilevante, deve essere in grado di influire sulle condizioni della concorrenza, anche se solo in via potenziale: non sarà indispensabile una vera e propria gestione di affari per conto altrui, ma sarà sufficiente anche una mera attività interna che abbia valenza concorrenziale (si pensi al caso dell’amministratore che procuri informazioni o notizie al concorrente, anche non riservate)188.

L’aver parlato del concetto di attività concorrente per conto altrui, ci porta necessariamente a trattare il rilevante problema del c.d. cumulo delle cariche sociali.

4. Il problema del cumulo di cariche sociali e l’applicazione dell’art.

Nel documento I "nuovi" limiti alla concorrenza (pagine 81-86)