LA CRIMINALIZZAZIONE DELL’IMMIGRAZIONE
LA PREVISIONE DI CONSEGUENZE PENALISTICHE PER VIOLAZIONI DI DISPOSIZIONI CONNESSE ALL’IMMIGRAZIONE
1. Immigrazione, sicurezza e reati propri del migrante (ovvero: la criminalizzazione diretta in senso stretto)
5.4. La sentenza della Corte costituzionale 8 luglio 2010, n. 250
5.7.1. Ambito di applicazione
Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, in assenza di una rigorosa definizione nel testo dell’aggravante introdotta nel 2008, la circostanza è stata inizialmente interpretata nel senso di una sua possibile applicazione a chiunque si fosse trovato illegalmente nel territorio dello Stato, dunque ricomprendendo – almeno da un punto di vista formale – anche i cittadini comunitari non in regola con la disciplina sul soggiorno. Tale estensione, però, pur suggerita dal dato letterale, non sembrava adattarsi alle diverse disposizioni che riguardano l’ingresso e il soggiorno dei cittadini comunitari i quali, a differenza degli extracomunitari, possono varcare i confini italiani senza correre il rischio di un respingimento ai sensi dell’art. 10 t.u.imm. e possono altresì soggiornare in un Paese membro senza bisogno di ottenere particolari permessi (se non quando il soggiorno supera i tre mesi). Così ragionando consegue che il cittadino europeo è da considerarsi ‘illegale’ nei ben più limitati casi in cui nei suoi confronti sia stato emesso un ordine di allontanamento da parte delle autorità amministrative (art. 7 e 8 d.P.R 18 gennaio 2002, n. 54) o giudiziarie (artt. 235 e 312 c.p.)208.
207 In questi termini A.DE DONNO, La circostanza aggravante della clandestinità, in S. CENTONZE (a cura di), Diritto penale dell’immigrazione. Aspetti sostanziali e procedurali, Giappichelli, 2010, p. 106. 208 Tale inottemperanza risulta sanzionata dall’art. 21 co. 4 d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE) con l’arresto da uno a sei mesi e con l’ammenda da 200 a 2000 euro. Offre un approfondimento sul punto S. CENTONZE, Sicurezza e immigrazione – La nuova disciplina
sull’immigrazione dopo il cd. pacchetto sicurezza, Cedam, 2009, p. 44. L’Autore, nello sforzo di fornire
una lettura costituzionalmente orientata sostiene una tesi – a nostro avviso poco persuasiva e in aperto contrasto con il dettato normativo – secondo la quale: «La condizione di illegalità sul territorio nazionale da parte di un cittadino comunitario dipende dall’esistenza al momento del fatto reato di un provvedimento di allontanamento già adottato nei suoi confronti a norma della legge. Applicando questo principio con riferimento agli stranieri, mutatis mutandis, si può affermare anche per essi che la condizione di legalità è subordinata al fatto di essere già stati attinti, al momento della commissione del reato aggravato dalla circostanza in esame, da un provvedimento di espulsione ministeriale, prefettizia o giudiziaria, da un foglio di via obbligatorio, ordine di allontanamento o altro provvedimento amministrativo o giudiziario previsto dalla legge che imponga loro l’allontanamento dal territorio nazionale. In altri termini, ciò che la norma punisce non sarebbe lo status di clandestino dell’autore del reato, ma la sua volontaria disobbedienza ad un ordine di allontanamento imposto nel rispetto della legge. La ratio della disposizione penale in questione, pertanto, è la medesima di quella che sorregge le disposizioni di cui all’art. 650 c.p. e dell’art. 14 co. 5 t.u.imm. Così interpretata, la circostanza aggravante non potrà essere contestata allo straniero che, sebbene
I dubbi in merito sono stati sciolti dal nuovo intervento del legislatore che con la l. n. 94/2009 (il cd. pacchetto sicurezza già più volte nominato) ha fornito un’interpretazione autentica della circostanza aggravante, precisando che: «la disposizione di cui all’art. 61, numero 11 bis del codice penale si intende riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi»209. Più che di una norma di interpretazione autentica, sembrerebbe trattarsi di un vero e proprio intervento a carattere innovativo210 posto che nella definizione fornita dal legislatore del 2008 non sembravano proprio esservi appigli per un’interpretazione che escludesse dal novero dei destinatari della circostanza i cittadini comunitari che versavano in una situazione di irregolarità e con l’apposita disciplina del soggiorno. L’intervento, peraltro, ha avuto anche l’effetto di preservare l’Italia da censure in sede comunitaria: nell’Avis Juridique emanato dal Parlamento europeo il 15 settembre 2008 si legge che «un aggravamento della pena inflitta per la commissione di un reato, fondato esclusivamente sulla qualità di cittadino europeo non nazionale e non in regola con la disciplina del soggiorno, sarebbe discriminatorio e contrario ai criteri ispiratori della direttiva 2004/38 ed alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia»211. Chiarita la portata dell’ambito soggettivo di applicazione, la confermata esclusione dei cittadini europei ha iniziato ad apparire irragionevole alla luce dell’art. 3 della Costituzione, posto che era poco chiara – e ancor meno idonea a giustificare il più gravoso trattamento sanzionatorio – l’individuazione nei soli cittadini extracomunitari e apolidi di quella predisposizione ad infrangere la legge (una sorta di presunzione di pericolosità), del tutto assente, invece, negli stranieri comunitari.
irregolarmente soggiornante (ad esempio perché privo di permesso di soggiorno) non sia stato comunque attinto da un provvedimento con il quale si ordinava di allontanarsi dal suolo statale. Una interpretazione costituzionalmente orientata impone quella appena esposta come l’unica lettura possibile dalla norma incriminatrice». In altri termini, secondo questa interpretazione, la circostanza aggravante non troverebbe applicazione se non nell’ipotesi in cui lo straniero sia colpito da un ordine di allontanamento o da un provvedimento di espulsione e commette un reato. Così ragionando, infatti, l’aggravante non trova fondamento nel mero status di clandestino (ipotesi che anche ad avviso dell’Autore ben facilmente avrebbe potuto comportare una questione di legittimità costituzionale) ma nella volontaria disobbedienza ad un provvedimento tipizzato di espulsione (se contestata ad un cittadino extracomunitario) o allontanamento (se contestata ad un cittadino di Stato membro dell’Unione). Come abbiamo detto, però, questa lettura, sconta un forte limite nel dato testuale, che fa riferimento alla sola condizione di illegalità, senza mai richiamare alcun tipo di provvedimento di allontanamento od espulsione.
209 Cfr. l. n. 94/2009, art. 1 co. 1
210 L. MASERA, Terra bruciata, op. cit., p. 52-53
211 Si tratta dell’Avis Juridique del Parlamento europeo (15 settembre 2008) recante «Eventuelle
criminalisation de l’immigration illégale, Aggravation de la peine, Compatibilité avec le droit del l’Union européenne et les droits fondamentaux», p. 5
Quanto all’ambito di applicazione oggettiva della fattispecie, ancora più numerosi sono i profili che hanno suscitato dibattito in dottrina e giurisprudenza. Dobbiamo innanzitutto ricordare che l’aggravante della clandestinità (l. 125/2008) ha fatto ingresso nell’ordinamento italiano in un momento antecedente alla previsione del reato di clandestinità (l. n. 94/2009) con la conseguenza che, per circa un anno, pur implicando la presenza illegale una mera violazione di diritto amministrativo, essa già – indirettamente – rilevava nel diritto penale a titolo di aggravante.
Diversi profili accendevano la discussione in dottrina. Si pensi alla generale clausola di riserva contenuta nell’art. 61 c.p., ai sensi della quale, le circostanze di seguito elencate «aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali». Orbene, tale clausola agevolmente consentiva di escludere l’applicazione della circostanza in esame: al reato di ingresso e soggiorno (successivamente) introdotto all’art. 10 bis t.u.imm.; al reato di reingresso non autorizzato dello straniero attinto da un provvedimento di espulsione da parte del ministro dell’interno (art. 13 co. 1 t.u.imm.) o del prefetto (art. 13 co. 2 t.u.imm.); al reato di reingresso non autorizzato dello straniero che sia stato attinto da un provvedimento di espulsione giudiziaria (artt. 15 e 16 t.u.imm.); al reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento impartito allo straniero espulso dal questore ai sensi dell’art. 14 co. 5 bis t.u.imm.; nonché al reato di permanenza reiterata dello straniero espulso ai sensi del 14 co. 5 ter t.u.imm. L’aggravante, però, si applica(va) pacificamente ai casi in cui lo straniero irregolare commetteva un delitto comune: sorge(va) a quel punto un problema di concorso apparente di norme tra l’art. 10 bis t.u.imm. e il delitto comune, che risultava aggravato dalla condizione di irregolarità del reo212.
212 La soluzione più frequentemente adottata dalla giurisprudenza in queste situazioni è stata quella di individuare un rapporto di specialità – ai sensi degli artt. 15 e 84 c.p. – da cui far discendere il favore per l’applicazione del reato circostanziato, con la conseguenza che il reato di cui all’art. 10 bis raramente trovava applicazione, risultando più di frequente assorbito interamente nella fattispecie aggravata. Per una trattazione più diffusa e completa sul punto di rimanda a A.DE DONNO, La circostanza aggravante della
clandestinità, op. cit. pp. 113 ss. Proprio la sentenza n. 249/2010, sul punto, afferma però che: «È vero che,
per evitare il verificarsi di bis in idem sostanziali, il sistema penale italiano prevede tecniche di considerazione unitaria delle specifiche condotte, sia nel caso che una circostanza aggravante comune rappresenti un elemento essenziale del reato o ne costituisca una circostanza aggravante speciale (art. 61, prima parte, cod. pen.), sia nell’ipotesi di reato complesso, che sussiste quando «la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato» (art. 84 co. 1 c.p.). Quest’ultima norma, tuttiavia, non è per la Corte applicabile nel caso di specie «che riguarda una circostanza aggravante comune. L’ingresso e il soggiorno illegale sul territorio dello Stato non sono previsti dalla legge come elementi costitutivi della generalità dei reati, ma solo di quelli che attengono alla violazione delle norme in materia di immigrazione, di talché il reato comune commesso dallo
Ancora, non passava inosservata la scelta operata dalla l. n. 125/2008 di intervenire sull’art. 656 co. 9 lett. a c.p.p. prevedendo l’inapplicabilità della sospensione dell’esecuzione della pena nei confronti del condannato cui era stata confermata in sentenza l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 bis c.p., anche quando, per intervenuto bilanciamento delle circostanze ad opera del giudice, non era conseguito un effettivo aumento della pena: meccanismo sintomatico della volontà legislativa di rendere effettiva l’espiazione della pena.
L’aggravante aveva, infine, natura soggettiva (art. 70 c.p.) posto che attribuiva rilievo unicamente a una condizione personale dello straniero – il suo status di irregolare, da accertare sulla base delle disposizioni contenuto nel testo unico sull’immigrazione, nonché nelle altre disposizioni di legislazione speciale che regolano l’ingresso e la permanenza dello straniero extracomunitario – a prescindere dall’esistenza di un nesso tra la commissione del reato e l’illegale presenza sul territorio213. Non è mancato, a tal proposito, chi si è interrogato sulla possibile presenza di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, stigmatizzando la disposizione più un modo di essere che un modo di agire, uno status più che una condotta antigiuridica, nel solco di quel già evocato ‘diritto penale del nemico’214.
straniero in condizione irregolare non potrebbe considerarsi complesso, e come tale capace di “assorbire” la violazione dell’art. 10 bis del d.lgs. n. 286 del 1998. D’altra parte, l’irregolarità del soggiorno non concorre a delineare un reato aggravato tipico […]. La figura del reato complesso, che preclude un fenomeno di bis in idem sostanziale, consiste invece in un fatto tipicamente inclusivo, sul piano circostanziale, della condotta altrimenti considerata quale reato a sé stante. La costruzione di un reato complesso deve essere opera del legislatore, e non può quindi risultare dalla combinazione, in sede di applicazione giurisprudenziale, tra le singole figure criminose e le circostanze aggravanti comuni. Si deve, in definitiva, escludere che la contraddizione prima evidenziata possa essere risolta in via interpretativa o mediante l’utilizzazione di strumenti sistematici già disponibili nell’ordinamento positivo» (così C. cost. 249/2010, §7).
213 Nella manualistica evidenziano questo aspetto, anche G.MARINUCCI,E.DOLCINI,G.L.GATTA, Manuale
di diritto penale, op. cit. p. 656
214 A.DE DONNO, La circostanza aggravante della clandestinità, op. cit. pp. 106; nella manualistica si rinviene anche la riflessione di G. FIANDACA –E.MUSCO, Diritto penale, parte generale, V ed., Addenda: d.l. 23 maggio 2008, n. 92 «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica» conv. con modificazione in l.
24 luglio 2008, n. 125, Zanichelli. Ad avviso degli Autori: «Il messaggio implicito che la nuova circostanza
recepisce e allo stesso tempo veicola, e che gli immigrati clandestini sono per ciò stesso ‘nemici’ dell’ordine costituito, da trattare in ogni caso con rigore punitivo maggiore rispetto a quello riservato ai delinquenti-cittadini. Una sorta, dunque, di ‘diritto penale del nemico’ banalizzata involgarita in una contingente salsa razzista italiana».